Lessico

sm. [sec. XX; dal francese pacifisme].

1) Movimento politico-ideologico che sostiene la necessità di abolire la guerra come metodo di soluzione (sia pure estrema) delle vertenze internazionali predicando una soluzione pacifica delle controversie mediante il negoziato e altre forme d'intesa.

2) Per estensione, amore della tranquillità personale, tendenza a evitare liti e contrasti.

Storia: origini etiche, religiose e politiche

In senso teoretico il pacifismo è una corrente di pensiero tesa a dimostrare la possibilità di abolire per sempre la violenza, in particolare quella bellica, come mezzo di risoluzione dei conflitti politici. Nel suo significato pratico è quel movimento sociale che per realizzare tale obiettivo si batte con un'azione più o meno direttamente politica. Al rifiuto della guerra il pacifismo è giunto o partendo da profonde motivazioni di carattere etico-religioso o andando alla ricerca di un rimedio empirico e razionale alle devastazioni belliche, costose e drammatiche anche sul piano umano oltre che economico e finanziario. Dottrine pacifiste, seppur vaghe, si trovano già nelle più antiche religioni e filosofie: il buddhismo, ad esempio, proclama l'assoluta astensione da ogni atto di violenza contro qualsiasi creatura vivente. Il cristianesimo invece, benché fautore della pace in senso spirituale e caratterizzato inizialmente dal rifiuto della violenza, ammise la possibilità della guerra giusta e anche santa. D'altra parte la pace è stata fin dall'antichità e dal Medioevo teorizzata come scopo ultimo della guerra in una visione imperialista, ossia come effetto di una dominazione universale: Plutarco attribuisce ad Alessandro Magno questo ideale, ripreso poi dagli imperatori romani e da Dante Alighieri, sostenitore nel De Monarchia di una “pax universalis” da raggiungere mediante l'unificazione imperiale dell'Europa cristiana. Nel '500 il pacifismo di stampo etico-religioso fu propugnato dall'umanista Erasmo da Rotterdam, mentre numerose correnti del protestantesimo (mennoniti, quaccheri, ecc.) condannarono decisamente il ricorso alle armi. Nella sua forma ascetica, il pacifismo ha trovato soprattutto in L. Tolstoj il suo massimo rappresentante moderno.

Storia: sviluppo del pacifismo moderno

A partire del secolo XVII al pacifismo di matrice religiosa vennero sovrapponendosi in Europa teorie più propriamente politiche, incentrate sul concetto di equilibrio internazionale e su quello, più utopistico, di pace perpetua, per le quali la pace doveva essere garantita da sistemi di alleanze stabili tra gli Stati oppure da veri e propri organismi sovranazionali miranti a comporre le vertenze tra i diversi paesi. A simili concezioni s'ispirarono vari progetti: quello di E. Crucé (Le nouveau Cynée, 1623), del duca di Sully, ministro del re di Francia Enrico IV (Mémoires des sages et royales Oeconomie d’Estat, 1638), di Charles Irénée Castel, abate di Saint-Pierre (Projet de traité pour rendre la paix perpétuelle entre les souverains chrétiens, più volte pubblicato con vari titoli tra il 1712 e il 1729) che diede spunto ad un importante commento critico di J. J. Rousseau ((Extrait du projet de paix pérpetuelle de M, l’abbé de Saint-Pierre, 1761) a sua volta all'origine dello scritto di I. KantPer la pace perpetua (1795). Con Rousseau e Kant – ma anche con J. Bentham (A Plan for an Universal and Perpetual Peace, 1789) – il pacifismo è oggetto di una trattazione più approfondita: si riconosce infatti che è impossibile eliminare le cause delle guerre mediante il generico rigetto della violenza o attraverso accordi ed alleanze politiche contingenti o stabili. Kant pertanto, concependo il mondo come un'associazione di liberi Stati, giunse alla conclusione che la pace poteva essere assicurata soltanto da una federazione dei pesi euroepi in cui libertà, indipendenza ed eguaglianza nei rapporti reciproci potevano essere garantite solo dalla libertà interna, costituzionale e repubblicana, di ciascuno di essi. Il pacifismo veniva così a collegarsi con le esigenze della giustizia interna ed internazionale, con il liberalismo e il costituzionalismo. A simili ideali s'ispirò tra l'altro la Déclaration du droit des gens proposta dall'abate H. Grégoire alla Convenzione francese (nel 1793 e 1795) e, in sostanza, tali rimasero le coordinate ideali di fondo anche del pacifismo successivo, che nel XIX e XX secolo trasse ulteriore alimento, oltre che dalle correnti di pensiero cristiane (in particolare, in ambito cattolico, dai francescani, contrapposti ai domenicani, difensori del principio della “guerra giusta”), dallo sviluppo di quelle laiche e riformiste, dall'antimilitarismo (spesso d'impronta anarchica o socialista) e dall'internazionalismo proprio sia del liberalismo e liberismo economico (che giudicava la guerra dannosa per il benessere economico e per gli scambi commerciali) sia del socialismo (internazionalismo proletario).

