Definizione

sm. [sec. XX; da operaio]. Tendenza tipicamente ottocentesca del movimento operaio, intesa a ricercare la graduale e progressiva emancipazione dei lavoratori principalmente sul piano economico e sociale.

Storia: assistenzialismo e partecipazione politica

In Italia si può parlare di operaismo soltanto dopo la conclusione dell'epopea risorgimentale alla quale i ceti popolari assistettero da una posizione di sostanziale dissenso, quando non di aperta opposizione. In Piemonte, l'unica regione-Stato della penisola in cui sussisteva un regime liberale, già a partire dal 1850 erano sorte organizzazioni operaie raggruppate nelle società di mutuo soccorso il cui primo congresso si tenne ad Asti nel 1853. Dominate dalle correnti moderate, esse si tennero rigorosamente al di fuori di qualsiasi interesse politico. L'impostazione puramente assistenziale fu sottolineata nei successivi congressi (Alessandria, 1854; Genova, 1855) e occorre arrivare al quinto congresso (Voghera, 1857) per vedere discussa la questione dell'orario di lavoro che allora toccava le 14 ore al giorno. Ma un'autentica rivoluzione nel movimento operaio si operò al Congresso di Milano (1860) dove i delegati lombardi – che l'anno precedente avevano dato vita a un grande sciopero, arma di pressione, questa, sempre nettamente respinta dai Piemontesi – fecero prevalere le tesi mazziniane discutendo della partecipazione dei lavoratori alla vita politica mediante il suffragio universale. I moderati (onorevole Sineo) erano così battuti in breccia e risultarono del tutto superati i loro appelli all'“amore del lavoro”, all'“assiduità e regolarità del lavoro” e alla “somma probità”. Un ulteriore passo avanti si ebbe l'anno successivo al Congresso di Firenze, quando Montanelli riuscì a far approvare una mozione in cui si sosteneva che “nessuna questione politica” doveva ritenersi estranea al movimento operaio quando esso “la riconoscesse utile al proprio incremento e consolidamento”. Ma il prevalere di questa tesi provocò la scissione dei moderati che, riunitisi ad Asti (1861), ribadirono la loro fedeltà ai principi operaistici originari respingendo come estranea al movimento “la trattazione della politica”.

Storia: l'influenza anarchica e marxista

Tuttavia la componente politica ormai si era imposta e a consolidarla concorsero due fattori: il forte incremento industriale (specie tra il 1864 e il 1866) e la propaganda anarchica di Bakunin che inserì nel moto di emancipazione popolare anche il mondo contadino (Romagna, Marche, Meridione). Le tre correnti - mazziniana, anarchica e marxista - fortemente antagoniste, coesistettero praticamente sino alla fine degli anni Settanta quando agli errori di Mazzini (determinante fu, fra l'altro, la sua opposizione alla Comune di Parigi) s'aggiunsero il fallimento delle sollevazioni anarchiche in Romagna e nel Beneventano e il sostanziale successo degli scioperi milanesi del 1872 (salari e riduzione dell'orario di lavoro), facendo prevalere l'influenza del pensiero marxista come guida del movimento operaio, anche se – ancora nel 1874 – nel congresso dei tipografi milanesi l'operaismo (che faceva capo al Consolato operaio e rimase vivo anche negli anni Ottanta del sec. XIX) ebbe un nuovo sussulto con l'approvazione della tesi secondo cui “sempre rimanendo nell'attuale ordinamento” il movimento “essendo solamente operaio” non poteva avere alcuna opinione politica. Ma la “svolta storica” avvenne il 27 luglio 1879 con la lettera aperta “Ai miei amici di Romagna” in cui l'ex anarchico Andrea Costa si convertiva clamorosamente al marxismo chiamando a raccolta attorno a sé tutti i proletari.

Storia: il corporativismo e la nascita del PSI

Il Partito Operaio Italiano (POI), fondato nel 1882, non colse però nella giusta misura questa svolta. In realtà si può dire che il POI non fu un vero partito politico, poiché non mirava alla conquista del potere, né alla dittatura del proletariato, ma esclusivamente a organizzare i lavoratori in federazioni di “corpi professionali”. Ma questa sua struttura corporativa, che rifiutava categoricamente la partecipazione al POI a chiunque non fosse lavoratore salariato, e l'ambito di azione ristretto, apolitico, confinarono ben presto l'operaismo e il POI a una settorialità d'intervento priva di slancio e di una visione generale, politica, dei problemi, cui vanno ascritti i pericoli dell'“economicismo”. Entrato in crisi, il POI venne così soppiantato dal nascente, più dinamico e incisivo Partito Socialista Italiano, al quale tuttavia trasmise in eredità l'esigenza insopprimibile di un'autonomia assoluta del movimento operaio dalle influenze della democrazia borghese risorgimentale (mazziniana e radicale) e il concetto di un'organizzazione sindacale autonoma seppure alleata al partito nel quadro di una duplice strategia di lotta politico-parlamentare affidata al partito ed economico-rivendicativa affidata ai sindacati (vedi sindacalismo).

Bibliografia

R. Zangheri, Gli studi storici sul movimento operaio italiano dal 1900 al 1914, Roma, 1951; L. Valiani, Questioni di storia del socialismo, Torino, 1958; S. F. Romano, Storia dei fasci siciliani, Bari, 1959; E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani, Milano, 1961; S. Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, il caso italiano 1880-1900, 2 voll., Firenze, 1972; S. Sechi, Movimento operaio e storiografia marxista, Bari, 1974; E. J. Hobsbawm, Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale, Bari, 1990.

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