Lessico

(meno comune rettòrica), sf. [sec. XIV; dal greco rhētorikḗ (téchnē), (arte) del retore, tramite il latino rhetoríca].

1) Il complesso delle regole concernenti l'arte della parola, del discorso scritto o parlato.

2) Per estensione, spregiativo, nello scrivere o nel parlare, uso di forme enfatiche e artificiose spesso prive di contenuti significativi. Per analogia, riferito anche all'arte figurativa, ad atteggiamenti di vita, ecc.: la retorica del costume secentesco.

Cenni storici: l'antichità

Gli antichi maestri siciliani della retorica Corace e Tisia (sec. V a. C.) ne sostenevano la funzione conoscitiva, considerando che suo compito fosse l'individuazione degli strumenti di dimostrazione della verosimiglianza delle tesi proposte. I loro contemporanei pitagorici erano invece fautori di una retorica psicagogica: cioè fondata sull'allettamento emotivo della parola e sull'adattamento degli argomenti alla specificità dei diversi uditori. La retorica sofistica, svincolata da ogni preoccupazione etica o conoscitiva, voleva essere pura tecnica della persuasione: il retore perfetto, secondo Protagora, è in grado di “rendere più potente la tesi meno valida” e, in generale, di usare vittoriosamente “intorno a ogni questione due discorsi reciprocamente opposti”. Gorgia è il primo teorico della complementarità fra retorica e poetica: la poesia come l'orazione riescono ad “ammaliare” o “sedurre” l'animo con il loro magico inganno; le finalità sono diverse, ma la forza espressiva è necessaria a entrambe e la retorica ne appresta gli strumenti; perciò Gorgia istituzionalizzò la retorica fornendone un primo sistema di “figure” o modelli espressivi brillanti ed efficaci. Il severo razionalismo platonico esaltò la dialettica contro la retorica e combatté aspramente tutti e tre gli aspetti della retorica sofistica: la spregiudicata abilità argomentativa come uso truffaldino di paralogismi, l'attenzione all'opinione dell'uditorio come conformismo opportunistico e rinuncia alla ricerca imparziale del vero, lo studio della cattivante espressività come “adulazione” della passionalità che distrugge la rettitudine del giudizio. Aristotele, pur criticando la concezione sofistica della retorica, a differenza di Platone dava tuttavia alla retorica una funzione sociale positiva e una posizione intermedia fra l'apoditticità del discorso scientifico e l'opinione soggettiva e incerta della chiacchiera: in qualunque dei suoi tre generi, di retorica deliberativa o politica, di retorica giudiziaria e di retorica epidittica o celebrativa, il buon oratore non cerca di capovolgere la verità, ma di sviluppare la “maggiore forza naturale del vero e del giusto” mettendo in evidenza le circostanze e gli argomenti più persuasivi. La retorica aristotelica, pur senza trascurare la funzione psicagogica del discorso e la teoria delle figure espressive, fa perno infatti su una dottrina dell'argomentazione probabile secondo la quale, anche quando manca la certezza propria del giudizio scientifico, si possono raggiungere motivazioni o conclusioni ragionevoli, mediante deduzioni sillogistiche (entimemi) o induzioni analogiche (esempi) che partano da premesse attestate o riconosciute dall'opinione dei più (prove e luoghi comuni) oppure da premesse giustificate da indizi o da ipotesi verosimili. I tre aspetti presenti nella retorica antica – dottrina dell'argomentazione, abilità di cattivarsi gli uditori, tecnica della composizione e dell'espressione – sono relativamente indipendenti fra loro e vengono studiati separatamente. Così, l'epistemologia e la metodologia delle scienze si occupano delle forme dell'argomentazione dimostrativa e delle procedure di supposizione e di scoperta che abbracciano un'area vastissima che concerne ogni discorso a pretesa conoscitiva. Dalle scienze della natura alle scienze dell'uomo e alle inferenze giudiziarie o politiche, dappertutto vigono gli stessi moduli di ragionamento valido e gli stessi criteri di verità, anche se può variare il grado di certezza della conclusione secondo la ricchezza o scarsità dei dati empirici e la completezza o incompletezza dei fattori noti. La distinzione aristotelica fra argomentazione scientifica e argomentazione retorica, pur sopravvalutando dogmaticamente l'assoluta certezza del giudizio scientifico, non si estende ai processi deduttivi e induttivi che restano i medesimi.

