Lessico

agg. [sec. XVI; dal latino tardo rurālis, da rus ruris, campagna]. Proprio della campagna, relativo alla campagna: ambiente rurale; zone rurali; popolazione rurale, contadina; scuole rurali, quelle dei centri i cui abitanti siano in prevalenza agricoltori. Come sm., abitante, lavoratore della campagna; contadino.

Edilizia rurale

L'edilizia rurale presenta caratteristiche differenziate che dipendono essenzialmente dal diverso rapporto economico-produttivo con l'ambiente naturale, con gli insediamenti produttivi analoghi, e con quelli manifatturieri e di scambio (le attuali città); in tal senso il divenire storico ne condiziona direttamente i contenuti e le forme. A titolo di orientamento generale la diversificazione tradizionale dei caratteri delle abitazioni agricole e dei corrispondenti sistemi di insediamento può farsi corrispondere a tre principali fasce altimetriche: quella montana, legata all'economia del bosco e del pascolo; quella collinare, connessa a coltivazioni tendenzialmente specializzate (per esempio la vite o l'ulivo); quella di pianura, connessa all'uso tendenzialmente estensivo del suolo con colture miste e/o allevamento. Tipici del primo caso sono i ricoveri stagionali, spesso fortemente specializzati (per esempio le baite alpine), con basamento murario destinato a ricovero e abitazione e strutture sovrastanti lignee, destinate a fienili. Tipici del secondo caso sono gli insediamenti arroccati su crinale basso o in mezzacosta, con edifici a basamento specializzato a stalla e/o cantina e abitazione al piano o ai piani superiori, disposti lungo percorsi direttamente e capillarmente connessi con quelli che adducono ai terrazzamenti (o fasce) coltivati. Esempi tipici del terzo caso sono le “case-corti” o “cascine”, singole o aggregate, sempre connesse a una maglia pianificata (di origine centuriale) dell'appoderamento, entrambe organismi abitativo-produttivi costituiti da corpi di fabbrica specializzati (abitazione+stalla+fienile+cantina, ecc.) convergenti su uno spazio scoperto centrale. Le trasformazioni territoriali (in senso globale) generate dalla cosiddetta “rivoluzione industriale”, che hanno privilegiato lo sviluppo degli insediamenti produttivi a carattere estrattivo e manifatturiero e della relativa rete di trasporto e di servizio di commercializzazione, hanno provocato, corrispettivamente, la crisi e addirittura il degrado del mondo contadino, accentuando drasticamente quella contrapposizione città-campagna che era progressivamente in atto fino dal Medioevo. In Italia, in particolare, questo processo, non contenuto, ma anzi aggravato da una politica agraria occasionale e frammentaria nelle sue localizzazioni (basti citare l'evidente fallimento complessivo della Cassa per il Mezzogiorno), ha assunto dimensioni macroscopiche rispetto agli altri Paesi europei industrializzati. Il potenziale riequilibrio degli scompensi territoriali viene prospettato oggi in termini di razionalizzazione, in senso industriale, dei modi di produzione agricola e, corrispondentemente, di sempre maggiore assimilazione dei modi di vita, rurali a quelli urbani. I modelli di ristrutturazione in atto sono quello dell'unità produttiva di grandi o medie dimensioni, ottenuta per coordinamento, tramite forme cooperative, di unità produttive piccole, e quello dell'unità produttiva unica di grandi dimensioni. Il primo, tipicamente espresso dalle aree a economia prevalentemente agricola, tende a evolvere, senza scardinarla, l'organizzazione tradizionale, attraverso la disponibilità collettiva di macchine e altri sussidi per la produzione e di centri per la raccolta, la selezione e la confezione del prodotto. Il secondo tende ad accentuare la meccanizzazione della produzione e il coordinamento tra i vari cicli produttivi (per esempio colture foraggere, allevamento, lavorazione del latte e/o delle carni) a spese di una minor partecipazione del personale (in genere salariato). In entrambi i casi si tende comunque, pur con diverse accentuazioni e nei limiti intrinseci alla produzione agricola locale, alla continuità del lavoro, alla sua periodizzazione uniforme, alla mobilità della manodopera.

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