Lessico

sf. [sec. XIII; latino navis].

1) Ciascuno di quei natanti, detti anche bastimenti, aventi dimensioni, mezzi di propulsione e sistemazioni convenientemente sviluppati, impiegati per il trasporto di persone, merci o altri carichi, per scopi commerciali, militari, scientifici, ecc. Alcune navi, atte a navigare anche in immersione, sono più propr. dette sommergibili o sottomarini. Le cognizioni tecniche riguardanti le navi e, più in generale, i natanti, vengono sviluppate nell'ambito dell'ingegneria navale che comprende la teoria della nave identificabile ormai con l'architettura navale, e la costruzione navale. In particolare, anche veliero con tre alberi a vele quadre: nave a palo, veliero con tre alberi a vele quadre, più uno poppiero a vele auriche: nave goletta, o barco bestia, veliero a tre alberi, oltre il bompresso, di cui il prodiero a vele quadre, gli altri due a vele auriche; nave poggiera, nave orziera, velieri che, con vento medio, tendono rispettivamente a poggiare o a orzare. Per analogia: nave spaziale, astronave. In mitologia, nave dei morti, quella su cui si crede ritornino i morti in occasione delle feste di capodanno. Il culto ebbe un particolare rilievo nella mitologia nordica, dove la leggendaria nave Maglfar, costruita con le unghie dei morti, col suo equipaggio di scheletri, s'inseriva nella vicenda drammatica che segnava la fine del mondo e il crepuscolo degli dei (Ragnarök). Il mito è vivo tuttora fra gli abitanti delle isole dell'Oceania.

2) Fig. poetico, la vita individuale dell'uomo in quanto esposta alle varie traversie dell'esistenza; anche comunità sociale bisognosa di governo: “Nave senza nocchiero in gran tempesta” (Dante), l'Italia.

3) Per estensione, recipiente che richiama la forma del mezzo di navigazione; in particolare, nell'industria casearia, vasca nella quale si raccoglie il latte per le operazioni di scrematura.

4) In architettura, non comune per navata.

Storia: le tecniche costruttive fino al XV secolo

Le prime navi di cui ci sia pervenuta documentazione risalgono al IV millennio a. C.; sono le grosse imbarcazioni fluviali egizie costruite con fasci di papiro strettamente legati, senza chiglia; gli scafi avevano una caratteristica forma lunata, tanto che, per evitare un eccessivo inarcamento, prora e poppa erano collegate da un cavo ritorto di papiro, tenuto in tensione da forcelle verticali. Sembra inoltre che le popolazioni del delta del Nilo apprendessero in quel tempo, da genti orientali, la costruzione di imbarcazioni non molto dissimili, ma in legno. Il legname venne impiegato successivamente, in seguito ai commerci con le genti del Libano: in un primo tempo il fasciame venne imbragato da cavi disposti attorno allo scafo, e con cavo ritorto longitudinale; al centro dello scafo una tavola più larga delle altre irrobustiva alquanto la costruzione, come una specie di chiglia; le navi potevano essere lunghe oltre 28 m e larghe quasi 4. Propulse a remi, avevano in genere un albero di legno a capra, che poteva essere abbattuto, con una vela alta e stretta. Per la manovra disponevano di remi laterali a poppa. A partire dalla seconda metà del II millennio a. C. le navi egizie presentano un profilo più raffinato; è sparita l'imbragatura esterna allo scafo; l'albero risulta a trave unica, con una vela larga e non troppo alta, tesata da due pennoni un po' incurvati, composti da aste parzialmente sovrapposte nella parte centrale; queste navi potevano raggiungere lunghezze di oltre 30 m e larghezze di oltre 6. Le prime navi d'altura vennero ideate dai Fenici per i commerci nell'area mediterranea già all'inizio del I millennio a. C.; tali navi, per le quali i remi servivano per lo più in caso di bonaccia e per le manovre nei porti, erano lunghe fino a 30 m e larghe ca. 5; avevano chiglia esterna, collegata a prora e a poppa con le rispettive “ruote”; costole trasversali; ponte di coperta sostenuto da bagli trasversali da bordo a bordo e fasciame liscio costituito da tavole lunghe collegate alle costole e tenute insieme dalla chiglia. Caratteristica la presenza di due lunghe appendici a prora e a poppa aventi scopo ornamentale. L'albero (o gli alberi), a tronco unico, era fisso, tenuto fermo da stralli, e reggeva una vela quadra, tesata da un solo pennone manovrato mediante “bracci” dal ponte di coperta. La manovra era facilitata da remi laterali poppieri in funzione di timone. Tranne una certa evoluzione di dettaglio (per esempio nel modo di collegare il fasciame alle costole: legato in principio, poi connesso con caviglie di legno o chiodato), le navi mercantili non ebbero, nei secoli successivi, aspetto molto dissimile da quello descritto, né dimensioni sensibilmente maggiori. Evoluzione diversa ebbero le navi da guerra: al 1500 a. C. risale la più antica documentazione riguardante un tipo di “nave lunga”, divenuta famosa come “pentecontero pelasgico”, assai usata nelle guerre dei tempi omerici. Da questa derivarono le navi da guerra greche, cartaginesi e romane che, strutturalmente, erano però simili alle navi mercantili dell'epoca e in più avevano un rostro a prora, banchi carenati per i rematori (25 per “rembata”), un solo albero ausiliario per una vela quadra a un solo pennone; a poppa vi erano remi-timone e a prora estrema un piccolo castello per i soldati armati di arco e giavellotti. Le più note navi da guerra di questo periodo furono le biremi. La più raffinata tecnica costruttiva fu raggiunta dai Romani che non solo realizzarono grandi navi da trasporto (actuaria, oneraria, ippagogo, ecc.) ma costruirono potenti navi da guerra a tre (e forse più) ordini di remi (triremi) dotate, fin da dopo la seconda guerra punica, di rostro, di torre prodiera per i soldati, di “corvo” brandeggiabile per arrembare le navi nemiche e di uno o due alberi a vela quadra. Queste navi, in epoca imperiale, raggiungevano i 70 m di lunghezza e gli 8 m di larghezza; alcune erano munite di rivestimento metallico esterno (navi catafratte) contro lo speronamento. Esse erano però poco maneggievoli per cui i Romani adottarono anche navi veloci, a un solo (o due) ordine di remi, con un albero a vela quadra (liburna), che restarono in uso fino in epoca bizantina e dalle quali derivarono le successive navi arabe e il dromone, nave a fondo piatto a scarso pescaggio, con equipaggi di 30-35 uomini, armata a remi, con un albero a vela quadra e munita di ponte; nel sec. IX apparvero dromoni a due ordini di remi e con due alberi recanti vela triangolare (latina). La vela latina sembra sia stata ideata dai Bizantini (da altri si ritiene siano stati gli Arabi) per far sì che le navi da corsa potessero stringere meglio il vento quando non venivano usati i remi; oltre che dal dromone vennero adottate da altre navi bizantine: il panfilo, grosso dromone a due ordini di remi, e la chelandia, piccolo dromone da corsa. I Bizantini idearono per il trasporto mercantile l'usciere, a fondo piatto, munito di portellone poppiero e di due ponti; la tàrida, a fondo piatto con cassero e castello, mossa, come il tipo precedente, solo da vele latine, munita di due portelloni; l'acàzia, recante vele quadre (àkatos) e impiegata anche per compiti militari. Costruttivamente analoghe al dromone, ma come forma più vicine alle liburne, furono le galee, navi che divennero il simbolo delle Repubbliche italiane. Erano mosse da vele e da remi (fino a una sessantina) azionati da uno o più rematori; erano provviste di chiglia, ruote di prora e poppa; costole che sopportavano il fasciame liscio, ebbero dapprima un timone laterale poppiero, in seguito (verso la metà del sec. XIII) un timone poppiero in fil di ruota con barra per la manovra. Gli alberi (a vele latine) furono da uno a tre secondo i tipi e le epoche. I fianchi delle galee erano sempre protetti da scudi allineati per riparare i combattenti e i rematori e, talvolta, da corazzature posticce in cuoio o in ferro. Avevano in genere lunghezze di 40-50 m e larghezze di 5-6 m, con pescaggi non superiori ai 2 m. Dalla galea derivò tutta una serie di navi a vela e remi, fra cui la galeazza (più grossa e alta, con castello, cassero e tre alberi), la galea di marcanzia, la galeotta, il brigantino, la fregata (questi due ultimi da non confondersi con gli omonimi velieri del sec. XVII). Come in Europa, anche in Asia le navi d'altura derivarono da quelle costiere: i due tipi più significativi furono il sampan, molto simile alla liburna, e la giunca. Quest'ultima aveva scafo piuttosto alto e panciuto, con prora e poppa molto rialzate; era mossa da vele quadre in stuoia alzate una per albero e aveva due o più alberi; le giunche più antiche avevano anche uno o due ordini di remi. Già alla fine del sec. XI la giunca era dotata di compartimentazione stagna e di timone a fil di ruota. Benché poco maneggevole era capace di tenereil mare con notevole sicurezza ed era in grado di bordeggiare, prendendo il vento di prora, tanto che flotte cinesi di giunche a tre (o anche a 4 e 5) alberi si spinsero fino alle Hawaii e alle coste dell'Africa sudorientale. Vicende interne fecero tramontare in modo definitivo, nel sec. XIV, le costruzioni navali cinesi proprio quando, in Europa, a seguito dell'impulso dei popoli marinari, iniziava l'apogeo della nave a vela.

