Lessico

sm. [sec. XIII; latino mare].

1) L'intera massa d'acqua che circonda la terraferma e ricopre gran parte della superficie terrestre; anche una parte qualsiasi e indeterminata di tali acque: il mare occupa i tre quarti della superficie del globo; dalla finestra si vede il mare; la profondità, la distesa, le onde del mare; mare grosso, agitato, in tempesta; mare lungo, con onde lunghe, lente e regolari che non si frangono; colpo di mare, ondata violenta: c'è mare, fa mare, il mare è agitato; tenere, reggere il mare, si dice di imbarcazione che resiste bene anche al mare grosso; pesce di mare, che vive nel mare; frutti di mare, crostacei commestibili; forze di mare, la marina militare; lupo di mare, vedi lupo; mal di mare, naupatia; viaggiare per mare, solcare il mare, navigare; correre il mare, fare il corsaro. Al mare, nelle immediate vicinanze del mare: si è costruito una casa al mare; andare al mare, a villeggiare in un paese di mare.

2) In loc. fig.: essere in alto mare, lontani dalla soluzione di un problema (propr. lontano dalla costa); gettare a mare qualche cosa, disfarsene, rinunciarvi; portare acqua al mare, fare cosa inutile; promettere mari e monti, fare grandi promesse destinate per lo più a cadere nel nulla; cercare per terra e per mare, dovunque; è come una goccia nel mare, si dice di cosa che ha scarsissimo rilievo in una data situazione; porto di mare, luogo in cui c'è un continuo andirivieni di persone.

3) In senso più specifico, bacino secondario più o meno direttamente collegato a un'area oceanica: mari adiacenti o periferici, quelli che occupano la parte sommersa di un'area continentale e comunicano apertamente con l'oceano; mari mediterranei, vasti bacini circondati da terre e comunicanti con l'oceano tramite uno stretto; mare chiuso, bacino marino circondato quasi completamente da terre ma non tanto vasto da esser considerato un mediterraneo (per esempio il Mar Nero).

4) Designazione di taluni bacini interni con acque più o meno salate, come il Mar Caspio, il Mar Morto, l'Aral, ecc.

5) Per estensione: A) grande distesa uniforme: un mare d'erba; la casa è circondata da un mare di fanghiglia. Fig., grande quantità: c'era un mare di gente; mi trovo in un mare di guai; mare magno, traduzione della loc. latina mare magnum. B) In astronomia, il termine mare è stato adottato in passato a designare regioni di bassa riflettività nelle immagini telescopiche della Luna e di alcuni pianeti (Marte, Mercurio), supponendo che esse rivelassero una reale natura idrologica. Tale ipotesi è stata in seguito vanificata dalle esplorazioni spaziali che, al riguardo, hanno posto in evidenza soltanto specifici caratteri chimico-mineralogici (effusioni basaltiche, regolite tipico, ecc.). Tuttavia il termine è rimasto per designare in particolare i mari lunari, ampie superfici pianeggianti, di colorazione scura, che ricoprono gran parte della superficie della Luna, soprattutto sulla faccia rivolta verso la Terra. I mari rappresentano il fondo di grandi bacini di forma irregolare o più o meno circolare con chiara origine da impatto e sono costituiti da rocce basaltiche estruse in un periodo che va fra i 3 e i 3,7 miliardi di anni fa. Tra i più grandi mari lunari si ricorda Imbrium, ben visibile dalla Terra. Per analogia, anche nome di alcune formazioni di Marte.

