rabàrbaro

sm. [sec. XIV; dal latino tardo reubarbărum, dal greco rhêon, adattamento del persiano rēvand, nome della pianta+bárbaros, straniero, orientale, con sovrapposizione di Ra, nome dell'odierno fiume Volga]. Nome comune di alcune piante del genere Rheum (famiglia Poligonacee), originarie di varie regioni dell'Estremo Oriente. In numerosi Paesi dell'Europa settentrionale si usano i piccioli fogliari di Rheum rhaponticum, della Siberia, o quelli degli ibridi ottenuti incrociando quest'ultimo con Rheum palmatum, della Siberia o della Mongolia, per preparare confetture o torte di sapore acido. Il rabarbaro usato in farmacia è costituito dai rizomi del Rheum officinale, della Cina e del Tibet, che contengono alcuni glucosidi e vengono usati da tempo immemorabile per le proprietà digestive, toniche e lassative. Con il nome di rabarbaro alpino si indica comunemente un'altra poligonacea, Rumex alpinus, erbacea perenne propria delle regioni montane dell'Eurasia, dove cresce in particolare nei luoghi molto umidi e concimati. È alta fino a 1 m, con foglie basali grandi, ellissoidali, dal picciolo lungo e scanalato; i fiori, piccoli, pedicellati, biancastri, sono riuniti in densi racemi, che a loro volta formano una grossa pannocchia. § Alcune varietà di rabarbaro vengono usate a scopo alimentare: con i lunghi e carnosi piccioli delle foglie, cotti a lungo con zucchero, si prepara una marmellata dal gusto acidulo assai caratteristico con la quale si insaporisce una crostata molto popolare in Inghilterra.

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