Descrizione generale

sm. [sec. XIX; dal latino latifundíum, da latus, vasto+fundus, terreno, podere]. Vasta proprietà fondiaria in cui, per motivi storico-sociali non meno che fisico-ambientali, viene praticata un'agricoltura esclusivamente estensiva. È caratterizzato dalla deficienza o dall'assenza di opere di trasformazione, quali l'assestamento del terreno, gli impianti di irrigazione, le case coloniche; e dalla presenza di pochi centri abitati, talvolta molto popolosi, spesso lontani decine di chilometri dal luogo di lavoro. Sotto il profilo agricolo, prevalgono le colture sporadiche e in particolare le aridocolture (cereali e, soprattutto, grano), alternate a pascolo e a zone incolte; sono assenti le rotazioni e le intensificazioni colturali (per ricostituire le scarse riserve di fertilità del suolo si attua il maggese), la selezione delle sementi, le concimazioni artificiali e strumenti agricoli perfezionati. Il proprietario non conduce direttamente il fondo, che viene suddiviso in grandi lotti, ceduti in affitto (terratico) o in compartecipazione (metateria e terzeria) a contadini, o affidati a grandi affittuari (gabellotti) che a loro volta assumono salariati avventizi o subaffittano. Si crea così una lunga catena di cointeressenze, il cui ultimo anello è rappresentato da piccoli agricoltori, braccianti o pastori, che non sono in grado di apportare migliorie al fondo per mancanza di mezzi e per la brevità del contratto.

Cenni storici

Il latifondo nel senso considerato è un fenomeno quasi esclusivamente italiano e la sua formazione risale storicamente alle conquiste operate dai Romani dopo le guerre puniche e all'acquisizione all'ager publicus di vasti territori, ripartiti in grandi aziende agricole gestite con lavoro servile. Il numero dei latifondi, ridotto grazie alle riforme agrarie dei Gracchi, di Silla e di Cesare, andò tuttavia aumentando negli ultimi anni dell'Impero. Sul latifondo romano s'innestò la struttura economica feudale e da questa trasse origine il latifondo moderno. Il fenomeno fu aggravato dalla costituzione da parte della Chiesa di grossi patrimoni fondiari, rimasti sino al sec. XVIII.Se al Nord il feudo longobardo, con le sue ampie possibilità di frazionamento e la presenza di una fitta rete di corsi d'acqua, impedì lo sviluppo del latifondo, nell'Italia centromeridionale esso trovò la sede ideale. Nemmeno la soppressione dei feudi operata durante l'età napoleonica nell'Italia meridionale e in Sicilia portò a una modificazione della struttura economica e sociale. I grandi proprietari terrieri si limitarono a speculare sul monopolio della terra, preferendo aumentare la rendita fondiaria con l'estensione delle proprietà, anziché rischiare investimenti di capitale che avrebbero permesso un incremento della produzione. Dopo l'unificazione, negli anni dal 1881 al 1922, il problema del latifondo fu a più riprese dibattuto nel Parlamento italiano, ma nessuno dei vari progetti di legge presentati trovò la via dell'approvazione. Il regime fascista non affrontò il problema del latifondo e si limitò alla bonifica integrale e alla colonizzazione di zone non coltivabili. Solo nel 1940 venne istituito l'Ente di colonizzazione del latifondo siciliano in un momento in cui la sua attività non poteva che essere nulla a causa dei gravi problemi posti dal conflitto mondiale. Nel dopoguerra, con la legge regionale del 27 dicembre 1950, si è stabilità l'obbligatorietà della bonifica e della colonizzazione, pena l'espropriazione, e si è trasformato tale Ente in un Ente per la riforma agraria in Sicilia. Analoghe iniziative sono state prese in altre regioni centromeridionali, nel quadro della legislazione sulla riforma fondiaria e degli interventi della Cassa per il Mezzogiorno. Il superamento del latifondo, almeno nelle sue forme più esasperate, si è in seguito consolidato per effetto di frazionamenti spontanei o successioni ereditarie. Il Parlamento italiano ha ulteriormente contribuito all'attenuazione del fenomeno con la legge 4 agosto 1978 n. 440, cui hanno fatto seguito norme regionali di attuazione, sulle terre incolte abbandonate o insufficientemente coltivate. Sotto il profilo economico e sociale, la politica agraria della Unione Europea ha contribuito, infine, alla maggiore efficienza produttiva e alla stabilizzazione dei redditi.

Bibliografia

Autori Vari, Problemi dell'agricoltura meridionale, Napoli, 1953; R. Villari, Mezzogiorno e contadini nell'età moderna, Bari, 1961; P. Villani, Mezzogiorno tra riforma e rivoluzione, Bari, 1962; R. Villari (a cura di), Il Sud nella storia d'Italia, Bari, 1966; E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Torino, 1968; P. Villani, Feudalità, riforme, capitalismo agrario, Bari, 1968; E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari, 1972; G. Giusti, Latifondo e lotte contadine, Roma, 1983.

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