Lessico

sf. [sec. XV; dal latino notatío-ōnis].

1) Atto ed effetto del notare; in particolare, annotazione, appunto: pagina ricca di notazioni.

2) L'insieme dei segni (o note) convenzionalmente adottati in una determinata disciplina o attività; sistema di scrittura simbolica: notazione stenografica o tachigrafica;notazione musicale, rappresentazione grafica dei suoni. In particolare, in matematica, l'insieme dei simboli usati per rappresentare in modo sintetico enti, operazioni, concetti. Il passaggio da una notazione a un'altra è stato talvolta determinante per il rapido sviluppo di settori della matematica, come nel caso del passaggio dalla notazione additiva a quella posizionale dei numeri. Per il significato delle più importanti notazioni, vedi simbolo.

3) Fig., osservazione, considerazione, per lo più acuta e sottile: fine notazione psicologica.

Musica: dalle origini alla notazione mensurale

La prima notazione di cui si posseggono documenti sicuri è quella greca, suddivisa in due sistemi, entrambi a base essenzialmente alfabetica: il tipo più antico, detto strumentale, si serviva in parte di un alfabeto arcaico usando le lettere in posizioni diverse per indicare le alterazioni; il secondo tipo, detto vocale, si valeva dell'intero alfabeto ionico in ordine consecutivo. Tutt'altra base ebbe la notazione medievale del canto gregoriano, detta notazione neumatica, che adottò i simboli grafici dell'accento acuto, grave e circonflesso. I neumi costituivano un insieme di segni indicanti con approssimazione il decorso di una linea melodica, in modo da aiutare i cantori, che già la conoscevano a memoria, a ricordarla meglio. Già nella notazione neumatica tuttavia si avevano scritture adiastematiche (dove la posizione reciproca dei neumi non tentava di raffigurare con esattezza la successione delle altezze) e scritture diastematiche (dove, in diversa misura, questo tentativo era compiuto). Nel sec. XI Guido d'Arezzo propose l'uso sistematico di un vero e proprio rigo musicale di 4 linee (tetragramma): in questo modo era possibile rappresentare con precisione l'altezza delle note, con lo stesso criterio oggi in uso. Restava da risolvere il problema della rappresentazione grafica delle durate: esso si pose con urgenza all'epoca dei primi sviluppi della polifonia. Nei sec. XII-XIII si affermò dapprima il sistema dei modi ritmici; durante l'Ars antiqua, nella seconda metà del sec. XIII, cominciò a delinearsi un sistema (notazione modale) che faceva corrispondere ad alcuni valori di durata una forma precisa delle note. Con l'Ars nova (sec. XIV) la notazione modale venne completamente superata: ai valori di maxima, longa, brevis, semibrevis e minima corrispose una forma ben definita, ma i loro rapporti reciproci erano definiti da una teoria piuttosto complessa, che distingueva i casi in cui quei valori erano perfetti (tre volte il valore successivo) o imperfetti (il doppio). Questa notazione, detta notazione mensurale, ebbe caratteri diversi in Italia e in Francia. Tuttavia nel sec. XV si impose ovunque la notazione mensurale francese, che rimase sostanzialmente invariata fino alla fine del sec. XVI; conobbe poi una graduale semplificazione che venne a coincidere con la notazione moderna. Da notare che mentre nella notazione modale le parti si scrivevano una sopra l'altra in partitura, nella notazione mensurale si usarono le parti staccate e dal Seicento si affermò accanto a esse l'uso della partitura in senso moderno (con la stanghetta di battuta). Pur tralasciando l'evoluzione dei sistemi di scrittura musicale non europei, non si può tuttavia trascurare l'esistenza di una specifica notazione per il canto bizantino (basata su segni che definivano con esattezza la successione melodica degli intervalli). Importante anche lo sviluppo che la notazione strumentale per liuto, chitarra, organo, clavicembalo ebbe nei sec. XV-XVIII (intavolatura).

