Lessico

sf. [sec. XIV; dal latino pellicŭla, dim. di pellis, pèlle].

1) Pelle, membrana o buccia molto sottile; strato superficiale sottilissimo.

2) Materiale sensibile fotocinematografico costituito da un'emulsione stesa su un supporto flessibile di acetato di cellulosa, resina poliestere e simili: fotografare con una pellicola a colori; avvolgere la pellicola sulla bobina; per estensione, racconto cinematografico, film.

Storia

Alle origini della fotografia, il materiale sensibile veniva steso su lastre di vetro, fragili e pesanti, le quali peraltro sono sopravvissute fino ai nostri giorni, in quanto assicurano la massima planeità e stabilità dimensionale della superficie sensibile. I primi tentativi di soppiantare le lastre di vetro risalgono al periodo dell'introduzione del collodio secco, legante dotato di caratteristiche meccaniche che consentivano la separazione dello strato sensibile dalla lastra di vetro usata come supporto in ripresa. La prima pellicola flessibile che non abbisognava di un supporto temporaneo di vetro fu brevettata da A. Parkes nel 1856; lo stesso Parkes, nel 1861, produsse delle pellicole su un supporto di nitrato di cellulosa dal quale derivò più tardi la celluloide. Nel 1887 H. Goodwin inventò una pellicola di celluloide particolarmente trasparente e sottile, ottenendo il relativo brevetto solo nel 1898. Nel frattempo G. Eastman aveva messo in commercio un prodotto analogo, messo a punto dal suo dipendente M. H. Reichenbach. In seguito a una lunga lite tra la Eastman Co. e la Ansco, proprietaria del brevetto di Goodwin, la prima acquistò i diritti della Ansco e iniziò la produzione del supporto di Goodwin, che rimase pressoché inalterato per vari decenni, fino a essere soppiantato dal supporto ininfiammabile di acetato di cellulosa, introdotto intorno al 1930.