Chimica: composizione dell'acqua di mare

La costituzione chimica dell'acqua di mare è estremamente complessa dipendendo da molteplici fattori tra i quali predominano l'apporto delle acque continentali, gli scambi e l'interazione tra superficie marina e atmosfera, i processi chimico-fisici che avvengono tra gli ioni in soluzione e i minerali costituenti i sedimenti del fondo e in sospensione, i processi biochimici, quali la fotosintesi e il metabolismo dei vari organismi presenti nell'ambiente marino, e l'apporto degli scarichi di acque e materiali dovuti alle attività umane. Nell'acqua di mare si trovano sali inorganici, gas e sostanze organiche. Si ritiene che siano presenti tutti gli elementi naturali anche se in percentuali molto diverse, così come molto diversa è la proporzione tra gli elementi dell'acqua di mare rispetto a quella delle rocce della litosfera. I principali costituenti, che in pratica determinano la salinità dell'acqua di mare, sono il sodio, il cloro, il magnesio, il calcio, il potassio, il bromo, i gruppi atomici SO42-, CO₃2- e HCO₃-. L'elemento più abbondante tra i cationi è il sodio, quello più abbondante tra gli anioni è il cloro, ragion per cui il residuo secco che si ottiene dall'evaporazione dell'acqua marina (salinità) è in prevalenza costituito da cloruro di sodio: con una salinità di 35 g/l (valore medio) si hanno 30 g/l di cloruro di sodio, mentre il resto è ripartito fra cloruro di magnesio, solfato di calcio, solfato di potassio, solfato di magnesio e altri sali in percentuali notevolmente minori, quali carbonati, bromuri e borati. La salinità subisce variazioni soprattutto nell'ambito superficiale in rapporto all'entità dell'evaporazione e degli apporti delle precipitazioni meteoriche e delle acque continentali (fiumi e acque di fusione dei ghiacciai): nei mari polari la salinità superficiale assume valori di 32-33 g/l, nei mari caldi delle fasce tropicali, dove massima è l'evaporazione, si registrano valori di 36-37 g/l; nei bacini interni le variazioni sono più ampie a causa della scarsità di comunicazione e di mescolamento con le acque oceaniche: così, nel golfo di Botnia (Mar Balticosettentrionale) la salinità è anche inferiore a 5-6 g/l, mentre nel Mar Rosso supera i 40 g/l. In superficie e in prossimità delle coste la salinità presenta variazioni anche stagionali, negli oceani invece rimane praticamente costante; in profondità è, in genere, leggermente inferiore ai valori di superficie e non subisce sensibili variazioni. I rapporti quantitativi tra i principali costituenti rimangono invariati al variare della salinità e quindi è possibile determinare la salinità complessiva in funzione della concentrazione di un solo elemento, in genere il cloro (clorinità). Oltre ai costituenti fondamentali della salinità concorrono al chimismo delle acque marine altre numerose sostanze. I sali nutrienti, comprendenti composti salini del fosforo e dell'azoto e la silice, sono essenziali alla vita nell'ambiente marino. Si formano in profondità a opera della demolizione biochimica degli organismi e risalgono in superficie per azione della turbolenza e delle correnti marine; qui, dove è attiva la fotosintesi, vengono consumati e utilizzati nelle sintesi organiche. La silice, pur non partecipando ai suddetti processi biologici, è necessaria ad alcuni organismi (per esempio le Diatomee) per la formazione dei gusci silicei. Gli oligoelementi sono sostanze disciolte in mare in percentuali molto piccole o addirittura in tracce: di alcune, come il ferro, lo zinco, il rame, è nota l'importanza biochimica, mentre è meno chiara la funzione di altre che, tuttavia, si trovano concentrate in alcuni organismi (così, l'argento si concentra in taluni coralli, il vanadio è fissato dai Tunicati, il lantanio e lo iodio da varie alghe). L'acqua di mare contiene disciolti anche numerosi gas provenienti massimamente dal contatto tra superficie marina e atmosfera. La composizione dell'aria disciolta è molto diversa da quella normale ed è in rapporto alla diversa solubilità dei gas nell'acqua, e a molti altri fattori fisico-chimici. In generale le temperature più basse e la bassa salinità aumentano il quantitativo dei gas disciolti; inoltre la solubilità è notevolmente influenzata dalla pressione parziale del gas, dall'ampiezza e dallo stato di turbolenza della superficie assorbente. Essendo l'ossigeno più solubile in acqua dell'azoto, l'aria disciolta è più ricca in ossigeno di quella atmosferica: ne contiene infatti il 34% ca.; la quantità di ossigeno in soluzione è dell'ordine di 7-8 cm3/l nei mari freddi e di ca. 4 cm3/l in quelli tropicali, e diminuisce gradualmente con l'aumentare della profondità. L'ossigeno disciolto viene consumato dagli organismi marini, ma viene a sua volta prodotto negli strati superficiali dall'attività fotosintetica del fitoplancton; si può registrare pertanto in alcune zone e in determinati periodi una soprassaturazione dell'ossigeno che compare in quantità superiore a quella prevedibile dalle condizioni fisico-chimiche. Anche l'anidride carbonica ha un ruolo importante per la vita nel mare, dato che interviene nella fotosintesi; il quantitativo disciolto è tanto più grande quanto più grande è la sua concentrazione nell'atmosfera soprastante, ossia la sua pressione sulla superficie acquea (a parità di temperatura e di salinità). Parte dell'anidride carbonica disciolta regola l'equilibrio dei carbonati e bicarbonati: un suo aumento provoca la soluzione dei carbonati che passano a bicarbonati, una sua diminuzione fa passare i bicarbonati a carbonati che precipitano, mentre l'anidride carbonica ritorna in soluzione per passare poi nell'atmosfera. Il grado di acidità dell'acqua di mare varia anch'esso con la zona, la profondità, la stagione, ecc. In genere, salvo forti inquinamenti locali, l'acqua marina presenta reazione debolmente alcalina, che per esempio nel Mediterraneosponde in superficie a un pH compreso tra 7,95 e 8,13. In conclusione, la composizione dell'acqua di mare è il risultato di fenomeni fisico-chimici e biologici succedutisi nel corso delle ere geologiche. Le acque dei primitivi bacini oceanici dovevano essere, per la presenza nell'atmosfera di un'alta percentuale di anidride carbonica, notevolmente acide e aggressive e i componenti più abbondanti erano rappresentati, invece che dagli ioni cloro e sodio, dagli anioni CO₃2- e HCO₃-; il carbonato di calcio poteva perciò precipitare solo con una fortissima concentrazione di ioni calcio. Contemporaneamente la pressione parziale dell'ossigeno e quindi la sua concentrazione in acqua doveva essere minima. Con il diffondersi della vita e dell'attività fotosintetica diminuì la quantità di CO₂ e aumentò il contenuto in ossigeno; nello stesso tempo si abbassava la concentrazione di ioni calcio necessaria alla precipitazione dei carbonati, cosa che determinò la sedimentazione dei calcari. Questi fenomeni, uniti al continuo apporto di sali provenienti dalla solubilizzazione delle rocce, orientarono l'evoluzione del sistema chimico marino verso l'attuale tipo di concentrazione salina.

Fisica: densità

La densità delle acque marine dipende dalla salinità, dalla temperatura e dalla pressione corrispondente alla profondità cui si trova l'acqua, e il suo valore segue le variazioni di questi tre parametri. Considerando unicamente la salinità e la temperatura, la densità varia tra 1,008 e 1,030 g/cm3; oscillazioni più ampie possono però aversi nei mari interni. La densità aumenta generalmente con l'aumentare della salinità e decresce all'aumentare della temperatura. A parità di salinità e di temperatura, aumenta con la profondità essendo l'acqua di mare comprimibile. Riunendo in una rappresentazione planimetrica tutti i punti aventi uguale densità si ottengono delle linee (isopicniche) il cui esame è fondamentale nello studio della statica e della dinamica delle masse marine. A una distribuzione di isopicniche stratificate e parallele alla superficie marina, con valori che crescono dall'alto verso il basso, corrisponde una condizione di stabilità; a una qualunque distribuzione diversa corrisponde uno stato di instabilità che determina uno scorrimento d'acqua (correnti termoaline).

