Descrizione generale

s. giapponese (propr. talento) usato in italianocome sm. La prima delle tre grandi forme del teatro classico giapponese, quella che segnò il passaggio definitivo dalle manifestazioni ritualistiche, prettamente preteatrali, al teatro vero e proprio. Fu infatti il nō che, fin dallo scorcio del sec. XIV, diede vita a una forma di spettacolo basata per la prima volta sulla specifica e antitetica relazione tra scena e pubblico, inesistente nel rito. Ma, proprio perché teatro in senso pieno, socialmente aperto, esso si radicò su un suo passato e su un suo presente fatti di folclore e di credenze popolari che lo resero accessibile a qualsiasi tipo di pubblico e gli diedero quella duttilità sociale che ne costituì lo statuto. In questo modo si spiega la compresenza nel nō di elementi shintoisti, o meglio prebuddhisti, e buddhisti fusi in modo inscindibile: evidenti testimonianze della rielaborazione di tutto un retroterra liturgico-ritualistico, proprio del momento preteatrico, al servizio della nuova concezione di spettacolo.

Cenni storici

I due grandi artefici di questa prodigiosa sintesi furono Kan'ami Kiyotsugu (1334-1385), e il figlio Yūzaki Tōwaka (detto pure Fujiwaka o Fujiwakamaru), meglio conosciuto come Zeami Motokiyo o più semplicemente Zeami (1363-1444). A Kwan-ami va riconosciuto il merito d'aver saputo felicemente fondere i diversi stili del sarugaku con lo stile del dengaku dando vita a una forma nuova di spettacolo; a Zeami deve essere ascritto quello di aver disegnato e codificato in modo concreto e definitivo le strutture essenziali, le linee-forza di cui la forma inventata dal padre si componeva, arricchendole di riflessioni, di intuizioni e di “segreti” tecnici affatto personali. Entrambi furono uomini di teatro nel senso più completo del termine: autori, attori, scenografi, coreografi e registi a un tempo. Per Zeami ogni rappresentazione doveva coincidere con l'idea di un “fiore” (hana) meraviglioso e unico, che va mutandosi e consumandosi sotto gli occhi di chi lo guarda, ma che non si riproduce mai in modo perfettamente identico ed è sensibilissimo a qualunque cambiamento d'ambiente. Questo “fiore” si distingueva per le sue intrinseche qualità e per il modo nel quale andava coltivato e porto: il fascino cattivante, la grazia recondita e un po' misteriosa che emana da ogni creazione della natura (yūgen); l'interesse misto a gioia connesso con questa fioritura spontanea e singolare, ma allo stesso tempo effimera; la rappresentazione della realtà, spogliata dei veli dell'apparenza, quindi una surrealtà (monomane); i trucchi scenici che insegnavano all'attore come divenire veramente padrone dell'arte segreta che tende a generare lo stupore nello spettatore (hiden); da ultimo, il principio dell'armonia e della perfetta consonanza, che suggerisce di fare una sola persona delle due figure dell'autore e dell'attore ed è responsabile dell'unicità dell'azione teatrale (sōō); il tutto inserito in una cornice scenica estremamente sobria, addirittura scarna, dove linguaggio verbale, linguaggio musicale e linguaggio gestuale sono fusi insieme con mirabile equilibrio. Questi i tratti di quel “cammino” () che conduce al “fiore” e che per Zeami caratterizzavano il nō nel suo complesso. Un impianto teatrale tanto duttile prevedeva, però, dei discendenti che fossero all'altezza del codificatore, i quali tenessero aggiornata la sua lezione con quella sensibilità e apertura ch'egli aveva dimostrato. Invece i grandi continuatori non vennero, il solo degno di menzione, anche se molto meno dotato del maestro, fu Konparu Zenchiku (1405-1468), ma non impedì che il nō subisse nel corso dei secoli un progressivo processo d'invecchiamento anziché di svecchiamento. Inoltre, il coercitivo ed esclusivo mecenatismo feudale ne condizionò il repertorio e l'azione drammatica divenuti classici: la funzione sociale scomparve, o, meglio, si trasformò; il popolo cessò di essere effettivo protagonista dell'evento teatrale perché veniva ammesso solo alle rare rappresentazioni in onore di qualche tempio o per celebrare qualche ricorrenza. In sostanza, il nō conobbe una fase di vitalità feconda – anche drammaturgica – che non durò più di un secolo e sotto i Tokugawa (1600-1868) venne fruito con un compiacimento estetizzante ed erudito, tanto che i tempi di regia si fecero sempre più lunghi e ricercati sino a raggiungere le forme nelle quali il nō è oggi conosciuto e che sono ben diverse da quelle originali.