Storia: le prime organizzazioni pacifiste e le guerre mondiali

Come movimento sociale il pacifismo mostra un carattere ciclico e può essere in generale distinto tra movimenti a largo seguito di massa e movimenti a carattere minoritario. In entrambe le forme il movimento pacifista nacque nell'800, allorché guerra e pace cessarono di essere prerogative esclusive dei capi di Stato e coinvolsero progressivamente l'opinione pubblica. Le prime associazioni pacifiste sorsero negli Stati Uniti – con la New York Peace Society (1815) fondata da David L. Lodge e più tardi fusasi con analoghe associazioni nell'American Peace Society (1828) – e in Inghilterra, con la Society Peace, nata per opera di Allen e Price (1816). Organizzazioni simili si diffusero anche nel continente europeo (come in Svizzera per iniziativa del De Sellon) ma ebbero scarso successo, come pure modestamente incisivi furono la serie di congressi pacifisti internazionali tenuti a Londra (1843), Bruxelles (1848), Parigi (1849), Francoforte (1850) e ancora negli anni seguenti, nei quali i temi più discussi furono l'arbitrato e la l'istituzione di una Corte di giustizia internazionale come mezzi sostitutivi della guerra. Un certo seguito ebbero le prime nobilitazioni contro la guerra col Messico guidate nel 1845 negli Stati Uniti dal poeta H. D. Thoreau, ispiratore di un pacifismo a matrice trascendentalista e vagamente anarchica in qualche misura antesignano di temi vicini all'ecologismo e ai metodi di lotta della disobbedienza civile. Negli anni Sessanta dell'Ottocento vennero poi create in Europa le cosiddette Ligues de la Paix, tra cui spiccarono quella fondata a Parigi da F. Passy, ad orientamento liberale, e quella ginevrina di Lemonnier e Goegg, più radicale, entrambe spazzate via dallo scoppio del conflitto franco-tedescodel 1870. Il movimento riprese vigore allorché Stati Uniti e Gran Bretagna accettarono la soluzione arbitrale per il loro conflitto collegato alla guerra di secessione americana, ma continuò ad avere un impatto limitato. Fu in questi anni che Émile Arnaud, successore di Lemonnier alla guida della Ligue per la pace, usò per la prima volta il termine pacifismo ad indicare l'ideologia specifica del movimento, che sul finire del secolo conobbe un rigoglioso sviluppo. Organizzazioni pacifiste si propagarono un po' ovunque (in Italia il movimento pacifista venne propugnato soprattutto dal filantropo Ernesto Teodoro Moneta, premiato nel 1907 con il Nobel per la pace). e, mentre si riapriva la serie dei congressi per la pace mondiale (a cominciare da quello Parigi del 1889, presieduto da Passy), gli sforzi per la formazione di associazioni transnazionali pacifiste furono coronati dal successo con la fondazione della Interparliamentary Union (composta da deputati di vari paesi e tuttora esistente) e del Bureau International Permanente la Paix di Berna (1891). Nel 1898 lo zar Nicola II si fece promotore