Descrizione generale

sm. [sec. XIX; da lama]. Forma peculiare di buddhismo sorta nel Tibet, dove la sua introduzione, come acquisto d'acculturazione di questo Paese alle culture indiana e cinese, risale al sec. VII. Un re dell'epoca avrebbe sposato una principessa indiana e un'altra cinese; in questo schema, probabilmente leggendario, si configura l'apertura culturale del Tibet all'India e alla Cina. Secondo la tradizione, l'opposizione dei geni o spiriti locali al buddhismo fu vinta dalle arti magiche del tantrista Padmasambhava; ma dopo questi il buddhismo venne ancora una volta vinto dalle forze ostili e sopravvisse in tre soli monaci, finché, a cominciare dal sec. X, riprese vigore e si affermò definitivamente come lamaismo. I contrasti effettivi all'affermazione della forma lamaistica (in senso tantrista), vanno visti nell'opposizione da parte delle correnti ortodosse del buddhismo. Utilizzando in modo nuovo le libertà affermate dal tantrismo rispetto alle costrizioni della vita monastica (astinenza sessuale, rifiuto del mondano, ecc.) e i poteri eccezionali (magici) che la pratica tantrica credeva di conseguire, i lama tibetani cominciarono a esercitare in senso temporale i loro riconosciuti poteri spirituali. Nel sec. XIII il “grande lama” della setta Sa-skya regnava su una vasta zona del Paese, per diritto ereditario in forza della credenza che il bodhisattva Manjuśrī s'incarnasse in un membro della famiglia dinasta. Nel sec. XIV si ha una grande azione riformatrice, a opera del lama Tsong-kha-pa, fondatore dell'ordine dei “berretti gialli”, che con questo contrassegno si distinguevano dalle sette esistenti portatrici di un berretto rosso.

Cenni storici: Tsong-kha-pa il riformatore

Tsong-kha-pa era lui stesso di formazione tantrista, ma svolse la sua riforma nel senso dell'ortodossia: proclamò la precedenza delle “perfezioni morali” (paramita) del buddhismo classico su ogni pratica tantrica e ribadì la disciplina monastica come base per ogni ulteriore perfezione. Ma neppure la nuova spiritualità dei “berretti gialli” valse a eliminare la dimensione temporale del lamaismo. Proprio i successori di Tsong-kha-pa, alla guida del monastero di Lhasa, finirono per diventare i monarchi del Tibet (e Lhasa fu la loro capitale).

Cenni storici: i Dalai lama

Essi regnarono col titolo di Dalai-lama e si servirono, per reggere il Paese, delle truppe mongole acquisite alla religione dei “berretti gialli”. Il Dalai-lama, comunque, non era tale per diritto ereditario, ma veniva scelto, in base a indicazioni di varia natura (fornite dal predecessore, da una consultazione oracolare e da prodigi), tra i bambini nati nel 49º giorno dalla morte del monarca. La credenza alla base di questa scelta era che il Dalai-lama fosse un'incarnazione del bodhisattva Avalokiteśvara e che l'incarnazione si ripetesse a ogni morte di un Dalai-lama. Mentre il Dalai-lama diventava la suprema autorità temporale della teocrazia tibetana, l'abate del monastero di Tashilumpo, detto Pan-chen lama, acquistava la suprema autorità nell'elaborazione della dottrina. A sua volta il Pan-chen lama era considerato incarnazione del bodhisattva Amitābha. Dopo l'occupazione cinese del Tibet, il Pan-chen lama ha potuto continuare le sue funzioni, mentre il Dalai-lama, detentore del potere temporale, è stato costretto all'esilio.

Bibliografia

G. Tucci, A Lhasa e oltre, Roma; 1950; A. David-Neel, Les enseignements sécréts dans les sectes bouddhistes tibétaines, Parigi, 1951; M. Carelli, Lamaismo, Torino, 1955; R. Nebesky-Wojkowitz, Oracles and Demons of Tibet, L'Aia, 1956; G. Schulemann, Geschichte der Dalai Lama, Lipsia, 1958; H. V. Günther, Tibetan Buddhism without Mystification, Leida, 1966.

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