Fisica: temperatura

Per quanto concerne la temperatura, la radiazione solare è la fonte primaria del riscaldamento dell'acqua di mare. Per la maggior capacità termica dell'acqua rispetto a quella del suolo, la medesima quantità di energia termica, nello stesso intervallo di tempo, produce un aumento della temperatura dell'acqua di superficie pari a circa la metà di quello delle regioni costiere limitrofe; tale quantità di calore si propaga nella massa d'acqua prevalentemente per convezione e viene ceduta in parte e lentamente all'atmosfera: mentre, infatti, l'aria al di sopra delle aree continentali subisce forti escursioni termiche, al di sopra degli oceani ha oscillazioni di temperatura notevolmente inferiori. Le variazioni termiche diurne dell'acqua oceanica superficiale sono molto lievi, dell'ordine di qualche decimo di grado, in condizione di mare calmo, con minimi nelle prime ore del mattino e massimi nelle tarde ore pomeridiane; con mare agitato l'oscillazione diurna praticamente si annulla. Più ampie sono le escursioni termiche annue, tra 6 e 10 ºC, con valori molto più elevati presso le zone costiere e inferiori nella fascia circumequatoriale tra 15º N e 15º S di latitudine. La temperatura superficiale degli oceani raggiunge i valori più elevati, superiori a 27 ºC, nell'emisfero boreale in corrispondenza dell'equatore, leggermente inferiori sono i valori registrati nell'emisfero australe. Tuttavia, le temperature massime si trovano non in aperto oceano, ma in mari marginali, quali il Mar Rosso (34 ºC), il Golfo Persico (35 ºC), il golfo del Messico (32 ºC). Dalla fascia equatoriale la temperatura decresce verso i poli proporzionalmente alla latitudine, abbassandosi a ca. -1,7 ºC nei mari subpolari. Con una salinità di 35 g/l, l'acqua del mare congela a -1,9 ºC; il cambiamento di stato riduce l'effetto dell'abbassamento di temperatura e protegge la massa d'acqua da ulteriori raffreddamenti: infatti, mentre si abbassa la temperatura dell'aria, la temperatura dell'acqua rimane costante al punto di congelamento e si ha solo un ispessimento dello strato di ghiaccio. La distribuzione termica in profondità e la sua variabilità nel tempo è in rapporto con le variazioni annue di temperatura e risente poco delle oscillazioni diurne che si estinguono entro uno strato mediamente compreso tra 5 e 20 m; anche queste però hanno importanza perché concorrono alla produzione di moti turbolenti che favoriscono gli scambi termici. Generalmente, nell'andamento medio della temperatura con la profondità si osserva un primo strato superficiale sensibilmente omotermo (non considerando le variazioni nel tempo), segue uno strato in cui si registra un brusco sbalzo (strato del salto termico) e infine un altro strato omotermo, ma con temperatura molto più bassa del superiore. Alle basse e medie latitudini la stratificazione termica è normale, cioè con temperature profonde più basse di quelle dell'acqua di superficie; alle alte latitudini la stratificazione è inversa, con acque profonde più calde di quelle superficiali, anche se stagionalmente si può stabilire una condizione di omotermia. Negli strati più alti si hanno i massimi contrasti di temperatura, mentre in profondità le variazioni si attenuano. Alle medie latitudini, tra la superficie e alcune centinaia di metri la temperatura si mantiene relativamente alta; a 1000 m varia tra 3 e 5 ºC, a 2000 tra 2 e 3 ºC, a 3000 m è intorno ai 2 ºC e per profondità maggiori scende verso 0 ºC, per la presenza di correnti profonde subpolari e polari. L'andamento termico può assumere però forme molto più complesse in relazione alle variazioni di salinità delle acque; un aumento di salinità, e quindi di densità, può produrre a una certa profondità un ostacolo contro i moti convettivi verticali e la formazione di strati più freddi (o più caldi) incuneati entro masse d'acqua più calde (o più fredde).

Fisica: colore

Il colore dell'acqua di mare dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche delle acque e dalle particelle solide in sospensione (torbidità), oltre che dalle condizioni di luminosità del cielo che vi si riflette. Il colore azzurro-blu è determinato dalla diffusione, prodotta dalle stesse molecole d'acqua, delle radiazioni a breve lunghezza d'onda, mentre vengono maggiormente assorbite le lunghezze d'onda superiore. La tinta azzurra dominante può essere però più o meno alterata dall'assorbimento selettivo operato dai materiali in sospensione (argille, residui organici, ecc.) e dalle colonie di organismi planctonici. Generalmente la determinazione del colore del mare viene effettuata per confronto con scale colorimetriche convenzionali.

Fisica: legge generale dell'assorbimento

Delle radiazioni luminose che raggiungono la superficie del mare, solo una piccola parte (4-8%) viene riflessa e diffusa dalla superficie; la parte restante penetra nella massa acquea dove viene assorbita e trasformata in calore o in energia chimica per la fotosintesi clorofilliana. L'intensità della luce che penetra diminuisce gradualmente in funzione della lunghezza d'onda e dello spessore dello strato attraversato. La legge generale dell'assorbimento è per una radiazione di determinata lunghezza d'onda (λ) espressa dalla relazione dI=KI dx, dove dI è la diminuzione di intensità, dx lo spessore dell'acqua e K il coefficiente di proporzionalità, detto coefficiente d'assorbimento o d'estinzione, funzione a sua volta di λ. Il coefficiente d'assorbimento non varia però uniformemente con λ: è minimo per la luce azzurro-verde e aumenta sia verso l'ultravioletto sia verso l'infrarosso. Ne consegue che le prime radiazioni dello spettro luminoso a essere assorbite sono le ultraviolette, le ultime sono quelle corrispondenti alla luce azzurro-verde che può penetrare fino a una profondità di ca. 600 m. I valori dei coefficienti d'assorbimento dipendono poi notevolmente dai valori di salinità e soprattutto dal grado di torbidità dell'acqua.

Fisica: propagazione del suono

Il suono si propaga nel mare con velocità molto più alta che nell'aria e cioè a ca. 1500 m/s, con variazioni anche notevoli in rapporto alla salinità, alla temperatura e alla pressione. Al riguardo va ricordato che la velocità del suono aumenta con la temperatura di ca. 4,5 m/s per grado, con la salinità di ca. 1,3 m/s per ogni millesimo di variazione della salinità e con la profondità di ca. 1,70 m/s ogni 100 m. Le vibrazioni di frequenza ultrasonora subiscono assorbimento maggiore rispetto a quelle udibili. In assenza di fenomeni di assorbimento, riflessione e dispersione, l'intensità del suono decresce proporzionalmente al quadrato della distanza dalla sorgente. Poiché la propagazione del suono dipende da fattori che variano localmente e nel tempo, è necessario tener conto, nell'interpretazione del rilevamento con ecoscandagli, della direzione del fascio sonoro e dei diversi tipi di masse d'acqua attraversate.