Tecnica

Una pellicola è costituita da un supporto di acetato di cellulosa o di altro materiale adatto, da uno o più strati di emulsione, sopra i quali viene steso uno strato protettivo di gelatina indurita. Sull'altra faccia del supporto viene steso uno strato antialone, che ha la funzione di evitare la formazione di riflessi sulla superficie di separazione tra supporto e aria. Nelle pellicole di medio e grande formato lo strato antialone è costituito da gelatina colorata e ha anche la funzione di impedire l'accartocciamento della pellicola, altrimenti inevitabile a causa delle tensioni provocate dal rigonfiamento o dall'essiccamento dell'emulsione. Nelle normali pellicole fotocinematografiche lo spessore del supporto, standardizzato in funzione dell'impiego della pellicola, è dell'ordine di grandezza del decimo di millimetro, quello dell'emulsione è di qualche decina di micron. Le pellicole vengono classificate in base al tipo di emulsione. Si distinguono innanzitutto materiali in bianco e nero e a colori e ognuno di questi tipi principali comprende pellicole negative e invertibili per ripresa e pellicole positive per stampe. Esistono inoltre pellicole speciali per arti grafiche, radiografia, rivelazione di radiazioni nucleari, ecc. I materiali in bianco e nero si suddividono anche in funzione della loro sensibilità ai colori in pellicole non sensibilizzate, ortocromatiche e pancromatiche. Le prime presentano solo la sensibilità naturale del bromuro d'argento, che si estende dall'ultravioletto fino a ca. 5000 Å, le seconde giungono fino a ca. 6000 Å, mentre le ultime coprono interamente lo spettro delle radiazioni visibili. Esistono anche materiali con sensibilità estesa fino all'infrarosso (sensitometria). Le caratteristiche fotografiche delle pellicole in bianco e nero dipendono essenzialmente dalla concentrazione e dalle dimensioni dei cristalli di alogenuro d'argento presenti nell'emulsione. Con l'aumentare delle dimensioni dei cristalli aumentano la grana e la sensibilità della pellicola. Contrasto e latitudine di posa sono legati alla presenza di cristalli di alogenuro di varie dimensioni. La concentrazione dell'emulsione ha invece importanza per la nitidezza e il potere risolvente. Le pellicole a colori sono costituite da tre strati di emulsione sovrapposti: quello superiore è sensibile solo alla luce blu, seguono uno strato sensibile al blu e al verde e uno sensibile al blu e al rosso. Un filtro giallo posto sotto al primo strato blocca però la luce blu, per cui i tre strati rimangono impressionati solo dalle luci blu, verde e rossa e, dopo lo sviluppo, assumono rispettivamente colore giallo, porpora e blu-verde, cioè complementare a quello della luce che ha impressionato lo strato. In questo modo si registra un'immagine negativa con toni e colori complementari a quelli del soggetto, che può essere stampata per ottenere una positiva. Nelle moderne pellicole negative si ha una mascheratura di colore giallo-arancio per compensare l'assorbimento non perfettamente selettivo di alcuni coloranti. Le pellicole invertibili hanno una struttura analoga a quella dei materiali negativi ma, mediante un trattamento di inversione, forniscono un'immagine positiva da osservare per trasparenza o proiettare (sviluppo). La colorazione dei singoli strati si ottiene in due modi: nel caso più comune l'emulsione, oltre all'alogenuro d'argento e ai sensibilizzatori cromatici, contiene un copulante che reagisce con il prodotto di ossidazione del rivelatore formando il colore. In alcuni materiali invertibili i copulanti anziché essere contenuti nell'emulsione vengono introdotti nel corso dello sviluppo. In tutti i materiali a colori, ma soprattutto in quelli invertibili, sui quali non è possibile intervenire in sede di stampa con opportune correzioni, la sensibilità dei tre strati di emulsione deve essere accordata alla composizione spettrale della luce che illumina il soggetto, e quindi alla sua temperatura di colore. Per questo motivo si producono materiali per riprese in luce diurna (ca. 5800 K) e per riprese in luce artificiale (ca. 3200 K), molto sensibili al blu per compensare la tonalità calda di questa luce. Piccole variazioni nella temperatura di colore della luce si possono correggere mediante opportuni filtri di correzione. La fabbricazione della pellicola avviene in quattro fasi fondamentali: la preparazione dell'emulsione, la preparazione del supporto, la stesa dell'emulsione, il taglio e il confezionamento.

Commercio: il formato

Le pellicole vengono messe in commercio in diversi formati standard. In campo cinematografico la standardizzazione specifica le dimensioni del fotogramma, il numero e le dimensioni delle perforazioni per ogni fotogramma e la larghezza complessiva della pellicola. Si usano normalmente pellicole larghe 65 mm (negative), 70 mm (positive) con 5 perforazioni per fotogramma, 35 mm con 2, 4 e 8 perforazioni, 16 mm con una perforazione. In campo amatoriale l'impiego di pellicole da 8 mm (nelle tre versioni: doppio 8 in bobina, Super 8 e Single 8 in caricatore) è stato abbandonato in favore della ripresa televisiva su nastro magnetico. In campo fotografico si usano pellicole piane di formato dal 6,5×9 al 18×24 cm, pellicola in rullo (tipo 120) larga 65 mm per 8 pose 6×9 o 12 6×6 cm, pellicola in rullo (tipo 127) larga 45 mm per 12 pose 4×6,5 cm, pellicola in caricatori (tipo 135) larga 35 mm e perforazione cinematografica per 24 o 36 pose 24×36 mm o un numero doppio formato 18×24 mm. In campo amatoriale, oltre alla pellicola in caricatori tipo 135, è ancora in uso il formato 126 in caricatori speciali per 12 o 20 pose 28×28 mm, così come il formato 110, da 12 o 20 pose 13×17 mm.. La stragrande maggioranza dei fotografi (più del 90%) utilizza negative a colori: le pellicole invertibili a colori (per diapositive) e quelle in bianco/nero vengono impiegate solo dai dilettanti evoluti e dai professionisti, che utilizzano anche la quasi totalità delle pellicole di medio formato (rulli 120 e 220, per foto formato 4,5×6, 6×6, 6×7 e 6×8 cm). I formati maggiori, sotto forma di pellicole piana, sono impiegati solo su macchine professionali di grande formato.

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