melòlogo

sm. (pl. -ghi) [sec. XVIII; melo-+-logo]. Recitazione parlata sostenuta da un accompagnamento musicale realizzato da uno strumento, da un gruppo strumentale o da un'orchestra. Mentre in Italia la tradizione del melologo è sostanzialmente assente, esempi numerosi se ne incontrano in Francia (Pygmalion, 1762, di J.-J. Rousseau), in Germania (Ariadne auf Naxos, 1775, e Medea und Jason, 1775, di G. Benda) e in altri Paesi europei. Un celebre esempio di melologo si ha nelle musiche di scena di Beethoven per l'Egmont di Goethe. Tra gli esempi moderni è da annoverare Enoch Arden (1898), di R. Strauss. Alla tradizione del melologo si riallacciano per certi aspetti il Pierrot Lunaire (1912) e le altre composizioni di A. Schönberg, che fanno uso della voce recitante (Kol Nidre, 1938; Ode to Napoleon, 1942; A Survivor from Warsaw, 1947); tuttavia il complesso trattamento della voce isola, sotto altri punti di vista, queste opere dal melologo per ricollegarle piuttosto alle numerose esperienze che, nel sec. XX, hanno completamente rinnovato la tecnica vocale, sia nell'ambito del canto solistico, sia di quello corale.

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