Fisica: livello del mare e sue oscillazioni

Il livello del mare è la distanza verticale (quota) tra la superficie acquea e un punto fisso di riferimento sulla terraferma. Poiché la superficie marina è instabile e subisce variazioni nel tempo e nello spazio, la determinazione del suo livello richiede lunghe serie di osservazioni che vengono generalmente effettuate per mezzo di strumenti registratori, detti mareografi. I diversi valori si leggono ogni ora per giorni, settimane e mesi con cicli di osservazione di almeno 19 anni; ciò permette di eliminare le componenti verticali delle maree e di arrivare a una accurata determinazione del livello medio, utilizzato come piano di riferimento per determinare le quote dei punti sulla terraferma e la profondità del mare. Le variazioni di livello sono prodotte da molteplici fenomeni che tendono a far assumere alla superficie marina una configurazione diversa da quella che le sarebbe propria per l'azione della forza di gravità. Si distinguono fluttuazioni nello spazio e nel tempo. Le prime sono determinate soprattutto dalla forza di Coriolis che interviene per effetto della rotazione terrestre sulla massa d'acqua in movimento (variazioni di qualche decina di cm), dalla differenza di pressione atmosferica tra zona e zona della superficie e che tende a spostare l'acqua verso la zona di bassa pressione aumentandone il livello (1 mbar di differenza di pressione corrisponde a una differenza di livello di 1 cm), e infine da variazioni di densità, effetto questo particolarmente sensibile (anche 50 cm di dislivello) tra bacini o mari separati da lembi di terra. Le fluttuazioni nel tempo, tralasciando le oscillazioni irregolari del moto ondoso e quelle periodiche di marea, sono dovute a cause varie tra le quali prevalgono la variazione nel tempo dei grandi sistemi atmosferici (cicloni e anticicloni) e le più brusche variazioni prodotte da violente perturbazioni (burrasche); in entrambi i casi le differenze di pressione producono dislivelli da zona a zona di 10-20 cm. Variazioni di entità minore, non ancora sufficientemente spiegate, si registrano con ritmo annuale: è probabile che vi concorrano più fenomeni come variazioni stagionali di salinità e di temperatura, differenze stagionali di pressione atmosferica, moto dei venti e delle correnti. Esistono anche oscillazioni di livello a lungo periodo, legate a cause geologiche e geomorfologiche responsabili del fenomeno dell'eustatismo.§ Oltre alle oscillazioni di livello sopraddette, il mare è soggetto per l'azione dell'attrazione lunisolare, delle variazioni di salinità e temperatura, del vento, della rotazione terrestre, ecc., a movimenti di vario tipo. I movimenti principali del mare si possono distinguere in tre categorie: moti periodici (maree e sesse), moti costanti (correnti) e moti saltuari (moto ondoso); per la loro trattazione, vedi marea, sessa, corrente, onda

Morfologia: fondo marino

Spostandosi gradatamente dalla linea di costa che orla un continente verso fondali sempre più lontani sino a raggiungere la zona centrale dell'antistante oceano, si attraversano, in successione, tratti di fondo caratterizzati ognuno da una propria conformazione topografica e denominati: piattaforma continentale, scarpata continentale, soglia o rialzo continentale (non sempre presente), pianura abissale, rilievi oceanici e dorsale oceanica. Spesso l'insieme piattaforma-scarpata continentale viene chiamato zoccolo continentale. L'ampiezza relativa dei vari tratti è variabile secondo la sezione che si considera e, soprattutto, può cambiare notevolmente da un oceano all'altro. La piattaforma continentale presenta una pendenza media del 2 ‰ ca., risultando coperta da uno strato di acqua relativamente sottile (da poche decine sino a un massimo di 150-200 m). Vi sono stati messi in evidenza numerosi rilievi collinari a base molto larga e, meno frequentemente, depressioni vallive longitudinali: le forme sia positive sia negative comportano dislivelli massimi di 18-20 m. Il passaggio alla sottostante scarpata è contrassegnato da un brusco aumento della pendenza, che evidenzia una sorta di orlo morfologico, il cui tracciato planimetrico è frequentemente sinuoso, per la presenza di nicchie di erosione che si identificano con le testate di canyons sottomarini. La scarpata continentale si estende soprattutto in senso verticale (da -200 a -2500 m), raccordando, su brevi distanze, la piattaforma alla cosiddetta soglia continentale o direttamente alla pianura abissale. Oltre che dalla più accentuata inclinazione (4-5º in media), la scarpata è contraddistinta da una più tormentata morfologia nella quale si distinguono forme negative (solchi vallivi dei canyons) e positive (dossi e costolature fra i predetti). La morfologia è mutevole nel tempo per il frequente verificarsi di franamenti che coinvolgono essenzialmente i sedimenti non ancora litificati ivi presenti. Il passaggio dalla scarpata alla soglia continentale è indicato dalla graduale diminuzione di acclività del profilo del fondo marino che si manifesta abitualmente oltre i 2500 m di profondità. La soglia continentale può estendersi dal piede della scarpata verso il largo per diverse centinaia di chilometri (400-600 km), rivelando un'inclinazione debole (1-2º), ma non uniforme, per la presenza di numerose irregolarità, molte delle quali direttamente connesse a quelle descritte per la scarpata (canali e conoidi sottomarini). Alla profondità di 4-5000 m, la soglia si raccorda alla pianura abissale, che rappresenta il tipico fondo marino. Nella piatta e monotona configurazione di quest'ultima si inseriscono alcune forme secondarie, la cui presenza permette talora di suddividere la stessa in più settori. Ciò si verifica soprattutto laddove esistono rilievi o depressioni contraddistinti da un notevole sviluppo longitudinale. Fra le forme positive spiccano in primo luogo le dorsali medio-oceaniche. Altri rilievi, meno imponenti e con fianchi meno abrupti, sono le soglie di fondale che isolano, nell'ambito di una pianura abissale, diversi bacini secondari. Tra le forme negative assumono notevole risalto le fosse oceaniche che si estendono in profondità al di sotto dei 6000 m, con pareti estremamente ripide e notevole sviluppo longitudinale. Pareti egualmente erte, ma con estensione e ampiezza minori, sono invece proprie dei varchi che tagliano trasversalmente le dorsali. Per le depressioni che non si spingono oltre i 6000 m di profondità e che, soprattutto, sono caratterizzate da una minor acclività dei versanti, si usano i termini di solco e di doccia. I rilievi isolati che si innalzano sui fondali hanno generalmente origine vulcanica (coni e creste di vulcani sottomarini); sono contraddistinti con termini diversi in funzione dell'altezza e della configurazione morfologica. Si parla di montagne e di picchi sottomarini per i rilievi a forma conica alti più di 1000 m e con fianchi rispettivamente poco o molto ripidi; quando presentano una spianata sommitale sono detti guyot. Vengono infine denominati colline sottomarine quei rilievi isolati che non si elevano oltre i 1000 m di altezza rispetto alla circostante pianura abissale, e banchi i rilievi che, elevandosi sia dai maggiori fondali sia dalla piattaforma, raggiungono profondità inferiori ai 200 m.