Soria: evoluzione della nave a vela

I popoli marinari dell'Europa settentrionale avevano, già dal sec. IX, ideato navi originali, adatte ad affrontare i marosi dei mari nordici (drakar, snakar). Si trattava di navi dalle forme affinatissime, prive di ponte, con prora e poppa assai elevate e dalla forma a collo di cigno. Il fasciame era, secondo l'uso nordico, a corsi di tavole sovrapposte e chiodate in ferro sulle costole. In basso, contrariamente alle costruzioni mediterranee, le tavole non erano fissate sulla chiglia, ma sul madiere (parte centrale dell'ossatura). La propulsione era affidata a una trentina di remi e alla vela quadra issata all'unico albero centrale, mentre il governo della nave avveniva mediante un remo-timone a poppa. Per la difesa in combattimento venivano allineati sui fianchi degli scudi circolari. All'inizio del sec. XII i costruttori nordici idearono una nave d'alto mare propulsa esclusivamente a vela come le giunche. Si trattava di bastimento con rapporto fra lunghezza e larghezza di 2-2,5; lo scafo era a corsi di tavole sovrapposte e gli alti alberi, a un solo pezzo, recavano una coffa e una vela quadra. Queste navi, dette per la loro forma “tonde”, note anche come “nave” e “cocca”, presentavano notevole robustezza e tenuta di mare, mentre erano particolarmente idonee al bordeggio necessario per navigare contro vento. Da queste, nel corso del sec. XV, derivarono le navi mediterranee e inglesi (caracca, caravella, galeone) che avevano maggior rapporto tra lunghezza e larghezza, erano provviste di cassero, casseretto, castello prodiero sospeso sulla ruota di prora; timone a fil di ruota con comando a barra; tre (poi anche 4) alberi in due pezzi recanti i primi due vele quadre, il terzo vela latina. Erano tutte navi con duplice funzione, mercantile e bellica, in grado di difendersi da sole grazie all'uso anche dei cannoni. La caracca e la caravella servivano prevalentemente per usi mercantili: avevano in genere tre alberi, stazza intorno alle 400-600 t e un'attrezzatura simile a quella delle cocche più evolute, ma con in più un albero di bompresso a prora, obliquo, munito di “vela di civada”. La caravella si distingueva per il fatto che, di solito, aveva alberi attrezzati con vele latine, anziché quadre. Nel 1518 fu costruito dagli Inglesi l'Henry Grace à Dieu, detto anche Great Carrack, una caracca lunga oltre 51 m, con una larghezza fuori ossatura di oltre 11 m, con un dislocamento di ben 1000 t; l'armamento constava di 195 bocche da fuoco e l'equipaggio era di 900 uomini. L'alberatura (4 alberi) recava vele quadre al trinchetto e alla maestra, vele latine alla mezzana e alla mezzanella; a prora bompresso e civada. Il fasciame, pare, era ancora del tipo sovrapposto, fissato alle coste con caviglie in legno. Questa nave può essere considerata il prototipo delle successive navi ideate dai Portoghesi e dette galeoni, strutturalmente analoghe ma con fasciame liscio, maggior rapporto lunghezza-larghezza, castello e casseretti più bassi. I galeoni avevano prevalenti funzioni militari: noti sono i galeoni spagnoli, atti a contrastare le azioni dei pirati delle Antille, e quelle dell'Invincibile Armata. Nella prima metà del sec. XVI, inoltre, si andò diffondendo l'uso di fasciare le carene convari strati di materiali adatti a preservare il legno dalle teredini marine. Benché la struttura del galeone avesse dimostrato notevoli doti di robustezza, il forte peso delle artiglierie e l'altezza dello scafo esigevano un tipo di nave da guerra ancora più solido, sicura soprattutto dal punto di vista della stabilità trasversale con mare ondoso, ma ugualmente capace e armata. Ciò richiese un maggior impegno tecnico, cantieri navali più attrezzati e soprattutto una conoscenza teorica della progettazione e architettura navali. La realizzazione di nave di una certa mole fu da allora affidata a ingegneri coadiuvati da una schiera di mastri d'ascia gelosi dei segreti del proprio mestiere; tuttavia, a partire dalla fine del sec. XVI, si moltiplicarono testi e manuali di costruzione navale e vennero stabilite alcune regole base. Questa notevole spinta portò, nel sec. XVII, alla realizzazione del vascello, destinato a non essere più superato quale nave da battaglia per tutto il periodo velico. La struttura del vascello fu particolarmente curata: coste spesso raddoppiate nei punti di maggior sforzo; legname utilizzato in modo da sfruttare il più possibile la venatura ai fini della robustezza; rinforzi applicati in numerosi punti dell'ossatura. Per la carena non venivano usati chiodi, per evitare gli effetti della corrosione, per cui si preferivano i cavicchi di legno. Dopo vari esemplari, costruiti nei primi decenni del secolo, dotati di due ponti per le artiglierie, con alberi (tre o quattro) a vele quadre ma con una o due rande a poppa, si giunse, nel 1637, alla costruzione del primo “tre ponti”, il Sovereign of the Seas, inglese, di ca. 1500 t di stazza, con tre alberi e ca. 100 pezzi d'artiglieria, capostipite di una serie sempre più perfezionata di navi di linea. Oltre al vascello, esistevano altri tipi di navi da guerra: la bombarda, piccolo legno da assedio, dotato di una o due grosse bocche da fuoco a prora, in coperta, lo sciabecco, la fusta e la feluca, a vela (latina) il primo e l'ultima, a remi l'altra. I perfezionamenti del vascello proseguirono nel sec. XVIII, con l'introduzione di vele munite di terzaruoli e con l'affinamento delle tecniche costruttive: contro la corrosione delle carene gli Inglesi cominciarono ad adottare le fodere in rame, invece della tradizionale fasciatura. Per impieghi militari minori ebbero inoltre una certa fortuna le fregate, le corvette e i cutter, tipi di navi veloci e relativamente leggere, di struttura semplificata rispetto ai vascelli (benché simile), usati in guerra per esplorazione, collegamenti, missioni di caccia e difesa del traffico, missioni rapide speciali. Gli alberi di queste navi a causa della crescente altezza richiesta dal numero delle vele, vennero costruiti, dal sec. XVII, in tre parti collegate all'altezza della coffa e della crocetta. Le vele, che fino al Seicento non superavano il numero di tre per albero, erano state successivamente un poco ridotte di superficie per renderle più maneggevoli e per suddividere meglio la velatura totale; nel secolo successivo una grande nave ne portava, in genere, quattro per albero.

