Descrizione generale

sf. [sec. XV; dal francese mosquée, di origine ispano-araba]. Luogo di culto islamico. Nei tempi più antichi la moschea non era riservata unicamente alla preghiera in comune, ma aveva anche le funzioni del majlìs, il parlamento delle tribù arabe, e gli stessi caratteri di sacralità (haràm) e di inviolabilità (hima). Vi si discutevano i problemi della comunità, si esercitava la giustizia, si conservava il tesoro, si insegnava il Corano; anche quando il carattere sacrale prese il sopravvento, la moschea rimase sotto molti aspetti polifunzionale. La definizione architettonica della moschea non fu immediata: le prime di cui si hanno notizia (Bassora e Kufa) erano semplicemente tracciate sul terreno, l'una delimitata da fascine, l'altra da un fossato; in un secondo momento furono protette da una tettoia di tronchi di palma o di colonne sorreggenti un tetto piatto solo sul lato della qibla (direzione della Mecca): l'unica esigenza liturgica era infatti quella dell'orientamento della preghiera. Solo agli inizi del sec. VIII la qibla fu evidenziata dal mihrāb, destinato a divenire il punto focale della moschea, che venne precisandosi in una costruzione rettangolare composta di due elementi: un cortile aperto e una sala coperta. Il cortile (saḥn) è circondato da portici, che sul lato della qibla aumentano di numero, formando una sala larga, coperta da un tetto piatto. Con poche varianti, questo è stato il tipo canonico della moschea per molti secoli, anche se venne realizzato per la prima volta nel 670 da architetti “pagani”, forse persiani, nella ricostruzione della primitiva moschea di Kufa. La sala di preghiera, coperta, era chiamata al-īwān al-qiblī, o più semplicemente līwān. Nelle moschee della comunità, dove si svolgeva la solenne preghiera del venerdì, a destra del miḥrāb, incastrato sul muro di fondo del līwān, si trova il minbar, da cui veniva recitata la khutba, discorso d'ispirazione politica nei primi tempi dell'Islam, e poi semplicemente un'omelia. Un recinto protetto da grate di legno, davanti al miḥrāb, formava la maqṣūra, riservata al principe, cui spesso si poteva accedere mediante un largo colonnato, specie di transetto, che tagliava le navate del līwān, e terminava sul fondo con uno spazio cupolato. Il richiamo per le preghiere canoniche veniva fatto in origine dal tetto degli edifici; solo più tardi si impiegarono a questo scopo delle alte torri (minār, vedi minareto), che avevano anche lo scopo di testimoniare la vittoria dell'Islam.

Architettura: alcune tipologie

Nelle moschee omayyadi, le navate della sala di preghiera sono parallele al muro della qibla, mentre spesso un transetto attraversa tutto l'ambiente, in asse col miḥrāb, in corrispondenza del quale si apre una cupola (per esempio nella Grande Moschea di Damasco). Le moschee abbasidi, invece, hanno per lo più le navate perpendicolari al muro della qibla, e quella centrale è più larga e più alta delle altre (per esempio nelle moschee di Kufa, Samarra, ecc.). Nelle moschee maghrebine, a questa disposizione delle navate si aggiunge una navata finale, che corre parallela al muro della qibla e forma, col transetto, un dispositivo a T, tipico di quest'area, ma che si trova anche in qualche masǧid iracheno. Un'innovazione sostanziale della moschea si ebbe nell'area iranica, a cominciare dal sec. XII, con l'adozione della planimetria della madrāsa, cioè di una moschea formata da una corte centrale circondata da ambienti sui quattro lati, interrotti da altrettanti līwān disposti a croce. Questa planimetria ebbe in Persia una fortuna grandissima e si diffuse anche in altre zone, per esempio nell'Egitto mamelucco, naturalmente con qualche variante, specie per adattamenti climatici. Dietro l'īwān qiblī, che è più grande degli altri, sorge una sala coperta da una grande cupola, che sostituisce il līwān delle moschee arabe: in essa sono il miḥrāb e il minbar. Nell'area selgiuchide d'Anatolia si diffuse invece un ulteriore tipo di moschea, a pianta basilicale, con sala lunga invece che larga, in cui la zona cupolata tende a dilatarsi, anticipando le soluzioni poi perfezionate nel periodo ottomano, mentre la corte è ridotta spesso a un'apertura simbolica sulla navata centrale. Gli architetti ottomani abbandonarono ogni altro schema conosciuto per adottare quello della pianta centrale con cupola affiancata da esedre e semicupole, preceduta da un portico, come nel modello della S. Sofia di Costantinopoli. Nell'area indiana, gli influssi iranici combinati con le tradizioni locali hanno dato vita a uno schema particolare, per cui le moschee sono costruite su alte piattaforme a gradini, con il santuario vero e proprio costituito da tre līwān accostati, coperti da grosse cupole. Nell'Asia sudorientale e in Cina le moschee mantennero l'aspetto degli edifici di culto locali, con poche modifiche essenziali e una particolare disposizione del miḥrāb, che in Indonesia è spostato a sinistra rispetto all'asse della sala e in Cina (Kansu) è addirittura in una piccola stanza contigua alla sala di preghiera, dalla quale è separato per mezzo di una grata di legno scolpito. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 3 pp 178-185, 189-198" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 3 pp 178-185, 189-198"

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