Definizione

(ant. monastèrio, monistèro), sm. [sec. XIII; dal latino ecclesiastico monasteríum, dal greco monasterion, da monastes, chi vive da solo, monaco]. In senso generale, la casa comune dei monaci o delle monache. Per la fondazione di monasteri il diritto canonico richiede l'autorizzazione della Santa Sede e il consenso scritto dell'ordinario del luogo. Caratteristica del monastero rimane sempre, tuttavia l'autonomia che, essendo ogni monastero sui iuris, si esplica nell'indipendenza giuridica in campo sia temporale sia spirituale: nel governo ordinario interno, cioè, il monastero è soggetto solo al superiore eletto all'interno della comunità monastica. Se il superiore ha il titolo di abate, allora il monastero si chiama abbazia; se al superiore compete il titolo di priore, si chiama priorato.

Cenni storici

Nel periodo iniziale i monasteri dipendevano dal vescovo nella cui giurisdizione erano sorti, ma più tardi ottennero privilegi da papi e imperatori e gradatamente giunsero a forme di completa esenzione dal vescovo locale acquistando un'autonomia, che fu poi una caratteristica essenziale al loro ulteriore sviluppo. Le invasioni barbariche non apportarono gravi danni ai monasteri e questi poterono prosperare accumulando privilegi, rendite e territori (grangia). Specialmente nel Medioevo i monasteri oltre al loro compito primario di centri della vita religiosa, ebbero anche l'importante funzione di centri sociali e culturali: il monastero di Montecassino, per esempio, organizzò il dissodamento delle terre del suo territorio, educando i contadini al lavoro metodico dei campi; aprì scuole per i ragazzi e i giovani, istituì centri superiori di studi; conservò con grande pazienza e perizia numerosi testi dell'antichità classica e il suo scriptorium fu tra i più celebri in Europa. Questa immensa attività fu imitata anche a Cluny, a Einsiedeln, a Fulda e in numerosi altri monasteri sparsi per tutta l'Europa. Ai monasteri dell'Europa settentrionale va il merito di aver divulgato e conservato la parola del Vangelo e di aver dato a questi immensi territori i mezzi per la formazione della loro prima cultura. Con la fine del Medioevo e specialmente con la Riforma protestante che sottrasse buona parte delle regioni nordiche alla Chiesa di Roma, tutti i monasteri in esse già fiorenti decaddero e anche nelle terre rimaste fedeli a Roma la vita monastica subì una drastica riduzione per essere sostituita con nuove forme di apostolato più vicine ai fedeli (forme assistenziali, predicazione, missioni, ecc.). I monasteri decaddero in gran numero anche se alcuni (come, per esempio, Montecassino) seppero conservare una parte del loro antico splendore. Oggi la vita monastica è ridotta a pochi ordini che vedono diminuire sempre di più il numero di nuovi aderenti e devono spesso aprirsi, anche per ragioni economiche, a forme esterne di apostolato.

Architettura

Le strutture del monastero come organismo architettonico vennero definendosi in stretta dipendenza dalla regola delle comunità religiose che, espressione di uno stile di vita pratica oltre che spirituale, imponevano di adempiere a ben individuate funzioni. Dalle embrionali forme di vita religiosa comunitaria nelle laure e nei cenobi, e dai primi più complessi organismi monastici dell'area nordafricana e medio-orientale, in particolare dell'Egitto (Monastero Bianco e Monastero Rosso a Sohag; Monastero di S. Geremia a Saqqâra, sec. V) e della Siria (S. Simeone Stilita a Qalat Siman, sec. V); dai più antichi monasteri irlandesi (sec. V-VI), con edifici e torri isolate entro un muro di cinta (Armach) e dai primi nuclei benedettini (Subiaco, Terracina, Montecassino), punto di partenza di una lunga evoluzione che intorno al sec. IX diede vita a complessi organismi architettonici, scaturirono due tipologie fondamentali. La prima, diffusa nell'area dell'Europa orientale e del Medio Oriente, in particolare in Egitto, Siria, Cappadocia, Armenia (sebbene con qualche variante), Grecia, regione balcanica, e in tutti i territori nei quali l'arte bizantina esercitò il suo influsso diretto, è imperniata sull'organizzazione delle celle, ambienti comuni (refettorio, biblioteche, scriptoria), servizi (cucine, magazzini, ecc.) e dipendenze, in una cortina continua che si articola intorno a un cortile, al centro del quale si erge, libera, la chiesa (monastero di Dafni, Manasija, Monte Santo, Meteore); la cortina assolve, oltre alle funzioni pratiche d'organizzazione interna, a quelle funzioni di difesa che, dal “muro di San Pacomio” (sec. V), protezione degli eremiti raccolti intorno al santo, ai monasteri-fortezza di Patmo e di Mont-Saint-Michel, o dei templari e dei gerosolimitani in Siria, sono proprie del monastero medievale in Oriente e in Occidente. La seconda di queste tipologie, diffusa in tutta l'area dell'Europa occidentale, è caratterizzata dalla convergenza degli ambienti principali (refettorio, sala capitolare, dormitori, portineria; più raramente biblioteca e appartamenti dell'abate) attorno a uno o più chiostri (vedi certosa), adiacenti alla chiesa e in genere su un lato di essa. La tipologia occidentale, già ben definita al momento della grande espansione dell'ordine benedettino in età carolingia e post-carolingia (monasteri di Fulda, Lorsch, Resenburg), si manifestò in una crescente complessità di strutture per le molteplici funzioni che venivano accentrandosi intorno al monastero, che finì con l'assumere l'aspetto di una città in miniatura, con laboratori artigianali e scriptoria, orti e stalle per l'allevamento, foresterie, ospizi, ospedali e cimitero. Centro autonomo di vita sociale, culturale ed economica, il monastero si ampliò secondo schemi di aggregazione reticolare di cui la pianta dell'abbazia di S. Gallo (sec. IX) offre un esempio lampante; la sua organizzazione formale si ricollega intenzionalmente, secondo lo spirito medievale, all'ideologia scolastica e alla simbologia cristiana. Questo tipo d'impianto fu costante per tutto il Medioevo e oltre, nelle due fondamentali accezioni stilistiche cluniacense (Cluny) e cistercense (Citeaux, Clairvaux, Pontigny, Morimond, La Férté, Fontainay, Fountains Abbey, Casamari, Chiaravalle Milanese, ecc.), che individuano i due grandi filoni dell'architettura gotica, oltre che nelle spoglie forme architettoniche adottate dagli ordini mendicanti (Subiaco, Sacro Speco; Assisi, S. Francesco). Gli schemi risultanti da un'aggregazione di edifici tendente all'organicità lasciarono il posto, dal Rinascimento in poi e sulla scia dell'edilizia civile e aulica, a complessi unitari nei quali le funzioni dei diversi settori non sono leggibili all'esterno (sec. XVI-XVIII); l'Escorial ne è un prototipo ed è anche il punto d'avvio di una tradizione cui possono essere ricondotti gli edifici monastici successivi, dalla certosa di S. Martino (Napoli, sec. XVII) all'estrema fioritura delle abbazie tedesche nel sec. XVIII (Melk, Einsiedeln, ecc.). Tra gli edifici contemporanei merita di essere ricordato il monastero di La Tourette, di Le Corbusier, che interpretò, inserendola in forme attuali, una tradizione millenaria di vita attiva e contemplativa.

Bibliografia

D. U. Berlière, L'ordine monastico dalle origini al sec. XII, Bari, 1928; Th. Schaefer, De religiosis, Roma, 1940; R. Bosi, Monasteri italiani, Bologna, 1990.

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