Geomorfologia: azione del mare

Il mare è uno degli agenti preminenti nell'azione di modellamento della superficie terrestre: oltre a esercitare un'attività morfogenetica propria riguardante lo scolpimento di preesistenti superfici topografiche o la formazione di altre nuove, assolve anche la funzione di fattore condizionatore nei confronti di quella esplicata dalle acque correnti e dai ghiacciai, attraverso il controllo del livello di base dell'erosione subaerea. I processi attraverso i quali il mare esplica le sue funzioni modellatrici sono essenzialmente di natura fisica: abrasione per la fase distruttiva, sedimentazione per quella costruttiva. A questi processi fisici se ne affiancano altri di natura chimico-fisica (corrosione e deposizione chimica) e biochimica (organismi distruttori e costruttori), che, di solito, mantengono un ruolo collaterale. § L'enorme quantità di energia necessaria per lo svolgimento dei processi fisici summenzionati è fornita dai principali movimenti (moto ondoso, maree e correnti) che animano le masse d'acqua marine. L'abrasione, che rappresenta il primo stadio del ciclo morfogenetico del mare, è un tipico processo distruttivo, conseguente al lavoro di usura esercitato dalle onde contro i materiali che formano le coste. Lo svolgimento del processo è in parte legato all'energia idraulica, ma soprattutto al fatto che le onde, quando raggiungono i fondali bassi, si caricano di detriti (ciottoli, ghiaie e sabbia) e, dopo averli trascinati sul fondo, li scagliano violentemente contro la costa. Gli attriti da rotolamento e gli urti danno luogo a fenomeni di abrasione, nonché di corrasione e di scultura, che portano al progressivo smantellamento anche delle rocce più dure. I detriti risultanti dai processi abrasivi si mescolano poi con quelli preesistenti e, urtandosi vicendevolmente, si sminuzzano ulteriormente, finché le onde di risacca o le correnti litorali non li disperdono al largo. Agendo con queste modalità, il processo dell'abrasione marina modifica gradualmente la morfologia del litorale e della costa retrostante. Di norma la fisiografia di un litorale esposto all'azione smantellatrice delle onde comporta l'esistenza di una piattaforma di abrasione nella parte sommersa e di una falesia in quella emersa. La piattaforma corrisponde in particolare a una superficie rocciosa livellata intagliata dal moto ondoso a una profondità grosso modo equivalente alla metà dell'altezza delle onde locali. Verso il margine esterno questa superficie può essere ricoperta da una fascia di sedimenti in via di accumulo, il cui spessore aumenta rapidamente procedendo verso il mare aperto. La piattaforma tende ad accrescersi col procedere dell'azione abrasiva. Decorso opposto segue invece l'evoluzione della falesia, che comporta dimensioni e forme molto più accentuate nelle fasi iniziali e gradualmente riducentisi via via che procede l'espansione della piattaforma. La genesi della falesia è infatti legata alla localizzazione dell'abrasione marina nella porzione di costa direttamente investita dalle onde cariche di energia, localizzazione che raggiunge l'acme in corrispondenza della ristretta fascia intercotidale, dove appunto si crea il caratteristico solco del battente. Quando l'approfondimento di questa nicchia oltrepassa il limite di autosostentamento della sovrastante massa rocciosa, subentrano fenomeni di crollo, comportanti bruschi arretramenti della falesia. I blocchi che si accumulano sulla piattaforma di abrasione vengono a loro volta ad assumere la funzione di scogliere naturali frangiflutti e, come tali, arrestano o quantomeno attenuano momentaneamente l'abrasione marina ai piedi della falesia stessa. La permanenza della congerie di blocchi rocciosi è abitualmente breve nel caso di piattaforme appena abbozzate, mentre tende a durare via via che la piattaforma stessa si espande. In conseguenza del suddetto graduale affievolimento dei processi abrasivi legati al moto ondoso, la scarpata della falesia assume un profilo sempre più smussato, per intervento dei normali agenti di modellamento subaereo (disgregazione e disfacimento, acque dilavanti, ecc.), il cui ruolo era in precedenza offuscato dalla predominante azione dell'abrasione. La morfogenesi di una costa di abrasione può risultare condizionata anche da alcuni fattori contingenti che ne possono modificare il ciclo evolutivo: tra i principali, quelli litologici, strutturali e morfologici. I fattori litologici e strutturali interessano le proprietà fisico-meccaniche delle rocce (coesione, compattezza, resistenza all'usura, presenza di superfici di strato o di frattura e orientamenti delle medesime rispetto alla superficie topografica) e possono accelerare o rallentare i processi di abrasione: così, per esempio, a parità di altre condizioni, una falesia modellata in roccia incoerente arretra più rapidamente di una scolpita in roccia coerente e compatta, e una falesia impostatasi in roccia stratificata a franapoggio retrocede più velocemente di una impostata in roccia con strati orizzontali o a reggipoggio. L'influenza dei fattori morfologici si manifesta attraverso il controllo dell'intensità con la quale le onde possono raggiungere una costa rocciosa. In questo senso si possono distinguere, per esempio, le coste rettilinee, uniformemente esposte all'azione abrasiva delle onde, da quelle frastagliate, nelle quali l'azione demolitrice delle onde risulta concentrata sui tratti sporgenti. Analogamente si possono rilevare sostanziali differenze fra coste caratterizzate da fondali uniformi, sufficientemente profondi perché le onde giungano a riva cariche di energia, e altre contraddistinte da fondali irregolari che provocano fenomeni di rifrazione delle onde. L'andamento dei fondali è un fattore importante anche nei confronti dell'attività costruttiva del mare, cioè la sedimentazione, poiché ne condiziona l'attività dei principali agenti, correnti libere, correnti di marea e onde di risacca. Tutti questi agenti, e in particolare le correnti di marea e le onde di risacca, sfruttano infatti l'energia derivante dallo scorrimento di masse d'acqua lungo superfici inclinate. È quindi ovvio che la regolarità dei loro percorsi è strettamente collegata a quella dei fondali. Per quanto riguarda gli ambienti nei quali si realizza l'attività modellatrice costruttiva del mare, il più noto è quello litorale di mare basso, dove hanno origine forme che, col tempo, si elevano al di sopra del livello medio del mare (barre e cordoni litorali, lidi, tomboli, ecc.) o si saldano direttamente alle terre emerse, portando a un ampliamento graduale delle spiagge. Accanto all'ambiente litorale, meritano di essere ricordati quello neritico (dove si formano coltri sedimentarie abbastanza uniformi) e, soprattutto, quello batiale-pelagico, dove, allo sbocco dei canyons sottomarini, si formano piatti conoidi di dimensioni talora gigantesche, dovuti all'apporto di correnti di torbida, provenienti dalle sovrastanti scarpata e piattaforma continentali.