Storia: l'avvento dell'elica e la propulsione nucleare

All'inizio del sec. XIX, in seguito al controllo dei mari da parte delle grandi potenze, la duplice funzione delle navi non fu più necessaria; ciò portò alla realizzazione di navi a vela mercantili dalle notevoli doti marinare, i clipper. Sono state queste le più prestigiose navi a vela, dalle forme eleganti e affinate, in grado di raggiungere elevate velocità di crociera (ca. 18 nodi) nonostante le notevoli dimensioni (lunghezza fino a 70 m, stazza oltre le 900 t); caratteristica più vistosa di tali navi era l'alberatura formata da tre altissimi alberi recanti ciascuno 4-5 vele quadre e non di rado una sesta vela sull'alberetto più alto, in caso di vento moderato. In tutti i velieri dell'epoca la vela aurica (randa) si afferma decisamente per le sue doti di manovrabilità e per la sua idoneità a “stringere il vento” (cioè a navigare contro vento), tanto che essa appare ormai normalmente all'albero di mezzana (quello poppiero nei tre-alberi) e viene a costituire l'unico tipo di velatura di un nuovo bastimento, la goletta, che ebbe grande fortuna come nave da carico e, talvolta, anche come nave da guerra. Famose resteranno le grandi golette americane, dotate di quattro, cinque e più alberi. Ai tipi fondamentali si deve aggiungere il brigantino (comparso fin dal sec. XVII), a due alberi a vele quadre, impiegato tanto per usi commerciali che militari, dal quale derivarono, nei sec. XVIII e XIX, una serie di tipi ibridi fra cui molto diffusi il brigantino-goletta, il brigantino a palo, la nave a palo. Dai primi anni del sec. XIX si era intanto andata affermando la macchina a vapore per impiego navale. Le prime esperienze furono effettuate con battelli fluviali (1774-78, P. e J. d'Abbans, in Francia, e Miller e Symington, in Scozia; 1790, J. Fitch, negli Stati Uniti); nel 1807 R. Fulton istituì un servizio sull'Hudson (USA) con il Clermont, battello propulso da due ruote laterali. Le prime navi utilizzanti motrici a vapore erano in legno: la macchina a vapore azionava due grandi ruote a pale poste esternamente alle fiancate della nave e protette da tamburi. La necessità di frequenti rifornimenti di combustibile e di acqua per le caldaie non portò all'abolizione della vela, per cui fin dopo la metà del sec. XIX esistettero navi a propulsione mista: pirovascello, pirocorvetta, pirofregata, ecc. Strutturalmente derivati dalle precedenti navi, i nuovi bastimenti furono studiati secondo un'architettura che doveva tener conto della dislocazione dei nuovi apparati motore, dei fumaioli, degli alberi, delle grandi ruote motrici e dei depositi per combustibile e acqua. Un perfezionamento dell'architettura si ebbe con l'introduzione dell'elica (1839-41, a opera di J. Ericsson e altri) che eliminava le ingombranti ruote ma che richiese apparati motore più perfezionati. Contemporaneamente si diffuse l'impiego del ferro, più idoneo del legno a resistere alle sollecitazioni indotte dalle macchine a vapore e dai propulsori; corazze in ferro erano già adottate dalle navi da guerra perché fossero meno vulnerabili ai nuovi proiettili esplodenti (1824) e alla forza penetrante di quelli lanciati dai più moderni cannoni rigati a retrocarica (1844). Nel 1820, la nave mercantile americana Savannah, con propulsori a ruote, effettuò la prima traversata atlantica; nel 1840 fu realizzato il primo transatlantico (inglese) in ferro e con propulsione a elica (il Great Britain, di 3000 t) cui seguì (1858) il Great Eastern, di 19.000 t, lungo 211 m, largo 25 m, con due apparati motore (uno a elica, uno a ruote) di 8000 CV, in grado di portare ca. 5000 passeggeri. Dal 1862 l'acciaio subentrò al ferro rivoluzionando le tecniche costruttive e la stessa architettura navale: gli Inglesi, all'avanguardia nel settore, progettarono una nuova nave corazzata, il Bellerophon (1865), provvista di cannoni in coperta, e la prima nave mercantile specializzata, una petroliera (1872), entrambe propulse a elica. Ormai la rivoluzione delle costruzioni navali è compiuta: la nave da guerra è definitivamente differenziata da quella mercantile; più affilata e veloce, in genere, la prima, più tozza e capace la seconda, cui non serve la velocità elevata della nave da guerra. A mano a mano che le vele scompaiono, gli alberi divengono semplici e spogli, atti a sostenere le sagole delle bandiere, i verricelli per il sollevamento dei carichi e, semmai, qualche vela di fortuna (fino all'inizio del sec. XX). Per tutto il sec. XIX, gli scafi delle navi da guerra conservano lo sperone a prora, mentre quelli delle navi commerciali perdono del tutto la tradizionale linea con bompresso e poppa a specchio, per adottare la prora verticale, con tagliamare più o meno arrotondato, poppa a volta, fianchi quasi verticali e lisci. La struttura è sempre costituita da chiglia e costole (struttura trasversale), le quali sono unite e irrigidite dai correnti longitudinali: all'ossatura sono chiodate le lamiere del fasciame esterno e interno. A poppa il timone è, solitamente, incardinato al dritto e preceduto dall'elica, tranne nel caso di due propulsori, che stanno allora ai lati, uscendo direttamente dalla carena. Si è così alle soglie dell'epoca contemporanea, che vede le costruzioni navali progredire con un ritmo mai conosciuto in passato: nel sec. XX, oltre all'affinamento delle tecniche costruttive, si registrano l'introduzione degli apparati ausiliari per la navigazione (radioassistenza, sistemi radar di avvistamento, automazione dei servizi di bordo, ecc.) e la sperimentazione della “propulsione nucleare”, cioè di turbine alimentate da vapore prodotto da una centrale termico-nucleare installata a bordo. La prima nave mercantile dotata di tale impianto, che consente autonomie di parecchi mesi, fu la statunitense Savannah (1959), ma gli alti costi d'esercizio hanno per ora limitato questa soluzione tecnica a navi per usi speciali (rompighiaccio sovietici) e a navi militari (portaerei, sottomarini, ecc.) mentre se ne prevede l'uso per il futuro sulle petroliere.