Repertorio e struttura del dramma

Il repertorio attuale è costituito da 253 drammi (yōkyoku), dei quali quasi la metà è opera di Zeami. Gli altri sono, a parte qualche eccezione, di Kwan-ami, di Motomasa, figlio di Zeami (morto nel 1432), di Konparu Zenchiku, di Kanze Motoshige On'ami (1398-1467), nipote di Zeami, di Kanze Kojirō Nobumitsu (1435-1516) e di Kanze Yajirō Nobutomo (1490-1514), rispettivamente figlio e nipote di On'ami. L'enumerazione dei principali drammaturghi sottolinea la brevità dell'arco produttivo del nō dove campeggia Zeami. Questi drammi o, forse più propriamente, monodrammi poiché s'incentrano tutti intorno a un solo individuo protagonista, lo shite, si dividono in due grandi categorie: nō di sogno (mugen nō) e nō della vita presente (genzai nō). In entrambe le categorie i drammi seguono un'identica struttura di base in dieci “momenti” (dan). Ma i di sogno hanno uno sviluppo narrativo tipico che ne permette la scissione in due parti. La prima parte (mae ba) si compone di cinque “momenti”: 1, entrata di un viaggiatore (waki), solitamente un pellegrino diretto verso un luogo connesso con un avvenimento che la leggenda ha reso famoso; 2, entrata di un abitante del luogo (shite) che s'accosta al pellegrino giunto alla meta; 3, colloquio tra i due, in cui il pellegrino chiede all'indigeno di narrargli la storia connessa con quel luogo; 4, racconto della storia da parte dell'indigeno; 5, rivelazione della vera identità dell'indigeno alla fine del racconto, che è quella del protagonista del fatto, e sua scomparsa dalla scena lasciando solo il pellegrino. Così termina la prima parte. La seconda parte (nochi ba) consta di altri 5 “momenti”: 1, attesa del pellegrino; 2, apparizione del protagonista (nochijite), che precedentemente aveva sostenuto la parte dell'indigeno, nella sua vera identità di eroe della vicenda narrata prima; 3, colloquio con il pellegrino; 4, rievocazione, con un particolare linguaggio gestuale, dell'episodio saliente della personale avventura terrena da parte del protagonista e sua scomparsa; 5, risveglio del pellegrino che s'accorge d'aver sognato tutto. L'interruzione naturale che separa la prima dalla seconda parte è detta ai e può talvolta essere riempita dal kyōgen che, in linguaggio molto semplice, riassume quanto è accaduto. Oltre a questa prima grossa classificazione ve n'è un'altra dove i drammi sono raggruppati in cinque diverse tipologie che indicavano la disposizione dei nō nell'arco di una “giornata” ideale. Accanto ai già citati ruoli dello shite (protagonista) e dello waki (comprimario) va menzionato quello del coro (ji) la cui funzione non è tanto quella di commentare l'azione scenica, ma di esprimere ciò che lo shite o lo waki dovrebbero dire. La scena architettonicamente assomiglia in qualche modo allo spaccato di un edificio: quadrata e sovrastata da un tetto, ha sul fondo un vasto pannello su cui è dipinto il caratteristico pino ed è connessa con le quinte per mezzo dello hashigakari (ponte) fiancheggiato da tre pini. Il compito di riproporre il repertorio del nō è affidato ancor oggi al complesso delle shizaichiryū, ossia “le quattro compagnie”, Hōshō, Kanze, Kongō e Konparu insieme alla “scuola” Kita.

Bibliografia

G. Renondeau, Le Bouddhisme dans les Nō, Tōkyō, 1950; O. Benl, Seami Motokiyo und der Geist des Nō-Schauspiels, Wiesbaden, 1952; P. G. O'Neill, A Guide to Nō, Tōkyō-Kyōto, 1954; T. Nogami, Zeami and His Theories on Noh, Tōkyō, 1955; P. G.O'Neill, Early Nō Drama, Londra, 1958; H. Bohner, -Einführung, Tōkyō, 1959; Y. Nakamura, Noh-The Classical Theater, New York-Tōkyō-Kyōto, 1971; G. C. Calza, L'incanto sottile del dramma nō, Milano, 1975; M. Zeami, Il segreto del Teatro Nō, Milano, 1987.

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