Lessico

(ant. o regionale màscara), sf. [sec. XIV; forse da masca, nel senso 1].

1) Volto finto di materiale vario, per lo più provvisto di fori per gli occhi e la bocca, con sembianze umane, animalesche o diaboliche, che si sovrappone al viso per nasconderlo o per travisarlo, per scopi magico-rituali o per finalità spettacolari o semplicemente per gioco specialmente durante il carnevale; anche striscia di tessuto o altro che copre la parte superiore del volto, bautta; fazzoletto o altro con cui ci si cela il volto: una maschera di cartapesta; maschera di cane, di mostro; le maschere tragiche dei Greci; i banditi avevano il volto coperto da una maschera; fig.: sembrare una maschera, di persona eccessivamente truccata o dal volto reso comunque irriconoscibile. In particolare: maschera di bellezza, crema che spalmata sul viso per pulire e tonificare la pelle s'indurisce a contatto dell'aria. Dopo un certo tempo viene rimossa e lascia la pelle morbida, levigata e luminosa. Costituita da un eccipiente veicolante sostanze atte a correggere le imperfezioni dermiche, la sua azione, simile a quella delle lozioni, ma più radicale e aggressiva, deve penetrare in profondità e dare risultato in breve tempo. I principi attivi sono costituiti da sostanze con proprietà emollienti, protettive, depigmentanti, astringenti, detergenti, eudermiche di origine vegetale e animale.

2) In vari sensi e loc. fig.: A) finzione, simulazione, atteggiamento ipocrita: il suo sorriso è solo una maschera; gettare la maschera, smettere la finzione, mostrarsi come si è in realtà, rivelare le proprie intenzioni; levare la maschera a qualcuno, smascherarlo, rivelare il suo inganno; giù la maschera!, invito a rivelare le proprie intenzioni, a parlare e agire senza inganni. B) Volto caratterizzato da tratti marcati e molto espressivi; fisionomia in qualche modo singolare: un attore dalla maschera straordinaria; questa è la tipica maschera comica. C) In medicina, lo stesso che facies.

3) Per estensione, travestimento di tutta la persona a scopo giocoso, in uso per lo più durante il carnevale: andare, essere in maschera; un ballo in maschera; anche la persona mascherata: passano le maschere.

4) Calco del volto di un defunto rilevato direttamente e riprodotto in gesso, in cera o in bronzo: la maschera di Verdi.

5) In architettura, lo stesso che mascherone.

6) Nome comune a diversi apparecchi che, nello svolgimento di determinate attività, si applicano al viso per proteggere la bocca, gli occhi, le vie respiratorie al fine di evitare possibili conseguenze dannose. Con accezioni specifiche: A) maschera chirurgica, piccola maschera di garza sterilizzata che i chirurghi e gli assistenti portano a copertura della bocca e del naso per difendere il campo operatorio da possibili contagi batterici; in anestesia, apparecchio che si applica sul viso per inalare sostanze gassose. B) Nello sport, sorta di casco con visiera usato in alcune attività sportive per proteggere il viso degli atleti; in particolare: nella scherma il casco è di cuoio imbottito e la visiera in rete metallica finissima che permette una normale visione ma impedisce il passaggio della lama dell'avversario; nel pugilato, usata solo negli allenamenti sul ring, il casco è di pelle imbottita e la visiera è ridotta a strisce che proteggono naso e occhi; nel baseball e nel softball il casco è in cuoio e la visiera è a larghe maglie di metallo e cuoio per proteggere testa e viso sia del ricevitore sia dell'arbitro di “casa-base”. Simili a questa sono le maschere usate dagli atleti del football americano e dal portiere delle squadre di hockey. Nel nuoto subacqueo è detta maschera la semplice visiera aderente alla parte superiore del viso, munita di vetro e spesso di un boccaglio che serve per la respirazione quando si nuota in superficie con il viso in immersione. C) Nella tecnica, maschera a filtro, costituita da una fascia di tela robusta che si pone su naso e bocca, provvista di strati di ovatta con sostanze colloidali che trattengono le polveri; maschera a pressione, cappuccio-scafandro di tela, aderente al collo nel quale si fa arrivare un getto regolabile di aria a pressione un po' più alta di quella dell'ambiente; impedisce il contatto sia con polveri sia con gas; maschera antigas, usata da pompieri, squadre di pronto intervento in aeroporti e industrie e quale mezzo di difesa personale in guerra, è costituita da un facciale di gomma munito di tiranti elastici, lenti e valvole di inspirazione ed espirazione. Nei modelli normali, detti a circuito aperto, alla valvola di inspirazione è collegato un filtro costituito da diversi strati di materiali atti a fissare e trattenere le sostanze nocive. Gli strati principali sono costituiti da lana trattata con bachelite e colofonia, carbone attivo trattato con sali di argento e rame e granuli Z, un miscuglio di ossido di zinco, soda e carbone, legati con colla. Si è sperimentato l'impiego dei setacci molecolari. Quando la percentuale di ossigeno dell'aria scende al di sotto del 16%, l'impiego delle maschere a circuito aperto non è più possibile e bisogna ricorrere a quelle a circuito chiuso, analoghe agli autorespiratori.