Fisica: architettura navale

Come afferma il principio d'Archimede, se D è il peso o dislocamento di una nave (rappresentabile con una forza verticale, orientata verso il basso e applicata al baricentro G), V il volume della carena e ω il peso specifico dell'acqua in cui essa si trova (nei calcoli di ingegneria navale si assume di solito per l'acqua di mare ω=1,025 t/m3), la nave stessa riceve la spinta S=ωV, verticale, orientata verso l'alto, applicata nel centro di spinta. Ai fini della teoria della nave, è però sufficiente osservare che la retta d'azione della spinta passa per il centro di carena C. Se la nave galleggia liberamente in acqua tranquilla, le condizioni di equilibrio sono soddisfatte; ciò si esprime dicendo che la spinta S eguaglia il peso D e che i punti G e C si trovano sulla stessa verticale.

Fisica: la nozione di metacentro

Può essere riferita a galleggianti generici, ma viene qui limitata, per libertà, alle sole inclinazioni trasversali e longitudinali della nave. Si consideri una nave galleggiante inizialmente in assetto diritto, con volume di carena V e centro di carena nella posizione individuata da C. Quando essa subisce inclinazioni trasversali isocareniche (cioè con V=costante), il centro di carena si sposta descrivendo una curva chiusa e generalmente gobba, detta traiettoria dei centri isocarenici di carena, relativa al volume V e alle inclinazioni trasversali. Si proietti quindi tale curva nella curva piana sul piano trasversale π per C (piano di inclinazione): il punto m, centro di curvatura della in C è il metacentro trasversale di carena, relativo al volume di carena V e al centro di carena C. Il segmento verticale Cm, raggio di curvatura della in C, è il raggio metacentrico trasversale di carena r; si dimostra che r=Iy/V, in cui Iy è il momento d'inerzia della figura di galleggiamento rispetto al suo baricentro longitudinale. La curva, descritta dal metacentro al variare dell'angolod'inclinazione trasversale, è l'evoluta di ed è detta evoluta metacentrica. In maniera analoga si definiscono, per le inclinazioni longitudinali, il metacentro longitudinale di carena M e il raggio metacentrico longitudinale R=Ix/V, in cui Ix è il momento di inerzia della figura di galleggiamento rispetto al suo asse baricentrico. Come si accennerà in seguito, in particolare per le inclinazioni trasversali, la posizione del baricentro rispetto a quella del metacentro è determinante al fine della stabilità dell'equilibrio. Per questo il metacentro segna, in un certo senso ed entro certi limiti, il confine fra la stabilità e l'instabilità della nave. La stabilità iniziale di una nave riferibile a un piano di galleggiamento qualsiasi, è qui limitata al caso di una nave diritta o inclinata longitudinalmente nella quale non vi siano, inoltre, carichi deformabili, cioè carichi il cui baricentro possa mutare posizione quando la nave s'inclina, per cui la posizione di G resti comunque invariata. Indichiamo con r il raggio metacentrico trasversale, con a il segmento GC considerato positivo se, come nella generalità delle navi di superficie, G si trova sopra C . Nelle condizioni suddette, l'equilibrio risulta rispettivamente stabile o instabile, secondo che l'altezza metacentrica (r-a) sia positiva o negativa. Il grado di stabilità iniziale è perciò espresso da (r-a) o dal corrispondente coefficiente di stabilità o di resistenza alle inclinazioni trasversali D(r-a). Se a bordo vi sono carichi deformabili, la (r-a) è detta altezza metacentrica assoluta, per distinguerla da quella effettiva, sotto accennata. I valori di progetto di (r-a) vengono scelti in base all'esperienza, oltreché a considerazioni teoriche. Altezze metacentriche elevate, quantunque favorevoli a una forte stabilità iniziale, possono far sì che la nave risulti eccessivamente dura, con bruschi movimenti di rollio, fastidiosi per le persone, le strutture, il tiro, ecc. I carichi deformabili, come i carichi liquidi a livello libero e i carichi sospesi, vanno, per quanto possibile, evitati, perché riducono in maniera anche sensibile l'altezza metacentrica assoluta. L'altezza metacentrica che resta in conseguenza di tale riduzione, è detta effettiva, in quanto indica il grado effettivo di stabilità iniziale della nave. Quando la nave è ultimata, e, in seguito, quando ciò risulti necessario, l'altezza metacentrica si determina con la prova di stabilità. Spetta poi al comandante la responsabilità di sistemare i carichi di bordo, compresa l'eventuale zavorra liquida, in modo che gli attributi di stabilità della nave siano, nelle diverse condizioni, quelli previsti. Va detto che, in genere, per la diversità delle forme prodiere e poppiere, una nave che si inclini trasversalmente subisce oltre a inclinazioni trasversali anche un'inclinazione longitudinale, che però non modifica sostanzialmente quanto sotto riportato. Consideriamo ora una nave galleggiante liberamente con una inclinazione trasversale nulla, sottoposta a un sistema di forze che, dopo avere agito, la lascino, priva di energia cinetica, al galleggiamento isocarenico inclinato trasversalmentedell'angolo ϑ. La coppia di momento

dovuta alla forza peso D applicata in G e alla spinta S trasportata in C‟, proiezione di C sul piano π, è detta coppia di stabilità, perché, a seconda del suo segno, determina la tendenza della nave a ritornare nella posizione diritta o a inclinarsi ulteriormente. Il valore

