Lessico

sf. [sec. XIV; latino paupertas -ātis].

1) L'essere povero, per lo più dal punto di vista economico e sociale: trovarsi, cadere in povertà; si vergogna della sua povertà; una dignitosa povertà.

2) Per estensione, scarsezza, insufficienza: povertà di risorse; povertà di materie prime. Fig., limitatezza, meschinità: povertà di sentimenti.

Economia: la povertà tra capitalismo e statalismo

Nel corso degli ultimi decenni del sec. XX si è assistito a un aumento del divario in termini di prodotto per abitante tra i Paesi più poveri e le nazioni industrializzate e ricche. Ciò è il risultato del rallentamento della crescita economica nei Paesi sottosviluppati e in via di sviluppo. Alcuni economisti sostengono che questa situazione sia da considerarsi una conseguenza inevitabile del sistema economico di tipo capitalistico, il quale aumenta il divario fra ricchezza e povertà, distruggendo i sistemi produttivi più deboli e meno competitivi, stimolando nuovi bisogni nelle popolazioni abbienti senza soddisfare appieno le esigenze elementari delle fasce povere. Secondo tale visione, il sistema capitalistico, sotto la spinta delle forze concorrenziali, porta a modellare l'organizzazione della produzione in maniera spesso incontrollata e talora contraddittoria: grande differenza nei salari, mancanza di equilibrio fra stabilità e precarietà del posto di lavoro, continuo conflitto fra integrazione ed esclusione, affermarsi del lavoro nero. Se, inoltre, l'economia di tipo capitalistico rivoluziona le tecniche di produzione, modifica i prodotti, trasforma le mode e i gusti, crea nuove attività e nuove prosperità e può dar luogo all'atonia o all'agonia di singole imprese, di interi settori merceologici, di regioni e talvolta di interi Paesi, con drammatiche conseguenze sociali in termini di fabbriche chiuse, licenziamenti, disoccupazione. Il capitalismo, in tal senso, genera, al tempo stesso e in maniera inscindibile, prosperità e povertà. Per contrasto, l'economia pianificata di tipo statalista, che si impernia sull'obiettivo di benessere collettivo che tenta di perseguire, ha manifestato nelle esperienze storiche del sec. XX come fosse difficile combattere la povertà, soprattutto a causa di quattro diversi fattori che caratterizzano tale impostazione economica: la scarsa efficienza produttiva, le tradizioni storiche e culturali di disuguaglianza, i processi sperequativi legati al sistema vigente e la compresenza in un mercato globale di economie capitalistiche molto più competitive. In Occidente, nel corso dei sec. XIX e XX, il capitalismo è stato portatore di un'eccezionale dinamica di modernizzazione e di industrializzazione. Nella ex Unione Sovietica e in Cina lo statalismo ha dovuto fare i conti, soprattutto nel sec. XX, con l'incalzare del mercato liberista occidentale. Ed è nella scelta fondamentale fra capitalismo o statalismo, o nell'adozione di una combinazione tra i due sistemi, che i Paesi del Terzo Mondo giocano le loro possibilità di sviluppo economico. La modernizzazione e l'industrializzazione hanno spinto verso il ridimensionamento delle strutture agricole e artigianali tradizionali, con le conseguenti, diverse forme di sradicamento, povertà e indigenza. Questo processo deve essere inoltre inserito in un contesto globale in cui prevalgono le spinte all'integrazione delle economie e delle società nazionali, grazie al diffondersi della tecnologia dell'informazione, allo sviluppo dei trasporti, ai circuiti mercantili e finanziari. In questa profonda e complessa mutazione su scala mondiale, innumerevoli e sempre più vasti sono i luoghi in cui si formano e si sviluppano sacche di povertà. Ma la povertà contemporanea, al di là del sistema economico prevalente, ha un'origine profonda, insita nella capacità quasi illimitata della nostra società di creare sempre nuovi bisogni. I poveri del sec. XXI non sono infatti soltanto coloro che mancano di pane o di un tetto, ma anche coloro che, presenti anche nei Paesi più sviluppati, non dispongono di mezzi finanziari sufficienti a vivere all'interno del tessuto sociale. La lotta alla povertà esige dunque l'adozione di un'ampia gamma di azioni coordinatamente volte a raggiungere molteplici obiettivi: tutelare l'ambiente; far regredire le condizioni di estrema indigenza, soprattutto nel Terzo Mondo, aiutando i Paesi più poveri tra i poveri a reinventare sistemi alimentari e sanitari meno costosi e con minori conseguenze in termini di effetti distruttivi sull'ambiente; ridurre il divario eccessivo tra Paesi ricchi e poveri; salvaguardare, rispettare e valorizzare le produzioni dei Paesi in via di sviluppo, rendendo disponibili a tali popolazioni la cultura e il know-how necessario per disporre di tecniche di produzione moderne e sensibili alle istanze ambientali nell'ottica di uno sviluppo sostenibile.