7) Tipo o personaggio fisso della Commedia dell'Arte, con caratteristiche somatiche e psicologiche ben determinate, in genere tipico di una particolare regione o città: Gianduia è la maschera di Torino, Pulcinella la maschera di Napoli.

8) Nei teatri, nei cinema e simili, l'inserviente che controlla i biglietti d'ingresso e accompagna gli spettatori ai loro posti.

9) In zoologia, modificazione del labbro inferiore protrattile delle neanidi e delle ninfe degli Insetti Odonati, muniti di un apparato masticatore.

10) Negli schermi televisivi basati sulla tecnica dei tubi a vuoto, pannello traforato in modo estremamente minuto e preciso che viene interposto tra i pennelli elettronici e le varie terne di fosfori, in modo da dirigere con precisione i pennelli elettronici successivamente su ogni terna nel corso della scansione e permettere la corretta percezione dell'informazione cromatica.

11) Nella tecnica cinematografica, telaio metallico che consente di delimitare il formato in ripresa o in proiezione.

12) Nella fotoformatura grafica, positivo o negativo ausiliari, ottenuti fotograficamente, utilizzati per i procedimenti di mascheratura.

13) In informatica, operazione logica eseguita su dati codificati, come byte (8 bit), parole (2 byte), altri campi di bit, per modificarne la struttura interna o per identificarne una parte. La maschera è una sequenza di bit, la cui lunghezza è uguale a quella del dato su cui eseguire l'operazione di mascheratura che l'elaboratore genera in un registro. Tramite sottrazione, AND od OR logici, ecc., la maschera può sopprimere dei bit, porli a zero, ecc. Per esempio è tramite un'operazione di questo tipo che un elaboratore ripristina lo stato iniziale di un interrupt.

14) In elettronica, minuscolo schermo utilizzato per la costruzione dei circuiti integrati con la tecnologia planare (chip). L'integrazione circuitale a grandissima scala si ottiene attraverso successive fasi litografiche, chimico-fisiche, meccaniche e termiche effettuate sulla superficie di un materiale semiconduttore (di solito il silicio). Le parti del materiale che non devono subire le trasformazioni determinate da una delle fasi vengono coperte da una maschera di materiale opportuno quale il vetro che costituisce il negativo del disegno da realizzare. La costruzione di un circuito integrato richiede 7 o 8 maschere. Le memorie a sola lettura (ROM, Read Only Memory) e i dispositivi a logica programmabile (PLA, Programmable Logic Array) sono finalizzati all'applicazione specifica mediante la tecnica della mascheratura che agisce, per esempio, sulle reti di fusibili eliminando i collegamenti non necessari. Le maschere utilizzate in microelettronica sono ottenute con tecniche di fotoriduzione a partire dalle informazioni costruttive del circuito da realizzare.

15) Nella tecnologia meccanica, maschera di foratura, attrezzatura impiegata nelle lavorazioni di serie per eseguire con la massima precisione e nel minor tempo possibile la foratura di un gran numero di pezzi identici. In corrispondenza dei punti nei quali vanno eseguiti i fori, sulla maschera sono montate delle bussole in materiale durissimo, che hanno la funzione di guidare la punta del trapano durante l'operazione di foratura.