è il braccio della coppia di stabilità. Per tradizione, la coppia di stabilità viene talvolta scissa nella coppia di stabilità di forma Dh(ϑ)∤sin ϑ e nella coppia di stabilità di peso -D∤a∤sin ϑ. La rappresentazione di M(ϑ) costituisce il diagramma di stabilità. Di solito da essa risulta che la coppia di stabilità è nulla: per ϑ=0, nave diritta, posizione di equilibrio stabile, poiché r-a>0; per ϑ=ϑc, posizione di equilibrio instabile; tale angolo, variabile da caso a caso, per le navi si aggira sugli 80º, ed è detto anche angolo di capovolgimento. Se la posizione diritta non risulta di equilibrio stabile, la coppia di stabilità si annulla anche in ϑ₁; tale angolo, se denota una posizione di equilibrio stabile ed è modesto, si chiama angolo di ingavonamento. Qualora si tentasse di raddrizzare la nave ingavonata, spostando trasversalmente un peso anziché fare in modo per esempio di abbassare la posizione del baricentro, si otterrebbe l'effetto di fare inclinare la nave dal lato opposto, di un angolo maggiore di ϑi, funzione del momento prodotto. Per una data inclinazione trasversale, il lavoro necessario per portare la nave dal galleggiamento diritto, supposto di equilibrio stabile e con G fisso, a quello definito dall'isocarena inclinata trasversalmente di ϑ, senza velocità finale e in acqua calma e non resistente è detto stabilità dinamica. È dato dall'area del diagramma di stabilità individuata da ϑ: la curva che rappresenta tale lavoro in funzione di ϑ è il diagramma di stabilità dinamica. Il lavoro per portare la nave sino a ϑ, pari all'area del diagramma di stabilità, è la riserva totale di stabilità. Sia M il diagramma di stabilità; mentre la nave è ferma e diritta, proviamo a supporre che, per un colpo di vento, un improvviso spostamento di carico, ecc., si origini il momento inclinante trasversale m, funzione di ϑ, il cui andamento è rappresentato per comodità, con segno cambiato, dalla curva -m. Il momento risultante M+m fornisce il diagramma di stabilità residua della nave nel caso in esame. Il coefficiente di resistenza alle inclinazioni trasversali è positivo all'angolo di equilibrio ϑA, negativo in ϑB, detto angolo di capovolgimento della nave inizialmente diritta e ferma, sotto l'azione di m. Va tenuto presente che, in effetti, la nave, non appena appare m, si inclina progressivamente acquistando energia cinetica; essa perciò può superare la posizione individuata da ϑA, anche se questa è di equilibrio stabile, sino a raggiungere ϑB e capovolgersi. Ciò accade certamente se l'area positiva del diagramma di stabilità residua è minore di quella negativa. Se la prima, invece, risulta maggiore della seconda, la nave raggiunge l'angolo di equilibrio dinamico ϑE, per il quale risulta, trascurando la resistenza dell'acqua (A´L´E´)=(A´O´F´). In ϑE la velocità angolare della nave si annulla, mentre il momento di stabilità residua è positivo e quindi raddrizzante; perciò la nave ritorna verso la posizione diritta; nella realtà, essa dopo una serie di oscillazioni, smorzate a causa della resistenza dell'acqua, attorno a ϑA, finisce per disporsi secondo tale angolo. A differenza di quelle trasversali, le inclinazioni longitudinali raggiungono raramente valori elevati. Esse, inoltre, interessano generalmente ai soli fini dell'assetto.

Fisica: la resistenza al moto

Ogni nave incontra nel suo moto una resistenza totale R per la quale è possibile scrivere

La resistenza d'attrito Ra si fa dipendere dalla viscosità e dalla densità dell'acqua, dalla superficie di carena, dalla velocità. La resistenza d'onda Ro è dovuta alla formazione ondosa, che la nave produce nel suo moto; si fa dipendere dalla densità dell'acqua, dall'accelerazione di gravità, dalle forme della carena, dalla velocità relativa, ossia dal rapporto fra la velocità e un appropriato parametro che caratterizza le dimensioni della carena. La resistenza di forma Rf, o resistenza di vortici o di scia, è dovuta al distacco della corrente nella zona poppiera e ai conseguenti vortici che si scaricano nella scia; si fa dipendere dalla densità dell'acqua (ed entro certi limiti anche dalla sua viscosità), dalle forme e dalla superficie di carena, dalla velocità. Infine, la resistenza dell'aria RA trae origine dal fatto che la parte emersa della nave si sposta appunto nell'aria. In genere, alla resistenza d'attrito e a quella d'onda è dovuto oltre il 95% della somma Ra+Ro+Rf: la RA è di solito una percentuale modesta di tale somma. Di solito si pone

in cui compare la resistenza residua Rr=Ro+Rf. La Ra viene calcolata in base a risultati di esperienze sulla resistenza d'attrito di lastre piane. La Rr viene invece dedotta per similitudine dai risultati di prove di rimorchio effettuate presso le vasche navali con modelli di carene. La RA si mette in conto con calcoli diretti o maggiorando opportunamente Ra+Rr. Nota la resistenza totale R, è pure nota la potenza di rimorchio R∤V, in cui V è la velocità. Nel caso, frequente, di propulsione meccanica con elica, per passare dalla potenza di rimorchio (che, se misurata in CV, si indica con PCE) a quella fornita all'asse dell'elica (che, se misurata in CV, si indica con PCA), si introducono le maggiorazioni necessarie per tenere conto del rendimento dell'elica isolata, dell'accoppiamento tra questa e la carena, ecc. Si pone di solito:

in cui ηp è il coefficiente totale di propulsione, variabile da caso a caso, ma oscillante mediamente fra 0,45 e 0,6.

Tecnica: i principi costruttivi

Le parti che compongono la nave, completa in tutte le sue sistemazioni ma scarica, vengono di solito suddivise in tre gruppi: lo scafo, l'apparato motore, l'allestimento. Per le navi militari, vanno considerati anche l'armamento guerresco e le eventuali strutture di protezione. Alcuni fra i carichi che la nave trasporta sono necessari per il servizio cui essa è destinata, altri formano l'oggetto del servizio stesso. Tali carichi comprendono l'equipaggio e il suo corredo, i viveri e l'acqua, il combustibile, l'olio lubrificante e l'acqua di macchina, le dotazioni, i passeggeri e i relativi bagagli, il carico vero e proprio, le munizioni (per le navi militari). Tra gli elementi caratteristici delle navi mercantili vi sono la portata e la stazza, e per quelle militari il dislocamento, l'armamento, la velocità, ecc. La costruzione, l'esercizio delle navi e la condotta della navigazione, sono regolati da precise norme di legge. Ciò per realizzare la sicurezza della navigazione, oltreché per salvaguardare i mezzi e le merci.

