presocràtico

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Lessico

agg. (pl. m. -ci) [sec. XX; da pre-+Socrate]. Relativo alle dottrine dei filosofi greci anteriori a Socrate. Anche sm. pl., i filosofi che svolsero la loro ricerca prima di Socrate.

Filosofia

I presocratici affrontarono inizialmente il problema cosmologico: la natura appare ai presocratici come un tutto vivente, che trae la sua origine da un principio primo; questa natura però presenta due facce autentiche, perché è al contempo essere e divenire, unità e molteplicità, realtà indivisibile e frazionata in atomi, sostanza e legge, sensibilità e ragione. Fra gli ioniciTalete, pur rimanendo legato ancora alle cosmogonie religiose, fissa un elemento unificatore nell'acqua; Anassimandro nello sforzo di rendere tale elemento più onnicomprensivo, lo identifica nell'ápeiron, l'indeterminato, e avanza una prima ipotesi evoluzionistica (i singoli individui si evolvono dall'ápeiron); Anassimene ricerca il principio nell'aria, non solo nel suo significato meteorologico, ma anche in quello di spirito vitale, anima. A questi primi tentativi di raggiungere un principio unitario per via di ragionamento e di spiegare con esso l'esistenza di tutti gli esseri, Pitagora oppone nella sua teoria dei numeri il dualismo (numeri pari-dispari, generatori di altre antitesi: limitato-illimitato; uno-molti; maschio-femmina; luce-tenebra, ecc.). Questa “legge dei numeri” costituisce per Pitagora la base della formazione delle cose e spiega l'esistenza del mondo fisico e morale. Scienza e mistica si legano nel suo insegnamento in stretto nodo e l'ascesa verso la perfezione morale significa una nuova conquista del sapere. Ionici e pitagorici si erano mossi su linee divergenti (spiccato naturalismo nei primi, interpretazione numerica della realtà nei secondi). Spetterà a Senofane di Colofone evidenziare le verità contenute nelle due posizioni, liberandole da ambiguità e soprattutto sottolineando i limiti della conoscenza umana. Parmenide mosse la sua critica sia alla filosofia del molteplice sia a quella del divenire segnando la via per giungere alla realtà, all'essere: eliminare dal pensiero ogni irrealtà, il non-essere, per raggiungere l'assoluta esistenza dell'essere, che solo permette di pensare e di raggiungere il vero. Difesero le posizioni di Parmenide i suoi due scolari, Zenone e Melisso, il primo approfondendo la problematica del linguaggio, il secondo sviluppando l'argomento dell'essere nella sua assolutezza sostanziale. Eraclito invece propose tra essere e non-essere uno stadio intermedio, il divenire, asserendo, in opposizione a Parmenide, che l'unità dell'essere ha origine proprio dalla sua molteplicità: l'unità è nel divenire cioè nella fusione dei due opposti, essere e non-essere. Con il sec. V a. C. la ricerca filosofica si sposta dai due centri iniziali delle isole ioniche e della Magna Grecia ad Atene, mantenendo però il legame con la tematica precedente: gli eleati avevano definito assurde e impensabili sia la teoria del molteplice degli ionici sia quella dei numeri di Pitagora. Alla ricerca filosofica rimanevano dunque due strade: ammettere che tra il vero degli eleati e l'esperienza concreta (sempre molteplice e temporale) non esiste comunicazione alcuna, oppure tentare una conciliazione tra verità, realtà ed esperienza. Empedocle, Filolao e Anassagora si misero decisamente su questa strada: Empedocle accettò in una certa misura l'eleatismo, ma ne prospettò una soluzione diversa: la diversità della realtà si ricompone in unità nei cicli, che la strutturano. Radici del mondo sono l'acqua, il fuoco, l'etere e la terra o ognuna di esse è una, infinita e immutabile nello spazio e nel tempo. In ogni singolo ente si riscontra una mescolanza di queste radici in porzioni diverse, ma sempre presenti con tutte le loro proprietà. Esse quindi si mantengono “une” pur entrando nella composizione del molteplice. Filolao sintetizzò i risultati del pensiero filosofico del sec. V in una concezione che può definirsi “preplatonica”: volendo salvare i concetti di uno e molteplice, egli cercò la soluzione nel “numero” come natura delle cose; allacciandosi alle “radici” empedoclee, egli ipostatizza l'uno nel fuoco, da cui originerebbe tutto il cosmo. Affine a questa vita cosmogonica è quella organica, che deve la sua ragion d'essere al calore originario. Anassagora invece rinuncia a una visione onnicomprensiva del cosmo, si svincola dalla ricerca del “principio” e valorizza la ricerca empirica: non le “leggi del ciclo” ma le relazioni complesse che connettono fra loro le cose ci portano a un'autentica comprensione del cosmo. Per arrivare a essa bisogna percorrere tutto il cammino lungo e difficile dell'analisi scientifica. Con Anassagora la ricerca filosofica sulla natura giunge al suo compimento e si inaugura lo studio dell'uomo, cui si sono dedicati i sofisti e Socrate. In epoca moderna diversi pensatori hanno cercato una chiave interpretativa a tutto il vasto movimento dei presocratici. Fra essi emergono Nietzsche e Wilamovitz-Möllendorf: il primo si riallaccia al mondo mitico di Omero e di Esiodo e alle dottrine misteriosofiche per attribuire al principio indagato dai presocratici caratteri divini e attribuisce alle sostanze materiali identificate dai presocratici come origine prima delle cose il valore di simboli del divino (interpretazione mistico-religiosa). Non si capisce però come in un'epoca di crisi dei valori mistici e in cui il ricorso a dottrine misteriosofiche sta piuttosto a significare la confusa opacità in cui ormai vanno perdendosi i valori religiosi, questi motivi abbiano potuto far leva sulla ricerca dei presocratici. Più semplice e vera sembra la ricerca diretta di una fúsis (natura), che si rivela come un terreno solido e sicuro a cui ancorarsi. L'interpretazione di Wilamovitz-Möllendorf (neoumanistica) vede invece nella ricerca dei presocratici un tentativo di razionalizzare i miti e la concezione religiosa. Sarebbe però tutto da provare dove la “natura” dei presocratici presenti caratteri desunti dai miti e dalle nebulosità dei concetti religiosi.

Bibliografia

G. Preti, I presocratici, Milano, 1942; K. Freeman, The Presocratic Philoso phers, Oxford, 1956; E. Paci, Storia del pensiero presocratico, Torino, 1957; Q. Cataudella, I presocratici, frammenti e testimonianze, Torino, 1958; G. S. Kirk, J. E. Roven, The Presocratic Philosophers, Cambridge, 1964; A. Capizzi, G. Casertano, Forme del sapere nei presocratici, Roma, 1987.

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