Ecosistema: classificazione secondo gli organismi

Una classificazione ecologica degli organismi marini sia vegetali sia animali si può basare in genere sul tipo di habitat da questi prescelto. Innanzitutto si distingue l'ambiente costituito dalla massa d'acqua, detto pelagico, da quello rappresentato dal fondo, detto bentonico, ognuno popolato in genere da specie differenti o da individui in diverse fasi del proprio ciclo biologico. Questi due ambienti sono suddivisi in zone in base alla vicinanza o meno alla costa e alla profondità. In base alle caratteristiche dei vari ambienti biologici marini, si hanno numerosi popolamenti di organismi molto spesso assai diversi gli uni dagli altri; i principali fattori ecologici che condizionano la presenza e il mantenimento dell'equilibrio di un determinato ecosistema marino sono il tipo di substrato dei fondali, la natura della vegetazione (quando è presente), la temperatura, densità, salinità e clorinità dell'acqua, l'effetto di correnti e maree, il carattere del moto ondoso, la luminosità, la pressione e la profondità, il grado di trasparenza del mezzo liquido. Scendendo dal litorale o dalle acque di superficie verso la profondità, si può comunque distinguere una netta zonazione di diversi biotopi, caratterizzati ognuno da faune e flore particolari.

Ecosistema: organismi bentonici

Gli organismi bentonici conducono la propria esistenza in rapporto col fondo marino: più precisamente si distingue un fitobenthos, costituito da alghe (Rodoficee, Cloroficee, Feoficee, Cianoficee, ecc.), da macrofite zosteracee e, per convenzione, da batteri e uno zoobenthos composto da soli organismi animali, con rappresentanti praticamente di tutti i principali phyla. Gli organismi vegetali e animali che hanno rapporti esclusivamente con la superficie del fondo marino costituiscono rispettivamente l'epiflora e l'epifauna. Circa l'epifauna è possibile un'ulteriore distinzione in base alle capacità di spostamento: si dice sessile quella formata da gruppi animali che trascorrono la vita adulta fissati costantemente al fondo, come Poriferi, Celenterati Antozoi (anemoni di mare, coralli e madrepore, ecc.), Briozoi, Ascidiacei, Cirripedi incrostanti (per esempio, balani); sedentaria quella capace di spostamenti modestissimi sul substrato (caratteristici gli Echinodermi), vagile quella capace di movimenti veri e propri sul fondo (Crostacei, Molluschi e vermi in genere). Non mancano organismi epibentonici natanti, che si muovono nuotando, rimanendo sempre nell'ambito del substrato, a cui sono strettamente legati per necessità trofiche e riproduttive o in cui trovano rifugio, come pesci (Soleidi), Molluschi e alcuni crostacei. Gli animali che conducono vita all'interno del substrato costituiscono invece l'infauna o endofauna: in proposito le caratteristiche fisico-chimiche dei fondali (sabbie, fanghi, rocce, ciottoli, ecc.) giocano un ruolo di primaria importanza per l'impianto di un benthos particolare. L'endofauna di fondi duri comprende specie capaci di scavarsi ripari e cunicoli nelle rocce, nelle argille o nei legni sommersi; notissimi, tra i Molluschi Bivalvi, i litodomi, le foladi e le teredini; ma non mancano Poriferi (per esempio, le spugne del genere Cliona) che possono in gran quantità distruggere chimicamente superfici calcaree rocciose e gusci di molluschi. Innumerevoli altri organismi dell'endofauna vivono poi come commensali o come semplici inquilini nei cunicoli e negli anfratti così provocati e ingranditi per ulteriore erosione dal moto ondoso. I fondi molli ospitano un'endofauna essenzialmente scavatrice e detritivora; nella sabbia vengono scavate gallerie dai Policheti; molti bivalvi si infossano nei fondi incoerenti; svariati crostacei, gasteropodi, scafopodi ed echinodermi ofiuroidei vi trovano pure rifugio e optimum trofico. Infine la ricchissima e molto minuta fauna interstiziale, che occupa gli spazi esistenti tra i granuli di materiale incoerente dei fondi sabbiosi e limosi e principalmente rappresentata da piccolissimi crostacei, Nematodi, Turbellari, Gastrotrichi, ecc., viene denominata mesopsammon.