Tecnica: lo scafo e la sua struttura

Dal punto di vista strutturale, lo scafo può essere assimilato a una trave tubolare diaframmata, che, oltre al peso proprio, sopporta quello dell'apparato motore, dell'allestimento, dei carichi mobili, ecc. Lo scafo è inoltre soggetto normalmente alla pressione dell'acqua sulla carena. Ne derivano sforzi longitudinali, trasversali, torsionali, locali, cui la struttura è chiamata a resistere. La maggior parte delle navi ha scafo in acciaio; il legno viene ancora usato per piccoli pescherecci, battelli, chiatte, panfili e yacht a vela o a motore; poco comuni le navi con scafi in leghe leggere o in ferrocemento; i materiali sintetici sono invece largamente impiegati per le imbarcazioni da diporto, mentre la vetroresina e le leghe amagnetiche vengono utilizzate soprattutto per le navi speciali e per il naviglio militare adibito a specifici compiti (cacciamine, dragamine, ecc.); le leghe leggere sono usate sempre più spesso per le sovrastrutture. Legno, leghe leggere, materiali plastici e sintetici, vengono ampiamente impiegati nell'allestimento. Per gli scafi in legno i legnami più adatti sono la quercia, il pitch-pine, il teak, il mogano; essi hanno, in generale, la chiglia che sostiene le costole, a cui sono collegati il fasciame esterno e i correnti interni, nonché, quando esiste, il fasciame interno; i bagli contribuiscono alla robustezza trasversale e sopportano il fasciame dei ponti. Negli scafi in acciaio sono impiegati generalmente acciai ordinari, con minore frequenza acciai a elevata resistenza; le varie strutture sono per lo più saldate, con ampio ricorso alla prefabbricazione, in blocchi anche di notevoli volume e peso. La chiodatura è limitata a zone particolarmente sollecitate, come ginocchi, trincarini, ecc. Per la realizzazione di scafi in acciaio sono generalmente adottati tre sistemi: nel sistema a struttura trasversale, gli elementi longitudinali, come la chiglia, il paramezzale centrale, le anguille, sopportano una successione di telai trasversali, chiamati ossature, posti a intervalli inferiori al metro; il fasciame esterno, quello dei ponti, del doppio fondo (se esiste) sono sopportati essenzialmente dalle ossature. Tale sistema è stato sviluppato direttamente dalla costruzione tradizionale in legno, cui è molto simile per la disposizione dei diversi elementi. Nel sistema a struttura longitudinale, oltre agli elementi longitudinali prima citati, è presente un insieme di correnti longitudinali, posti a intervalli inferiori al metro, in corrispondenza del fondo, dei ginocchi, dei fianchi, dei ponti; è presente, ovviamente, un certo numero di ossature, o telai, trasversali, posti però a intervalli maggiori di quelli riscontrabili nel sistema a struttura trasversale, e, perciò, generalmente più robusti. Il fasciame risulta sostenuto essenzialmente dagli elementi longitudinali. Tale sistema consente, specie negli scafi lunghi, un sensibile risparmio di peso, anche se non è del tutto scevro da difetti. Nel sistema a struttura mista, la zona superiore e inferiore dello scafo, dove sono presenti di regola sforzi longitudinali, hanno struttura di tipo longitudinale, mentre la zona mediana, in cui si hanno tensioni tangenziali, ha struttura di tipo trasversale. La realizzazione degli scafi in vetroresina e in ferrocemento richiede particolari soluzioni strutturali: col primo materiale, il fondo e le zone molto sollecitate, come i ginocchi, sono fatte col sistema a sandwich, interponendo fra strati di vetroresina blocchetti di legno o di alluminio in senso trasversale; la costruzione del resto dello scafo si esegue saldando a freddo più strati sulla forma predisposta. Con il ferrocemento si procede a costruire prima le ossature, complete di madiere, costola e baglio, costituite da strutture reticolari metalliche saldate; sul loro esterno vengono disposti tondini metallici fissati con fili di acciaio; lo scheletro dello scafo viene completato con altri tondini disposti su piani trasversali e da più strati di rete metallica in modo da realizzare perfettamente la superficie esterna e interna; sul tutto viene poi applicata la malta cementizia impastata con pittura alquanto consistente a base di resine sintetiche. La tendenza attuale a costruire navi diversificate a seconda del tipo di trasporto che eseguono richiede varianti dei tre sistemi principali per realizzare scafi che rispondano ai requisiti richiesti dal carico imbarcato; tali varianti hanno reso più complessi i calcoli e gli stessi disegni di progetto per risolvere i problemi relativi alla forma ottimale della carena, alle caratteristiche evolutive e di stabilità della nave, nonché al suo comportamento in acque agitate. L'esame dettagliato della struttura, e quindi della robustezza dello scafo nelle diverse condizioni di carico e di mare in cui la nave può trovarsi, è reso possibile grazie all'impiego degli elaboratori elettronici che dispongono di programmi i quali consentono calcoli di dettaglio, utili anche per la produzione modulare nei cantieri automatizzati. Tra le varianti più importanti per le navi portarinfuse, portacontainer e portachiatte vi sono: una maggior robustezza della struttura del ginocchio, realizzata con lamiere disposte in modo che quando la nave è sbandata queste si vengano a trovare nelle stesse condizioni dei paramezzali a nave diritta; la sostituzione delle lamiere di cinta saldate a quelle di trincarino, con lamiere saldate di curvatura idonea; la realizzazione sulla parte superiore dei fianchi di vani-deposito per zavorra al fine di innalzare il centro di gravità quando la nave porta carichi ad alto peso specifico. Nelle navi per trasporto di minerali, oltre che con i vani-deposito, il centro di gravità del carico viene innalzato realizzando un doppio fondo più alto fra due paratie longitudinali; queste corrono lungo tutta la nave in modo da delimitare un vasto spazio centrale per il carico sfuso; se tali navi portano anche petrolio (come le OOC, Ore and Oil Carrier) lo spazio centrale viene ridotto e, lateralmente alle due paratie, vengono realizzate più cisterne per i liquidi dotate di solidi boccaporti a tenuta stagna; il doppio fondo viene, in tal caso, destinato a zavorra per motivi di sicurezza. Infine, per le navi gasiere lo scafo deve avere maggiore profondità in quanto si deve tenere conto dello spazio necessario per i sistemi di coibentazione (il carico deve essere tenuto a ca. -170 ºC) e i serbatoi hanno forma prismatica. Poiché la maggior parte delle navi da carico ha l'apparato motore e le sovrastrutture poste a poppavia è necessario non solo rinforzare tale settore ma anche provvedere a realizzare un'idonea cassa di zavorra nella parte prodiera; onde evitare eccessivi momenti flettenti con la nave a pieno carico si preferisce, però, disporre l'apparato motore a ca. un quarto della lunghezza della nave, con una stiva a poppavia.