di una conferenza internazionale per i disarmo e la pace riunitasi all'Aia nel 1899: ne uscì un progetto di regolazione pacifica dei conflitti tra gli Stati e sui limiti alla violenza bellica, riveduto poi in una seconda Conferenza dell'Aia (1907) in cui si stabilì l'istituzione di una Corte permanente d'arbitrato (a ricorso però non obbligatorio). Negli anni seguenti gli sforzi dei capi di Stato e soprattutto la fase espansiva del movimento pacifista, che aveva trovato alleati soprattutto in alcune correnti della II Internazionale Socialista – già in alcuni suoi congressi mobilitata attorno alla parola d'ordine “guerra alla guerra” –, furono bruscamente interrotti dalla prima guerra mondiale. Nel corso del conflitto, tuttavia, si predisposero numerosi disegni di pace e di organismi internazionali, culminati nelle dichiarazioni in tal senso enunciate dal presidente statunitense Th. W. Wilson nel 1916 in una riunione della League to Enforce Peace a Washington e riprese poi alla fine della guerra durante i negoziati di Parigi. Da questi scaturirono la Società delle Nazioni (1920), esplicitamente mirante a sviluppare la cooperazione internazionale e a garantire pace e sicurezza, e la Corte permanente di giustizia internazionale, accessibile non solo ai membri della Società delle Nazioni ma anche a quelli estranei. Con ciò il movimento pacifista sembrò perdere importanza; in seguito, però, l'isolazionismo degli Stati Uniti, la crisi della Società delle Nazioni, incapace di impedire i conflitti bellici, il fallimento di analoghi accordi tra Stati (come il Patto di Locarno del 1925 e il Patto di Briand-Kellogg del 1928), contribuirono a ridare spazio ai pacifisti. Negli Stati Uniti nacquero organismi per l'obiezione di coscienza al servizio militare, mentre le associazioni pacifiste si unirono nella più estesa coalizione per la pace della storia americana, scioltasi però nel 1937 per dissidi interni. In Europa i pacifisti cercarono di nuovo il sostegno dei socialisti, seppure tra reciproche diffidenze, finché l'avvento, con il fascismo, il nazismo e lo stalinismo, di regimi totalitari, militaristi e nazionalisti, non spense del tutto la protesta (in Germania le organizzazioni pacifiste vennero messe fuori legge nel 1933) e condusse alla seconda guerra mondiale. Fuori dell'Europa grande rilievo assunse invece il movimento della “non violenza”, d'ispirazione etico-religiosa induista, organizzato in India nel periodo fra le due guerre dal Mahatma Gandhi, teorico della dottrina della satyagraha (secondo la quale nulla può resistere alla forza della verità). Il ruolo determinante svolto nelle lotte (pacifiche) per giungere all'indipendenza politica di quel Paese, e ancor più lo straordinario prestigio morale del suo ideatore, hanno fatto sì che il pacifismo gandhiano influenzasse in larga misura l'intero pacifismo contemporaneo che subiva una profonda trasformazione dopo il 1945.