Ecosistema: organismi pelagici

Gli organismi pelagici sono quelli liberi di spostarsi in seno alla massa d'acqua marina. Tra di essi occorre distinguere le specie nectoniche, capaci di controllare attivamente la velocità e la direzione del proprio movimento, da quelle planctoniche, che vengono trasportate passivamente dal gioco delle correnti e delle onde. Degli organismi nectonici fanno parte la grande maggioranza dei Pesci, alcuni molluschi cefalopodi (totani e calamari), i cheloni marini tra i Rettili, Cetacei, Sirenidi e Pinnipedi tra i Mammiferi. Il plancton comprende sia animali (zooplancton) sia vegetali (fitoplancton). Il fitoplancton (alghe unicellulari: Cianoficee, Diatomee, Xantoficee, Fitoflagellate e Dinoflagellate, ecc.) costituisce, assieme a numerosi batteri pure fotosintetici, l'importantissima categoria dei produttori primari degli ecosistemi marini, l'equivalente dei vegetali terrestri. Al confronto, la produttività delle alghe bentoniche e delle praterie di posidonie non è altrettanto rilevante. I consumatori primari degli ecosistemi marini appartengono in prevalenza allo zooplancton; quest'ultimo comprende svariatissimi esponenti del regno animale: tra gli oloplanctonici, organismi dal ciclo biologico completamente planctonico, i Protozoi Foraminiferi e Radiolari, Celenterati Scifozoi (meduse) e Sifonofori (Fisalia, Velella), Ctenofori (quasi esclusivamente planctonici), Turbellari, Rotiferi, Crostacei (Cladoceri, Ostracodi e Copepodi, tra i più noti), Chetognati, un gruppo di oloturie molto specializzato tra gli Echinodermi e Tunicati liberi, che possono anche costituire vistose colonie galleggianti. Tra i meroplanctonici, organismi che passano allo stato pelagico solo una parte della loro vita, uova e stadi larvali di molti gruppi, per esempio, di Crostacei Decapodi, Echinodermi, Molluschi, Pesci, ecc. Il ciclo della materia e dell'energia nelle acque marine, come in ambiente subaereo, non può inoltre procedere in assenza di organismi demolitori: ecco quindi l'importanza fondamentale della categoria dei batteri saprobi degli strati inferiori. Essi consumano ulteriormente i detriti d'origine organica e le spoglie di organismi del necton e delle piogge planctoniche (indicati nel complesso col termine di tripton), che cadono al fondo, liberando enormi quantità di sostanze minerali e arricchendo così le acque inferiori. Una tale abbondanza di materiali primari, grazie al moto delle correnti ascensionali marine, contribuisce alla fertilizzazione del fitoplancton dello strato ben illuminato e alla sua rapida moltiplicazione. Questo processo va a beneficio della prima categoria dei consumatori, lo zooplancton fitofago, e in conseguenza dell'attivo sviluppo di questo anche degli altri consumatori (i carnivori) secondari, terziari, ecc. § Alcuni popolamenti di tipo marino, ma differenziati in conseguenza delle condizioni particolari dell'ambiente in cui sono confinati, sono quelli delle zone tropicali a mangrovie, delle barriere coralline e delle scogliere, dei bacini salmastri, per i quali vedi mangrovia, scogliera, salmastro.

Ecologia

I problemi ecologici del mare sono stati affrontati dalla Conferenza dell'ONU su ambiente e sviluppo tenutasi nel 1992 a Rio de Janeiro, nell'ottica dello “sviluppo sostenibile”. Uno dei documenti fondamentali della Conferenza, l'Agenda 21, dedica alla protezione degli oceani, dei mari e al razionale uso delle loro risorse un capitolo costituito di 137 paragrafi che indica le seguenti finalità prioritarie: evitare alterazioni negli ecosistemi; proteggere gli ambienti ecologicamente fragili; salvaguardare le specie viventi; elaborare politiche in favore dei Paesi sottosviluppati, assicurare alle generazioni future la disponibilità delle risorse marine. Tali risoluzioni sono state ribadite nel vertice internazionale di Johannesburg del 2002, durante il quale sono stati inoltre presi accordi internazionali relativi alla protezione degli oceani e all'incentivazione di pratiche di pesca sostenibile. Sul mare, infatti, si concentra una serie numerosissima e complessa di usi che ricadono con la massima intensità sulle aree costiere, ma i cui effetti rischiano di estendersi sempre più ampiamente all'intero ecosistema oceanico: essi vanno dalle strutture portuali alla navigazione; operata da vettori la cui portata media è molto cresciuta con il conseguente aumento esponenziale dell'impatto ambientale; dallo sfruttamento delle risorse energetiche (idrocarburi, con impianti offshore; fonti rinnovabili, come l'energia delle maree) e minerarie allo scarico di materiali solidi e liquidi, pretrattati o meno; dalla difesa militare alla ricerca scientifica; dall'uso del tempo libero alla strutturazione del waterfront, ovvero dell'interfaccia terra-mare (bonifiche litoranee, edificazione a scopo residenziale o ludico, opere di protezione delle spiagge, dighe foranee e pontili, oltre alle strutture portuali vere e proprie, anche specializzate in funzione turistica); dallo sfruttamento delle risorse biologiche (pesca, acquacoltura) alla loro conservazione. I processi di urbanizzazione e industrializzazione costiera, particolarmente accelerati durante la rivoluzione industriale e fino ai primi anni Ottanta del sec. XX, hanno fatto ipotizzare la formazione di una “ecumene marittima”, in cui si sarebbe riversata gran parte della popolazione e delle attività economiche del pianeta. Le ripetute crisi economiche e le innovazioni tecnologiche, mettendo in discussione il modello di sviluppo fondato sulla polarizzazione e la grande dimensione agglomerativa, hanno forse allontanato – se non dissipato – tale scenario, suggestivo quanto carico di pericolosi squilibri. In alcune aree emergenti che affrontano solo ora la fase di decollo industriale, la tendenza verso gli sbocchi marittimi permane tuttavia forte: per esempio, nel caso della Cina, la creazione di Zone economiche speciali nelle aree litoranee ha nuovamente sbilanciato il modello insediativo, per un certo periodo rivolto alla valorizzazione delle regioni interne. Nei Paesi a economia matura, invece, e particolarmente nelle facciate atlantiche, sia statunitense sia europea, il recupero di aree portuali dismesse ha generato importanti progetti di ristrutturazione urbana, volti alla conservazione dei manufatti di “archeologia industriale” e alla nuova fruizione degli spazi da parte delle collettività locali.