Sociologia

Le scienze sociali considerano la povertà come una condizione economica in cui è difficile soddisfare bisogni percepiti come primari da una determinata società. In questo senso, il concetto di povertà non abbraccia più la pura sfera dei bisogni materiali essenziali – relativa al fabbisogno alimentare, abitativo, sanitario e ad altre necessità proprie della condizione civile (abbigliamento, cura della persona) –, ma si estende anche alla qualità e quantità del tempo libero, alle sue possibilità di impiego gratificante, all'accesso all'istruzione e alla cultura. La povertà si configura perciò in gran parte come una condizione relativa agli standard di decoro, accettabilità sociale e diffusione del benessere in una determinata comunità. Possiamo addirittura parlare di una condizione di deprivazione relativa, che denota non già una drammatica incapacità di soddisfare i bisogni essenziali della condizione civile, bensì una consistente distanza dai livelli medi, che può essere misurata sul piano empirico (per esempio considerando povera la famiglia che disponga di un reddito annuale inferiore alla metà di quello medio nazionale). Ovviamente, la povertà assume rilevanza sociologica e politica quando viene a interessare estesi strati sociali o aree territoriali di una determinata comunità nazionale. L'esistenza di diffuse sperequazioni nella ripartizione della ricchezza – evidenziata statisticamente dalla curva della distribuzione – rappresenta infatti un importante indicatore di malessere sociale. Una ricerca condotta nel 1991 da W. Wilson e R. Lawson per conto del Centro di Studi economici e politici di Washington ha dimostrato come, nel corso degli anni Ottanta, la povertà sia aumentata nei Paesi industrializzati, ma particolarmente negli Stati Uniti. A fronte di un'espansione del benessere nei ceti sociali più fortunati, ben il 18,1% delle famiglie statunitensi disponeva di un reddito inferiore pari alla metà di quello medio nazionale, contro il 13,9% in Canada, il 12,5% in Gran Bretagna, il 9,9% in Francia e il 6,8% in Germania. La riduzione dei posti di lavoro nell'industria, spesso causata dall'innovazione tecnologica, la crescita del costo della vita determinata dalla struttura dei consumi delle famiglie più abbienti e principalmente la diminuita incidenza dell'intervento pubblico (crisi del welfare state) sono alla base di questo fenomeno, che ha segnalato un'espansione consistente della povertà e, quindi, delle diseguaglianze sociali nei Paesi più ricchi. Per quanto riguarda l'Italia, G. Sarpellon, nel suo Secondo rapporto sulla povertà in Italia (1991), ha stimato che, applicando gli stessi criteri di indagine, i poveri siano cresciuti da poco più di 7 milioni a quasi 9 milioni nel periodo 1983-88. In questo studio si è sottolineato inoltre come la povertà sia un fenomeno che percorre trasversalmente l'intera società, anche se anziani, pensionati, disoccupati e famiglie monoreddito sono ovviamente più esposti al rischio della marginalità socio-economica. Alla fine degli anni Ottanta, nel Mezzogiorno ben il 26% della popolazione viveva con meno di metà del reddito medio nazionale, contro il 9% del Centro-Nord. La maggiore crescita della povertà si registrava nelle famiglie composte da tre o quattro membri, contro una tendenza consolidata da alcuni decenni alla concentrazione del malessere nelle famiglie estese o, viceversa, nei nuclei composti da una o due persone (quasi sempre, anziani soli). In definitiva, l'analisi del caso italiano – che è parte di un universo caratterizzato dalla presenza di estese (e addirittura crescenti) sacche di povertà, ma in assenza di quella che può più propriamente definirsi miseria (come nel Terzo Mondo, dove il problema è spesso ancora quello di soddisfare alcuni elementari bisogni primari) – ha confermato che il fenomeno ha origini complesse e sviluppi non predeterminati. In realtà, si tratta di un dato che si presta a molteplici letture e che andrebbe scomposto per comprendere meglio alcuni mutamenti su scala mondiale. Alcuni contesti nazionali tradizionalmente poverissimi (come in America Latina) hanno conosciuto, per esempio, un certo incremento della ricchezza. Esso risulta però dovuto allo sviluppo di attività illegali e, quindi, alla soddisfazione di una domanda indotta dai Paesi ricchi e socialmente devastante, come nel caso della droga o del contrabbando. Di qui l'esigenza di una visione globale del problema, di una più stretta cooperazione internazionale e di un costante monitoraggio delle sue trasformazioni.

Religione

Voto di povertà, scelta volontaria dello stato di povertà confermata dal voto a Dio di conservarsi in tale stato per tutta la vita come mezzo alla propria perfezione spirituale. Il voto di povertà è proprio della vita religiosa e comporta l'obbligo dei religiosi che lo hanno emesso a non avere niente di proprio e a non usare nulla come proprio. Scopo del voto è di acquisire attraverso la sua osservanza la virtù della povertà, che assieme alle altre virtù è via alla perfezione spirituale e al raggiungimento della vita eterna. I voti di povertà possono essere solenni: questi fanno perdere a chi li emette in perpetuo ogni diritto di proprietà e ogni altro diritto reale sulle cose temporali che prima dell'emissione del voto erano in suo possesso; il neoprofesso perde anche ogni capacità ad acquistare nuovi beni temporali per sé, riguardo sia al dominio sia al loro usufrutto. Chi invece emette il voto di povertà semplice non perde la proprietà dei beni che aveva prima della professione dei voti e neppure la capacità di acquistarne altri, ma ne fa dipendere il possesso e l'usufrutto dalla volontà del suo superiore.

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