Cenni storici: l'epoca contemporanea

Nel 1958 Chaīm Perelman ha tentato di contrapporre alla “teoria della dimostrazione” una “teoria dell'argomentazione” che sarebbe propria della retorica e si applicherebbe ai ragionamenti in sé non conclusivi delle scienze umane e della filosofia. D'altro canto, l'abilità di cattivarsi gli uditori presentando le scelte proposte come rispondenti ai valori o alle esigenze palesi o segrete del pubblico è caratteristica, oltre che dell'oratore, del pubblicitario e del propagandista ed è oggetto di studi psicologici e sociologici. Perciò, il campo proprio della retorica è restato quello della composizione e dell'espressione, che comprende non solo il discorso persuasivo, ma anche ogni produzione letteraria e poetica. La retorica presenta dunque oggi un sistema tradizionale e consolidato di principi compositivi e dispositivi e di artifici espressivi o figure che negli ultimi secoli ha patito spesso di cattiva reputazione, quasi frenasse la libertà dell'autore e favorisse uno stile stereotipato, pieno di ornamenti vuoti e di frasi fatte. La critica contemporanea ha rivalutato la retorica, sottolineando come essa fornisca, più che un repertorio di espressioni date, un insieme di schemi generativi che possono essere sfruttati nel modo più ricco e inaspettato: una guida e un ausilio alla fantasia anziché un suo impoverimento. L'elaborazione in un testo compiuto della materia da trattare comprende tre fasi strettamente collegate fra loro: inventio, dispositio, elocutio (secondo la suddivisione proposta da Crisippo e ripresa da Cornificio autore della Rhetorica ad Herennium, nel sec. I a. C.). L'inventio è la ricerca e il ritrovamento delle idee, dei sentimenti e delle immagini adatti al tema da svolgere. La dispositio è il lavoro di scelta e di ordinamento dei contenuti offerti dall'inventio. Già nella dispositio possono occorrere figure o mutamenti artistici dell'“ordine naturale”, come per esempio nella narrazione la successione degli avvenimenti in un ordine diverso da quello dello svolgimento cronologico dei fatti. Ma è nell'elocutio o espressione verbale che più intervengono le figure, con il fine di produrre effetti di sorpresa, vivacità ed efficacia rappresentativa, gradevolezza, o in generale “straniamento”, cioè improvviso aumento dell'attenzione intellettuale ed emotiva dovuto a un'esperienza inconsueta. Le tre figure più frequenti e più ricche di possibilità e varietà di applicazioni rivelatrici sono la metafora, la sineddoche e la metonimia. Secondo le definizioni tradizionali, la metafora consiste nella sostituzione della parola propria con un altro termine il cui significato è in rapporto di somiglianza con il significato della parola sostituita (per esempio, di “guerriero” con “leone”); la sineddoche è uno spostamento della denominazione al di là o al di qua del contenuto concettuale del termine proprio, che si determina, per esempio, quando si impiega il genere per la specie o la specie per il genere; la metonimia è la sostituzione della parola propria con un termine che designa un'entità in rapporto di contiguità o connessione con l'entità designata dalla parola sostituita, per esempio dell'espressione della causa con l'espressione dell'effetto, o viceversa. Oltre a queste, le figure principali sono l'allegoria, l'ironia, l'iperbole, la litote (o attenuazione, il contrario dell'iperbole), l'antonomasia, l'apostrofe, la ripetizione, la gradazione (ascendente o discendente di concetti), la similitudine, l'antitesi, la prosopopea (o animazione di cose inanimate o astratte), la reticenza, la perifrasi, la personalizzazione, la preterizione.

Bibliografia

H. Morier, Dictionnaire de poétique et de rhétorique, Parigi, 1961; A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Milano, 1961; G. Kennedy, The Art of Persuasion in Greece, Princeton, 1963; I. A. Richards, La filosofia della retorica, Milano, 1967; H. Lausberg, Elementi di retorica, Bologna, 1969; R. Barthes, La retorica antica, Milano, 1973; T. Albaladejo, Retorica, Pesaro, 1991.

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