Economia: risorse

Tra le risorse economiche del mare, le più importanti sono rappresentate dagli idrocarburi (gas naturale e petrolio), ottenibili mediante perforazione ed estrazione dalla piattaforma continentale. L'attività di trivellazione sottomarina, iniziata da relativamente poco tempo, si è fatta sempre più intensa e la produzione da impianti offshore raggiunge quantità di rilievo. È probabile che in futuro si riuscirà a realizzare sistemi economici di sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio presenti, a livelli più profondi, nella scarpata e nello zoccolo continentali. Sempre nella piattaforma continentale è stata accertata la presenza di vasti depositi di stagno, titanio, fosforo ecc., ma – al momento – i costi associati alla prospezione e allo sfruttamento di queste risorse sono più elevati di quelli corrispondenti alle risorse terrestri. Un'altra immensa ricchezza del mare è quella rappresentata dai noduli polimetallici giacenti sui fondali oceanici profondi: tali noduli (dalle dimensioni di qualche centimetro e disposti in strati di alcuni metri di spessore) contengono manganese e ferro, spesso associati a discrete quantità di nichel, titanio, rame e cobalto: oggi non è ancora possibile la loro coltivazione mineraria in quanto le tecniche estrattive disponibili non sono applicabili alle profondità in cui essi si trovano. La stessa impossibilità vale anche per i depositi di solfuri polimetallici, scoperti di recente sul fondo marino. È iniziata, invece, l'estrazione da depositi marini – su scala commerciale – di sabbia e ghiaia da utilizzare come materiali da costruzione.

Diritto

Il diritto distingue il mare in: libero (alto mare), territoriale, acque interne o nazionali. L'alto mare è sottratto alla sovranità di qualsiasi nazione. In proposito l'art. 2 della Convenzione di Ginevra stabilisce: “Poiché l'alto mare è aperto a tutte le nazioni, nessuno Stato può legittimamente pretendere di sottometterne una qualsiasi parte alla sua sovranità. Le libertà dell'alto mare si esercitano alle condizioni che pongono i presenti articoli e secondo le altre regole del diritto internazionale”. S'intende per mare territoriale una certa fascia del mare che si trova adiacente alle coste. In passato l'ampiezza del mare territoriale era pari alla gettata massima di un cannone, attualmente l'estensione della zona di mare soggetta alla sovranità dello Stato è di 6 miglia marine lungo le coste insulari e continentali dello Stato. Tale estensione si misura dalla linea costiera segnata dalla bassa marea. Il mare interno o nazionale è la fascia di acque che risulta determinata dal tracciato della linea costiera e dalla linea base del mare territoriale tutte le volte che questa seconda linea, che è tracciata artificialmente, si discosta dalla prima. La disciplina di queste acque interne o nazionali è identica a quella che lo Stato ha sul proprio territorio in senso stretto. Per quanto concerne la piattaforma continentale, la legge 21 luglio 1967, n. 613, definisce per piattaforma continentale il fondo e il sottofondo marino adiacente al territorio della penisola e delle isole italiane e situato al di fuori del mare territoriale fino al limite corrispondente alla profondità di 200 m od oltre tale limite fino al punto in cui la profondità delle acque sovrastanti permette lo sfruttamento delle risorse naturali di tali zone. Dopo il susseguirsi di numerosi “incidenti” che hanno provocato notevoli conseguenze sulla salute del mare costiero è stata adottata la legge 28 febbraio 1992, n. 220. Tale legge di tutela sottopone a valutazione di impatto ambientale (VIA) la costruzione di terminali per il carico e lo scarico di idrocarburi e di sostanze pericolose; la realizzazione di condotte sottomarine per il trasporto di tali sostanze; e lo sfruttamento minerario della piattaforma continentale. La stessa legge istituisce un consorzio obbligatorio per il trattamento delle acque di lavaggio delle navi che trasportano idrocarburi e sostanze pericolose. § La considerazione geografico-economica del mare si è profondamente trasformata a seguito dei nuovi orientamenti giuridici emersi nelle sedi internazionali, grazie a una più matura e approfondita valutazione dei problemi ambientali e, globalmente, di una visione regionale che supera largamente la tradizionale concezione del mare come tramite, per farne parte integrante dei processi organizzativi territoriali, innanzi tutto nelle fasce costiere. La 3ª Conferenza dell'ONU sul diritto del mare, conclusasi dopo quasi un decennio di lavori, con la firma del trattato di Montego Bay (1982) che modifica profondamente la precedente Convenzione di Ginevra, ha gettato le basi per una vera e propria “regionalizzazione” del mare: essa, infatti, ha affiancato alla categoria del mare territoriale, esteso a 12 miglia marine dalla linea di costa, quelle di zona contigua (ulteriori 12 miglia) e di zona economica esclusiva che gli Stati litoranei possono dichiarare fino a 200 miglia dalla linea di costa. Sono state introdotte, inoltre, le categorie della zona di pesca esclusiva, delle acque arcipelagiche e dei fondi marini internazionali, da sottoporre ad apposite convenzioni. In tal modo, le fasce di giurisdizione nazionale sono arrivate a coprire circa il 20% della superficie oceanica complessiva. Ne sono derivate, invero, sensibili discrasie rispetto alla struttura morfologica dei fondi marini: in particolare, il limite della zona economica esclusiva coincide molto raramente con il bordo esterno del margine continentale, generalmente identificato nella piattaforma continentale (isobata di 200 m). Si determinano, pertanto, casi di governo non razionale del mare, sia quando la fascia di giurisdizione nazionale risulti eccessiva rispetto a tale limite fisico, sia quando essa – ove, per esempio, uno Stato litoraneo non dichiari la propria zona economica esclusiva – risulti, al contrario, di estensione insufficiente.

Bibliografia

F. Mosetti, Oceanografia, Udine, 1964; M. M. Hill (a cura di), The Sea, New York, 1966; R. C. Miller, Il mare, Milano, 1968; G. L. Pickard, Descriptive Physical Oceanography, New York, 1968; P. H. Weyl, Oceanography, an Introduction to the Marine Environment, New York, 1970; R. S. Barnes, R. N. Hughes, Introduzione all'ecologia marina, Padova, 1990.

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