Etnologia: generalità

L'uso delle maschere è assai antico e diffuso in tutto il mondo: legate più a un contenuto simbolico che estetico, esse hanno accompagnato ogni rituale della vita sociale; la loro funzionalità e immediatezza è tale che ancora vengono usate, presso popoli di cultura sofisticata, per il teatro e durante le feste popolari (per esempio il carnevale). Il loro significato più immediato è quello di trasformare non solo chi le indossa agli occhi di chi lo vede ma anche la persona mascherata, che finisce con l'assumere la personalità dell'essere raffigurato nella maschera. Questo potere della maschera deriva non tanto da credenze magico-religiose quanto dalla capacità di autosuggestione dell'individuo, sollecitato dalla formazione culturale ricevuta. Per tale motivo la maschera è stata utilizzata anche per varie forme di spettacolo: dalle maschere rituali derivano, infatti, quelle teatrali e persino gli elmi usati in battaglia, le cui forme terrificanti (basti pensare agli elmi cinesi ed europei medievali) dovevano dare forza al guerriero e spaventare il nemico. Essendo un prodotto culturale che risponde alle particolari concezioni di ogni gruppo umano, è praticamente impossibile trovare due maschere rituali uguali, tuttavia i motivi ricorrenti consentono il riconoscimento di diversi stili dai quali si può risalire con precisione al gruppo umano che ha prodotto la maschera. Le maschere compaiono perlopiù durante i riti di iniziazione o i riti funebri e rappresentano antenati o esseri spirituali. In alcuni casi hanno la funzione di ricollegare la cerimonia con il tempo mitico delle origini, in cui si svolsero gli avvenimenti che hanno determinato l'ordinamento dell'universo e della società. L'uso delle maschere è legato alle componenti del complesso simbolico e cerimoniale di cui fanno parte: la danza, l'utilizzo di un particolare strumento musicale (rombo, flauto, tamburo), il costume e il gesto. Le ricerche dei secoli XX e XXI hanno per oggetto l'interazione tra la maschera, colui che la indossa e il pubblico che assiste alla scena. Nel rito della mascherata il portatore della maschera impersona l'essere rappresentato dalla maschera stessa (spirito o antenato) assumendone le caratteristiche. Indossare una maschera presenta caratteri affini alla possessione e all'estasi sciamanica, rivelando il conflitto tra apparenza esteriore e realtà nascosta, denominato da J. Napier l'aspetto “paradossale” della maschera.

Etnologia: Americhe, Australia e Nuova Guinea

Abbastanza diffuse sono le maschere dipinte sul corpo dell'attore, tipiche delle culture australiane, di alcune zone della Nuova Guinea e dell'America Meridionale e, in genere, dei gruppi umani che adottano la nudità completa. Nell'area melanesiana, della Nuova Guinea ed, entro certi limiti, nell'area pueblo-andina soprattutto precolombiana (Aztechi, Maya), prevalgono maschere fatte di corteccia, fibre intrecciate, piume, sontuosamente decorate e intarsiate a vivaci colori, arricchite di frange e di sovrastrutture aeree, le cui forme non cercano una somiglianza con l'essere che rappresentano ma tendono a evocare complesse vicende simboliche relative al rituale connesso con l'essere stesso; a questa teatralità sono dovuti l'uso di maschere collettive, come quelle dell'area del Sepik (Nuova Guinea), il cui diametro giunge fino a 6 m, quelle della Nuova Irlanda (kepong e matua), e la fabbricazione, fatta in segreto, delle maschere usate dagli adepti delle società segrete. Simbolismo diverso hanno le maschere usate da vari gruppi etnici dell'America Settentrionale: realizzate in legno, la loro forma evoca sembianze umane o zooantropomorfe strettamente legate al culto degli antenati e alle concezioni magico-religiose dei singoli gruppi: dalle maschere eschimesi (inua, antropomorfe, con la funzione di associare un animale al suo “doppione” umano; tunghat, zooantropomorfe, che rappresentano gli spiriti), dai tratti stilizzati, si passa alle maschere degli Indiani, di aspetto terrificante, esplicanti i miti dell'origine di ciascun clan (zooantropomorfe o antropomorfe), i cui tratti esageratamente deformati hanno la funzione di “narrare” la vicenda (per esempio quelle della società delle “False Facce”, degli Irochesi, e quelle dei Kwakiutl, degli Haida, dei Pueblos, ecc.) degli antenati divinizzati.

Etnologia: Asia

Nell'area asiatica, accanto a maschere rituali, diffuse soprattutto nel Tibet, nel Sud-Est e nell'Insulindia, sono molto usate maschere teatrali e, un tempo, erano diffuse maschere funebri, realizzate in materiali vari, entrambe derivate dalle prime le cui forme cercano di umanizzare anche soggetti zoomorfi nel tentativo di rappresentare l'illusorio e il provvisorio che compenetra la vita quotidiana, secondo le concezioni mitico-religiose di questi popoli, pur conservando, nella sontuosità delle decorazioni e nella ricercatezza della composizione, innegabili tracce di usanze “profane” e rituali precedenti.