Tecnica: la propulsione

Attualmente si distinguono navi con propulsione meccanica (tra cui le motonavi, i piroscafi, le navi nucleari), a vela o velieri, e con propulsione mista (motovelieri e velieri con moto ausiliario). Obiettivi fondamentali per gli apparati di propulsione navale sono: alta affidabilità, semplicità, bassi pesi, ingombri, consumi, costi iniziali e di esercizio. Va ricordato che, salvo rare eccezioni, ciascuna elica non trasmette più di 50.000 CV; essa ha inoltre una velocità di rotazione relativamente bassa, da circa cento giri al minuto per le grandi unità mercantili sino ad alcune centinaia per quelle militari sottili. Esiste, infine, la necessità di provvedere la nave di pronti ed efficaci mezzi per la marcia indietro. La maggioranza delle navi è formata da motonavi, con motori Diesel reversibili, impieganti, per quanto possibile, le nafte meno pregiate. Ampiamente usati i motori Diesel lenti, a 2 tempi; le potenze massime continuative per motore raggiungono 46.000 CV (3800 CV per cilindro). Data la bassa velocità di rotazione, sono accoppiati direttamente all'asse dell'elica. Trovano anche largo impiego i Diesel semiveloci: le potenze massime continuative per motore raggiungono 18.000 CV (1000 CV per cilindro); sono collegati, in unità singole o a coppie, all'asse dell'elica per mezzo di riduttore di giri a ingranaggi; frequente è l'adozione di eliche a passo regolabile. I limiti di tali apparati di propulsione sono un maggior ingombro, in particolare per i Diesel lenti le cui dimensioni richiedono locali macchina più ampi, e il fatto che i depositi prodotti dai carburanti di scarso pregio si raccolgono sulla testa, le fasce elastiche e le valvole dei cilindri e, inoltre, tendono a otturare i filtri e gli iniettori; pertanto diventano necessari una manutenzione più frequente, l'installazione di idonei depuratori per il trattamento del combustibile e l'impiego di additivi per ridurre la formazione di acidi e i fenomeni di corrosione. Per navi di dislocamento e velocità elevati, che necessitano di apparati propulsori con potenze superiori ai 40.000 CV, sono preferite le turbine a vapore o a gas: nelle prime, l'apparato è costituito da un idoneo generatore di vapore e da un gruppo di turbine, di cui una adibita alla marcia indietro (poiché la turbina non è una macchina reversibile), collegate mediante riduttore a ingranaggi agli assi delle eliche. Il generatore, di norma, è del tipo a vapore surriscaldato e viene alimentato sia con carbone di idonea pezzatura, sia con combustibile liquido (gasolio di basso pregio), sia con polverino di carbone mescolato a combustibile liquido (quest'ultimo sistema può essere adottato anche con motori Diesel lenti). L'impianto è automatizzato: la distribuzione del carbone viene effettuata da un apparecchio spalatore su una griglia mobile; idonei impianti provvedono al recupero e al reimpiego del combustibile non bruciato e alla raccolta e stivaggio automatizzato delle ceneri; sistemi integrati sono utilizzati per far variare la quantità del vapore sotto pressione in base alla richiesta delle turbine. Il generatore, di frequente, è dotato di bruciatori e di apparati per il funzionamento, in alternativa o simultaneo, a carbone e/o combustibile liquido. Le turbine a gas, dati gli alti costi di esercizio, vengono ormai quasi esclusivamente utilizzate per le navi militari: esse sono in grado di sviluppare potenze fino a 27.000 CV per unità motrice, il che consente di superare i 30 nodi; il collegamento all'asse dell'elica, che è sempre del tipo a passo variabile, avviene mediante riduttore a ingranaggi. L'apparato è schematicamente costituito da un compressore assiale, una camera di combustione in cui si trovano i bruciatori, una turbina ad alta pressione che trascina il compressore e una turbina di potenza collegabile all'asse dell'elica. Questi apparati motore sono molto compatti, vengono avviati automaticamente a freddo in due minuti, hanno elevata resistenza alla corrosione, lunga vita operativa e notevole affidabilità; richiedono, però, idonei generatori o serbatoi per il gas e hanno consumi specifici molto elevati. Tutte le navi di un certo dislocamento, soprattutto quelle militari dotate di turbine, oltre agli ovvi sistemi manuali, sono dotate di sistemi elettronici in grado d'impostare la velocità richiesta per ogni gruppo propulsivo; questi sono anche in grado di individuare e isolare eventuali avarie dei motori, evitando danni maggiori; inoltre una centrale di propulsione provvede ad avviare, telecomandare e telecontrollare le singole macchine adeguandone le prestazioni secondo necessità e regolando sia il numero di giri sia il passo delle eliche. Il comando e il controllo vengono effettuati a distanza, direttamente dalla plancia; da questa, grazie ai sistemi elettronici integrati, è possibile controllare e gestire anche tutti gli apparati relativi ai servizi di bordo, dall'impianto elettrico al carico scarico dei prodotti imbarcati. Infine, è abbastanza diffusa la propulsione elettrica: i Diesel o le turbine a vapore azionano generatori di corrente che alimentano i motori elettrici di propulsione: pressoché tutti i sommergibili convenzionali, nonché alcuni traghetti, navi da pesca, rimorchiatori, ecc., hanno propulsione Diesel-elettrica.

Tecnica: l'allestimento

L'insieme di sistemazioni di bordo, tra cui l'impianto elettrico, gli arredi, gli impianti di ventilazione, condizionamento, antincendio antinquinamento, nonché i sistemi della salvaguardia della vita in mare, vengono designati quali allestimento. Le applicazioni dell'elettricità a bordo sono innumerevoli e riguardano la forza motrice per argani, compressori, cucine, pompe, ventilatori, verricelli, timoneria; l'illuminazione normale e di emergenza; gli impianti per le comunicazioni, per la navigazione, ecc. L'impianto elettrico di bordo è di regola realizzato in modo da assicurare l'alimentazione degli utenti essenziali anche in condizioni di avaria grave. In genere ogni nave possiede sistemazioni proprie per la manovra del carico, come picchi di carico, gru, ecc.; impianti particolari hanno le navi cisterna, specie quelle per il trasporto di infiammabili. La nave è infine munita di ancore, catene, cavi per l'ormeggio e il tonneggio e di impianti per la loro manovra. Le imbarcazioni di salvataggio e di servizio sono sospese per mezzo di speciali gru, che ne consentono la messa a mare anche quando la nave è sensibilmente inclinata trasversalmente. Precise norme internazionali per la salvaguardia della vita in mare (SOLAS) fissano le disposizioni generali per la tipologia, la costruzione, la compartimentazione, la stabilità della nave, nonché stabiliscono i criteri per l'allestimento relativi ai sistemi antincendio e anticollisione, agli impianti radar-radiotelefonici, ai mezzi di salvataggio (per esempio l'adozione d'imbarcazioni a chiusura stagna in grado di abbandonare la nave anche se sbandata su un fianco). Ogni nave, in base alla convenzione internazionale antinquinamento (MARPOL), deve essere dotata di sistemi atti a limitare l'inquinamento accidentale, dovuto a perdite di combustibile o di sostanze tossiche (riduzione delle sezioni dei compartimenti stagni sui fianchi e sul fondo; impianti schiumogeni per dissolvere i prodotti inquinanti; particolari depositi a tenuta stagna in cui convogliare i reflui, ecc.).