Storia: movimenti per il disarmo nuclare

L'inizio dell'era nucleare, infatti, con l'esplosione della prima bomba atomica su Hiroshima (6 agosto 1945), imponeva l'obiettivo non solo del superamento dei conflitti armati tra Stati ma quello, ben più essenziale, della necessità della pace per la sopravvivenza stessa dell'umanità. Nonostante la nascita dell'ONU (1945), istituzionalmente diretta a preservare la pace e la sicurezza internazionali, lo scenario dei blocchi politico-militari contrapposti, sovietico e americano, e la connessa corsa al riarmo nucleare e convenzionale, determinavano negli anni Cinquanta e Sessanta un'egemonia dei Partiti socialisti e soprattutto comunisti sui movimenti pacifisti dell'Europa occidentale, protagonisti di vaste campagne di massa contro la strategia mondiale statunitense. Nello stesso tempo lo schieramento delle forze liberali e cristiane di governo nell'area del Patto Atlantico e della NATO riduceva le rispettive tradizioni pacifiste alla mera testimonianza di coscienze individuali. In Italia un'esperienza di questo tipo è stata quelle dei “partigiani della pace”, variamente alimentata dal pensiero di alcuni intellettuali, sia cattolici sia di sinistra, come G. La Pira a Firenze e A. Capitini a Perugia, organizzatore della prima marcia per la pace Perugia-Assisi (1961). In Gran Bretagna i pacifisti si opponevano alla decisione del governo di costruire una bomba atomica, dando luogo a uno specifico modello di rifiuto delle armi nucleari (l' ”unilateralismo”, ossia il disarmo atomico unilaterale) e a una forte organizzazione, la CND (Compaign for Nuclear Disarmament, 1958), fondata tra gli altri dal filosofo B. Russell. Malgrado il moltiplicarsi di numerose associazioni analoghe in tutti i Paesi occidentali, questi movimenti non provocarono un mutamento della politica internazionale, che invece si registrò parzialmente negli anni Sessanta a opera delle grandi potenze: l'URSS infatti inaugurò la politica della coesistenza pacifica con l'Occidente, potendosi in tal modo concludere il trattato sulla limitazione degli esperimenti nucleari (1963, tra URSS, Stati Uniti e Gran Bretagna) e quello di non proliferazione (1968). Proprio allora però una serie di eventi, come le proteste contro la guerra americana in Vietnam e le rivolte giovanili del 1968, rilanciarono in tutto il mondo il pacifismo legandolo a nuove rivendicazioni quali l'ampliamento dei diritti civili (esemplari in tal senso le campagne non violente condotte negli USA da M. L. King), l'ecologismo e il femminismo. Dal 1979 la recrudescenza della guerra fredda tra Stati Uniti e URSS (con l'invasione sovietica dell'Afghanistan, lo spiegamento in Europa dei missili nucleari sovietici SS-20 e dei Cruise e Pershing II da parte della NATO) aprì un nuovo grande ciclo di protesta pacifista: negli Stati Uniti si sviluppò una campagna per il cosiddetto “congelamento degli armamenti”, mentre in Europa rinacque un movimento articolato nelle varie culture politiche dei singoli Paesi (Verdi e socialdemocratici in Germania, tradizione unilateralista in Gran Bretagna, protestanti nei Paesi Bassi, sinistra in Italia) e culminato in una serie di manifestazioni simultanee in tutte le capitali europee. Caratteristiche di questa fase furono la dimensione di massa raggiunta dal pacifismo, sconosciuta in passato, e il coordinamento internazionale tra le varie organizzazioni, promosso in particolare dal Consiglio olandese interchiese, per iniziativa del quale nacque l'International Paece Communications and Coordination Network, e dalla britannica CND che contribuì alla fondazione dell'END (European Nuclear Disarmemant Appeal) animata dallo storico inglese E. P. Thompson. L'impatto così pervasivo del pacifismo finiva per riflettersi anche sui governi, che aprivano la strada alle riduzioni “asimmetriche” delle armi atomiche e convenzionali, con il ritiro degli euromissili pochi anni dopo la loro installazione per effetto del trattato INF (Intemediate Nuclear Force), che tuttavia segnò il tramonto dei movimenti pacifisti di massa.

Storia: pacifismo e "nuovo ordine mondiale"

Con la fine del bipolarismo conseguente alla dissoluzione dell'URSS (1991) anche per il pacifismo si chiudeva un'epoca che lo aveva visto stretto nella morsa dei blocchi e concentrato sulle questioni del disarmo. Ma poiché il nuovo scenario internazionale non ha impedito l'esplodere di altre guerre, il movimento per la pace, pur ridimensionato, ha dato vita ad ulteriori mobilitazioni, in particolare in occasione della guerra del Golfo e del conflitto scoppiato tra le etnie serbe, croate e musulmane in seguito allo sfaldamento della Iugoslavia. Nello stesso tempo nella comunità internazionale si sono andati realizzando interventi anche armati a scopo di pacificazione e di soccorso delle popolazioni vittime della guerra, come quelli in Somalia (1992) e in Albania (1997). Simili operazioni, tuttavia, unitamente al dispiegarsi dei processi di interdipendenza economica e politica a livello planetario (cosiddetta globalizzazione), hanno posto al pacifismo l'obiettivo della democratizzazione dell'ordinamento internazionale e degli strumenti per un governo mondiale in grado di prevenire conflitti armati. In questo senso le richieste di buona parte delle correnti pacifiste si sono orientate verso una riforma dell'ONU (allargamento del Consiglio di sicurezza e abolizione del potere di veto delle grandi potenze) e la rivendicazione di maggiori poteri alla Corte internazionale di giustizia dell'Aia. Per le stesse ragioni il pacifismo, nella sua più larga accezione di metodo non violento dell'azione politica, è andato confluendo, divenendone componente essenziale, nel vasto quanto variegato movimento d'opposizione transnazionale alla globalizzazione economica e liberista sviluppatosi nell'ultimo decennio del Novecento.

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