Musica: tra Ottocento e Novecento

I tratti salienti della successiva storia della notazione occidentale si possono indicare nella progressiva scomparsa di queste notazioni speciali per determinati strumenti (che vengono confinate in un ambito eminentemente didattico o popolare, in versioni vistosamente semplificate) e nella sempre maggiore analiticità delle indicazioni esecutive ed espressive che gli autori forniscono agli interpreti, attraverso la normale notazione, nell'intento di specificare al massimo i progetti compositivi. In questo modo, tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, la notazione della musica occidentale conobbe il momento di maggiore complessità, aspirando idealmente a porsi come grafico stilizzato ma completo e inequivoco della realizzazione sonora della musica. Proprio questa esigenza di completezza della notazione (sconosciuta nei secoli precedenti il XIX, quando la notazione fungeva da puro supporto di comodo per l'intervento creativo dell'interprete) ne affrettò la crisi quando emersero, nel campo compositivo, istanze nuove sul piano del ritmo, dell'intonazione, del timbro, ecc. non indicabili con i simboli grafici tradizionali. Di qui il vasto (e purtroppo non unitario) ricorso, da parte dei singoli autori, a nuove simbologie che non hanno ancora trovato un impiego generalizzato e d'altra parte sono ancora assai lontane da quella durata e diffusione che sole potrebbero permetterne la razionalizzazione e la semplificazione. Una serie di elementi legati agli orientamenti dell'avanguardia ha inoltre contribuito a trasformare radicalmente l'idea stessa e la funzione della notazione: da una parte il concetto di alea e di opera aperta che, rifiutando la composizione come struttura definitiva e immodificabile, ha tolto alla notazione ogni connotazione “statica”, favorendone un impiego libero, in larga misura basato sulla pura suggestione grafica nei confronti dell'interprete; dall'altro la generalizzazione della composizione elettronica che, salvo casi eccezionali, prescinde sia nella fase compositiva sia in quella dell'esecuzione dalla mediazione della notazione, affidandosi alla registrazione diretta del suono elettronico sul nastro magnetico, ha sollecitato esperimenti di fissazione grafica assai più vicini nella forma e nello spirito all'obiettività di una simbologia scientifica che non a qualsiasi aspetto legato all'evoluzione storica della notazione occidentale.

Danza

Benché le prime tracce di rudimentali notazioni di danze e cerimonie vengano fatte risalire da alcuni all'antico Egitto e all'epoca romana, testimonianze certe ci vengono soltanto da alcuni documenti spagnoli e francesi della seconda metà del sec. XV. Il primo testo di riferimento è Orchesographie, di Thoinot Arbeau (1588). Il metodo ivi esposto fu ripreso, con varianti, da numerosi autori in Francia, in Italia e in Inghilterra. Rivelatosi, col tempo, insufficiente a descrivere il progressivo complicarsi dei passi, fu soppiantato da quello pubblicato da Raoul Feuillet (elaborato in realtà, secondo alcune fonti, da Beauchamps), apparso nel 1700 con il titolo Chorégraphie ou l'Art d'écrire la danse par caractères, figures e signes démonstratifs. Questo sistema, citato in una sua variante anche dall'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, registrava i percorsi e il tipo dei passi eseguiti nonché alcuni movimenti delle braccia, segnalando anche la posizione del danzatore in relazione allo spazio. Molti coreografi si sono cimentati, nel tempo, nell'elaborazione di un'efficace sistema di notazione delle loro composizioni. Fra gli altri Pierre Rameau, Arthur Saint-Léon (autore di un proprio testo: Sténochorégraphie, 1852) e più tardi Nijinskij. Vladimir Stepanov, ballerino e insegnante del Teatro Mariinskij, escogitò un sistema, simile a quello della notazione musicale, che fu introdotto come materia di studio presso la Scuola imperiale di ballo di Pietroburgo e poi pubblicato in volume a Parigi con il titolo Alphabet de mouvements du corps humain (1892). Molti dei balletti di Petipa e Ivanov furono trascritti con questo metodo e, attraverso gli appunti del coreografo e maître de ballet K. M. Sergeev, furono successivamente allestiti in Occidente. Nel sec. XX sono due i metodi che hanno guadagnato larga popolarità di applicazione: quello ideato dai coniugi Joan e Rudolph Benesh, detto Choreology o anche Benesh Movement Notation, e quello elaborato da Rudolf Laban, detto kinetographie Laban o anche Labanotation. Entrambi i sistemi si adattano alla notazione non solo coreografica ma di qualsiasi movimento. Per garantire un armonico e omogeneo sviluppo del metodo di Laban in ogni parte del mondo, nel 1940 è sorto a New York il Dance Notation Bureau, che cura anche ricerche e documentazione su tutti gli altri sistemi di notazione. Negli anni Ottanta, presso la facoltà di scienze informatiche della Simon Fraser University di Vancouver, un team di ricercatori guidato dal professor Thomas Calvert ha elaborato un metodo di “scrittura” della danza e del movimento umano basato sull'elaborazione e notazione del movimento, direttamente su computer. Pioniere nell'uso di questo sistema di trascrizione, che prescinde dalla necessità della notazione simbolica, è stato M. Cunningham (Trackers, 1991).

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