Definizione

sf. francese [da nègre, negro]. L'insieme dei valori culturali tipici della civiltà espressa dalla razza africana e la coscienza etnica di tali valori. In particolare, il movimento ideologico sorto con l'intento di valorizzare i contenuti autentici della civiltà negra.

Cenni storici

Il movimento della négritude sorse a Parigi a opera dei poeti di origine africana Léon Damas, Aimé Césaire e L. Sédar Senghor. Suo manifesto fu il Cahier d'un retour au pays natal di Césaire (1939). Arricchitosi degli apporti americani, dal panafricanismo di Dubois e di Garvey alla presa di coscienza razziale degli scrittori della Negro Renaissance di Harlem, al ritorno al folclore afro dell'indigenismo haitiano e del negrismo cubano, la négritude si è sviluppata assorbendo, nel crogiolo parigino, le dottrine marxiste e surrealiste, le nuove teorie etnologiche, il pensiero di Bergson, di Freud e di Teilhard de Chardin. Suoi precursori sono stati i gruppi formatisi intorno alle due riviste: Légitime Défense (1932) e l'Étudiant Noir (1934), primi manifesti della rivolta nera di espressione francese, della rottura col mondo occidentale, capitalista, borghese e cristiano attraverso l'adesione al comunismo e al surrealismo, oppure attraverso il ritorno all'autenticità africana, cioè la riscoperta e rivalutazione dei valori della propria civiltà ancestrale. Il movimento, che nel 1948 raggruppò in una famosa antologia scrittori caribici, africani e malgasci di lingua francese (B. Diop, D. Diop, J. J. Rabéarivelo, J. Rabemananjara, F. Ranaivo, G. Tirolien, P. Niger, G. Gratiant, E. Léro, L. Laleau, J. Roumain, J.-F. Brierre, R. Bélance), ha subito un'evoluzione. Da ricerca di un'identità africana, di fronte all'esperienza alienante del razzismo e del colonialismo, a superamento delle posizioni soggettive attraverso l'integrazione in una realtà più vasta, secondo tre linee di forza: la rivendicazione razziale, in linea col panafricanismo; l'inserimento nella lotta di classe, attraverso l'identificazione del nero col proletariato; l'unione négritude-nazionalismo africano nella lotta per l'indipendenza nazionale. L'evoluzione da movimento culturale a movimento politico ha portato a un approfondimento dei contenuti ideologici della négritude e a una sua sistematizzazione, alla quale hanno fortemente contribuito l'analisi sartriana, con le polemiche che ha suscitato, e l'incessante ripensamento di tali contenuti in contesti sempre più vasti a opera di Senghor. Trascendendo i dati storici immediati e remoti, la négritude si è posta come patrimonio culturale del mondo nero e ha intrapreso un inventario della civiltà tradizionale africana come un blocco unitario, inglobante anche il folclore afroamericano e delle Antille. Il ritorno, voluto e cosciente, alla tradizione, per rivitalizzarla e inserirla nel mondo moderno, sfocia in una visione unitaria e originale della civiltà africana, della sua filosofia, religione, etica, arte e vita sociale, che si risolve in quella soluzione di sintesi che va sotto il nome di “via africana al socialismo”, di stampo senghoriano, e finalmente nell'affermazione di una missione dell'Africa, consistente nella creazione di un nuovo umanesimo, capace di arricchire dei suoi apporti la civiltà dell'universale. Questo movimento, che ha trovato la sua più alta affermazione nei due Congressi Mondiali degli Scrittori e Artisti Negri di Parigi (1956) e di Roma (1959) e nel Festival delle Arti Negre di Dakar (1966), ha visto, all'indomani stesso delle indipendenze, frantumarsi la sua ideologia unitaria in due formulazioni corrispondenti ai due gruppi culturali africani: francofono e anglofono (African Personality, di Nkrumah), poi in un movimento centrifugo che sembra perdere di vista l'unità culturale del mondo nero per elaborare soluzioni sul piano nazionale o individuale, al di fuori di ogni riferimento alla razza (Soyinka e Mphahlele). E si è delineata anche un'opposizione marxista, che vede nel ritorno alle tradizioni un'evasione o un tradimento di precisi impegni sociali (Fanon). Tali critiche finirono per confluire in quel grande atto d'accusa contro la négritude che è stato il Festival Culturale di Algeri (1969) e trovarono una risposta nel Colloquio sulla négritude promosso da Senghor a Dakar nel 1971. Attraverso tale polemica si delinea il punto debole di questa ideologia, cioè il suo intellettualismo, la sua difficoltà a realizzarsi nelle masse. Tuttavia, nessuna ideologia “africana” veramente valida è venuta a sostituire la négritude contestata. Essa appare, quindi, come l'unica possibilità ideologica che tragga i suoi succhi dalla tradizione africana.

Bibliografia

L. S. Senghor, Liberté, Négritude et Humanisme, Parigi, 1964; J.-J. Achiriga, La Révolte des romanciers noirs de la langue française, Nizet, 1974; M. Carrilho, Sociologia della négritude, Napoli, 1974; R. Cornevin, Littérature d'Afrique noire de langue française, Parigi, 1976; S. Eno-Belinga, La littérature orale africaine, Parigi, 1978; P. G. Ndiaye, Littérature africaine, Parigi, 1978; J. Chauvreau-Rabut, M. Kadima-Nzugi, Bibliographie des auteurs africains de langue française, Parigi, 1979; R. Depestre, Bonjour et Adieu à la négritude, Parigi, 1980; L. S. Kesteloot, Anthologie négro-africaine, Verviers, 1981; Autori Vari, La letteratura della negritudine, Roma, 1986; M. Hausser, Pour une poétique de la négritude, Parigi, 1988.

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