Etnologia: Africa

La maschera raggiunge il massimo della sua espressività e soggettività in Africa, dove ciascuna maschera è un pezzo a sé, destinato a durare a volte per decenni e, non di rado, usato non come oggetto da indossare ma come simbolo comprendente in sé sia il rappresentato sia il rappresentante (per esempio quelle usate nei riti d'iniziazione dai Dogon); sono realizzate in legno duro ma leggero (a volte in metallo, come nel Benin), prive di decorazione oppure dipinte, istoriate, rivestite in pelle o in rame, o con intarsi in avorio e altri materiali. Esse rappresentano tutti gli aspetti della realtà e delle concezioni filosofiche-religiose dei popoli che ne fanno uso e quindi hanno varie forme: antropomorfe, zoomorfe, zooantropomorfe o decisamente astratte. L'area dove la produzione è più ricca e varia è quella che va, secondo un arco, dal Mozambico fino al Senegal attraverso lo Zaire e la Nigeria. Quando viene indossata, la maschera fa generalmente parte di un più complesso travestimento in base al quale l'attore interpreta con la massima identificazione l'antenato sacralizzato o un demone delle forze naturali: per tale motivo nelle maschere africane si passa dal realismo più conseguente all'astrazione più assoluta nella quale la geometria delle forme tenta di esprimere l'invisibile sacralizzato e di simbolizzare i miti delle origini; questa stilizzazione delle forme si riscontra anche nelle maschere elmo indossate dai guerrieri (per esempio dei Fulbe, dei Chokwe, ecc.) e in quelle usate dagli adepti delle società segrete (per esempio Anyoto, Poro).

Maschere funebri

Derivate da quelle usate nei riti funerari sono le maschere funebri, diffuse un tempo nell'area euro-asiatica, mesoamericana e peruviana e nell'Egitto faraonico: in oro (maschera di Tutankhamon, quelle delle tombe di Micene), in oro e bronzo (maschera di Trebenište, in Macedonia), in bronzo (maschere etrusche, guerriero di Capestrano in Abruzzo), in fibre con intarsi in pietre dure (maschere precolombiane), in terracotta (maschere etrusche), in cera dipinta (calchi romani), raffigurano le sembianze idealizzate del defunto con chiari riferimenti al culto degli antenati; in Etruria e poi a Roma (dove erano note con il nome di imagines maiorum) erano oggetto di culto, le prime adottate quali coperchi di urne funerarie, le seconde messe entro apposite nicchie delle case; a Roma si trova traccia di tale usanza fino in epoca imperiale. In seguito maschere funebri in oro ricavate da calchi in cera sono state eseguite per personaggi famosi (per esempio Napoleone Bonaparte).

Teatro

L'uso teatrale della maschera deriva direttamente dal suo impiego rituale e non a caso fu soprattutto diffuso nei teatri come il greco e l'orientale in più diretto rapporto con riti e miti. In Grecia e poi a Roma, la maschera copriva l'intera testa dell'attore lasciando una larga apertura per la bocca; serviva a distinguere i personaggi maschili da quelli femminili, tutti interpretati da uomini, e a evidenziarne l'età e il carattere. Nella tragedia, inoltre, conferiva una dignità sovrumana a personaggi di dei o di eroi e permetteva all'attore di recitare più parti; nella commedia era utile a uniformare il coro (gli uccelli o le rane delle commedie di Aristofane) e costituiva un elemento comico in più. Indiretto è probabilmente il rapporto della maschera greca con quella dei misteri medievali: può darsi che le maschere dorate di Dio e degli arcangeli ne rappresentassero una sopravvivenza, ma è certo che quelle dei diavoli, le più interessanti per la loro suggestiva mescolanza di buffonesco e orripilante, affondavano se mai le loro radici in feste e rituali primitivi. Di qui la diffidenza delle autorità religiose, che tolleravano invece le maschere della sacra rappresentazione quattrocentesca, gradevolmente decorative. Nella Commedia dell'Arte agivano generalmente a viso nudo gli innamorati, mentre portavano la maschera (più esattamente una mezza maschera o bautta, assai grottesca all'inizio e man mano sempre più ingentilita, che lasciava scoperta la parte inferiore del volto) i vecchi, i servi e, non sempre, i capitani. Arlecchino e Brighella, Pantalone e il Dottore, con le loro innumerevoli varianti, sono maschere, ma qui il termine indica un personaggio fisso dalle caratteristiche ben definite e non ha nulla a che vedere con l'uso della maschera, tanto è vero che spesso gli attori li impersonavano con il viso scoperto. Con il teatro pubblico al chiuso iniziò infatti una nuova era: ci si orientò verso forme più realistiche e ci si affidò molto al mutare delle espressioni facciali, mentre acquistava importanza determinante la truccatura. La maschera sopravvive in Occidente solo occasionalmente in spettacoli o nella messinscena di testi che espressamente la richiedono (per esempio Il grande Dio Brown di O'Neill o L'anima buona di Sezuan di Brecht). È rimasta invece d'uso comune in molte forme di teatro orientale (per esempio nel giapponese, nel quale ha funzioni analoghe a quelle che aveva nel teatro greco) dove ha spesso forme assai più stilizzate che non ricalcano necessariamente le linee del volto umano.

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