mitridatismo

sm. [da Mitridate VI re del Ponto, con allusione alla sua presunta assuefazione ai veleni, acquisita con la progressiva assimilazione di dosi crescenti di sostanze tossiche]. Rara forma di resistenza antitossica che si stabilisce in taluni individui in seguito all'assunzione ripetuta di veleni. Consiste nella desensibilizzazione di un organo all'effetto di tossici che agiscono specificamente su di esso; ciò vale anche quando l'organo è sede di accumulo, di assorbimento o di trasporto del tossico in questione. Un esempio di mitridatismo è la cosiddetta arseniofagia, che si osserva in individui i quali sono abituati a tollerare senza alcun danno dosi di 25-30 centigrammi di arsenico al giorno introdotti per via orale. In questi soggetti l'arsenico provoca un'irritazione cronica dell'intestino (colite arsenicale) che, una volta instaurata, assicura per lungo tempo un limitato assorbimento dell'arsenico, e quindi la resistenza dell'organismo a questo veleno.

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