Tipologia: navi mercantili

Sono definite mercantili quelle navi abilitate a uno o più dei seguenti servizi: trasporto di passeggeri, di merci, pesca, rimorchio, ecc. Le navi per passeggeri si distinguono per lo sviluppo dei servizi alberghieri e delle sistemazioni di sicurezza. Le navi per trasporto merci, dette navi da carico, possono essere adibite a trasporto di solo carico secco, cioè di merci solide o contenute in adatti recipienti, oppure di liquidi oppure miste. Nelle prime, di regola, il carico viene sistemato negli spazi interni (stive, interponti), ma talvolta anche in coperta; una classe di tali navi di moderna concezione è formata dalle navi portacontainer (o portacontenitori) e dalle navi portachiatte. Vi sono poi navi per carichi secchi alla rinfusa, o portarinfuse, adatte al trasporto digranaglie, minerali, ecc. I carichi (come prodotti petroliferi, chimici, gas liquefatti, acqua) sono trasportati, secondo i casi, in cisterne ricavate nella struttura dello scafo, o in serbatoi sistemati permanentemente a bordo; le unità destinate a tali servizi sono dette genericamente navi cisterna. Vi sono inoltre navi per il trasporto sia di petrolio sia di carichi alla rinfusa. Tra le navi speciali vi sono quelle adibite a carichi refrigerati (navi frigorifero), le quali hanno gli interponti e le stive rivestiti di materiali termoisolanti e intorno ai quali una rete di tubazioni fa circolare aria assai fredda prodotta da una centrale frigorigena. Esistono, inoltre, navi che pur non essendo propriamente mercantili svolgono servizi civili particolari, come bette, draghe, rimorchiatori, rompighiaccio, posacavi, navi faro, navi per il salvataggio, navi per servizi postali, idrografici, di polizia, ecc. Navi per impieghi specializzati sono le navi traghetto, le navi per ricerche oceanografiche, le navi baleniere, le navi da pesca, ecc.

Tipologia: navi da guerra

Oggi le armi che minacciano la nave sono, principalmente, i missili guidati, lanciati da navi di superficie, o da velivoli, e i siluri guidati, normalmente lanciati da sommergibili. Il cannone, pur continuando a costituire un pericolo, è divenuto piuttosto un'efficace arma di difesa contro i missili e i velivoli; il duello d'artiglieria appare meno probabile, e comunque limitato a casi particolari. Nello stesso tempo la possibilità di imbarcare missili balistici a carica nucleare e velivoli vettori di armi nucleari ha conferito alle flotte una grande capacità offensiva strategica, esplicata mediante i sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare e le portaerei strategiche. Per le operazioni navali classiche esistono invece: incrociatori armati generalmente di missili e cannoni, ma sovente dotati di siluri antisommergibili ed elicotteri antisom; alcuni tipi sono dotati di ponte per aerei a decollo verticale o per elicotteri (solo gli Stati Uniti utilizzano ancora le corazzate); cacciatorpediniere, nave di piccolo dislocamento e assai veloci, armate con cannone, missili e lanciasiluri, che svolgono compiti di scorta, difesa e attacco contro navi o obiettivi a terra; fregate, più piccole dei precedenti ma con armamento simile, più idonee a svolgere missioni in acque ristrette; corvette, di piccole dimensioni, armate prevalentemente di missili antiaerei, destinate a operare in acque costiere e con funzioni antiaeree e antisommergibile (questi ultimi tipi di navi sono anche utilizzati per compiti di scorta a naviglio di superficie e a convogli). Per il pattugliamento in acque costiere esistono poi motovedette, aliscafi e veicoli a cuscino d'aria armati con missili e/o cannoni, talvolta con siluri. Per la lotta contro le mine esistono cacciamine e dragamine, mentre una vasta gamma di navi anfibie e logistiche è destinata alle operazioni di sbarco e, rispettivamente, al rifornimento e alla manutenzione della flotta. Ai sottomarini d'attacco, a propulsione nucleare o Diesel-elettrica, è infine affidato il compito di pattugliamento difensivo e di attacco in alto mare contro navi da guerra o mercantili.

Diritto

Viene considerata tale qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo. Le navi sono soggette alle norme del Codice Civile sui beni mobili. Esse si distinguono in: maggiori (o alturiere), se destinate alla navigazione in alto mare; minori (o costiere), quelle del servizio marittimo dei porti e quelle addette alla navigazione interna. La costruzione delle navi deve essere eseguita in cantieri e in stabilimenti i cui direttori siano muniti della prescritta autorizzazione e il controllo tecnico sulle costruzioni è esercitato dal Registro navale italiano. Sono ammesse alla navigazione le navi iscritte nelle matricole e nei registri tenuti dagli uffici competenti e abilitate nelle forme previste dal Codice della Navigazione. Le navi maggiori sono contraddistinte da un nome; quelle minori da un numero. Il nome o il numero della nave e l'indicazione del luogo dell'ufficio d'iscrizione devono essere segnati sullo scafo. Rispondono ai requisiti di nazionalità richiesti per l'iscrizione nelle matricole le navi che appartengono, per una quota non inferiore a 16 carati su 24, a cittadini o enti pubblici italiani ovvero a società autorizzate. Le navi iscritte nelle matricole sono abilitate alla navigazione dall'atto di nazionalità e dalla licenza. L'atto di nazionalità è rilasciato dal direttore marittimo della zona, nella quale la nave è immatricolata; la licenza è rilasciata dall'autorità che tiene il registro d'iscrizione. Le navi abilitate alla navigazione inalberano la bandiera italiana. La nave che intraprende la navigazione deve essere in stato di navigabilità, convenientemente armata ed equipaggiata, atta all'impiego al quale è destinata e le autorità marittime possono procedere a visite e ispezioni, anche straordinarie. Ogni nave ha dei documenti di bordo, tra i quali si deve rammentare il giornale nautico (suddiviso in giornale generale e di contabilità, giornale di navigazione, e, nei casi specifici, giornale di carico e di pesca). In particolare, sul giornale di navigazione sono annotati la rotta seguita con il cammino percorso, le osservazioni meteorologiche, le rilevazioni e le manovre relative, e in genere tutti i fatti inerenti alla navigazione. Le navi maggiori a propulsione meccanica devono essere provviste del giornale di macchina; quelle munite d'impianto radiotelegrafico devono essere provviste del giornale radiotelegrafico. Il comando della nave può essere affidato soltanto a persone munite delle prescritte abilitazioni; l'equipaggio è costituito dal comandante, dagli ufficiali e da tutte le altre persone arruolate, attraverso il contratto di arruolamento per il servizio della nave.

Diritto militare

Il diritto militare considera l'avaria, l'incaglio, l'investimento di nave, reato militare di cui si rende responsabile il comandante di una nave, il quale cagioni l'investimento o l'incaglio o un'avaria della nave stessa. La pena è la reclusione non inferiore a 8 anni; la reclusione non inferiore a 15 anni è inflitta se dai fatti predetti sia derivata la perdita della nave. In analoga responsabilità penale incorre il comandante di un aeromobile che cagioni l'investimento o un'avaria dell'aeromobile. Quando il comportamento del comandante non è doloso ma semplicemente colposo, la pena è la reclusione militare fino a 2 anni.

Bibliografia

A. Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, Milano, 1967; C. Manfroni, Storia della marina militare italiana, Milano, 1970; G. Annovazzi, 50 navi italiane famose, Milano, 1971; G. Giorgerini, Le navi da battaglia, Parma, 1972; B. Crochet, Navi di tutti i tempi testimoni della storia, Bologna, 1991.

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