psittacòsi

ssf. [sec. XIX; dal greco psittakós, pappagallo]. Malattia infettiva, molto contagiosa, provocata dalla Chlamydia psittaci, che colpisce particolarmente i pappagalli. L'agente patogeno, eliminato con il muco nasale e con le feci, infetta le piume, le gabbie e il terreno; poi, penetrando per le vie digerenti e respiratorie, può attaccare vari volatili e anche l'uomo. I sintomi compaiono dopo un periodo di incubazione latente (da una settimana a più mesi); nella forma acuta sono: starnuti, respirazione affannosa, scolo oculo-nasale, diarrea, forte dimagramento e morte entro pochi giorni; la guarigione di questa forma è molto lenta. Nella forma cronica si osservano: tosse, mancanza di appetito e di forze. Nell'uomo, dopo incubazione di 10-20 giorni, insorgono improvvisamente cefalea, mialgie, tosse, brividi, febbre che si mantiene elevata per 8-10 giorni e poi cade per lisi dopo 2-3 settimane. Il quadro obiettivo è quello di una grave infezione con broncopolmonite a focolai disseminati. La prognosi è grave; la profilassi si attua evitando i contatti con uccelli infetti e isolando gli ammalati. La terapia si effettua con tetraciclina per 7-10 giorni.

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