Generalità

sm. [dall'arabo sa’hil, propr., pianura costiera, fascia litorale]. Fascia che si estende in Africa dall'Atlantico al Mar Rosso corrispondente al margine meridionale del Sahara; è compresa tra le isoiete dei 250 mm a N e dei 500 mm a S. In questa regione arida e semidesertica, con vegetazione steppica a base di graminacee xerofile e di acacie spinose, rientrano territori di Senegal, Mauritania, Mali, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan ed Etiopia. Per estensione, il termine sahel è passato a indicare anche il vento del deserto che spira nel S del Marocco. La fascia del sahel ha assunto crescente caratterizzazione regionale a seguito dell'emergere, dagli anni Settanta del sec. XX, di un grave problema ambientale, configuratosi come vera e propria calamità naturale: la siccità. Questa, invero, sulla base della possibile ricostruzione di una serie storica di dati climatici, e in particolare pluviometrici, ha manifestato dalla fine del sec. XIX, un andamento ciclico, con piovosità che, da 700-800 mm annui, si è ridotta a 250 nel periodo 1900-14, per risalire a 600 nel periodo 1915-35; a una successiva fase di siccità solo relativa (460 mm, in media, nel periodo 1936-46) hanno fatto ancora seguito una fase decisamente umida (925 mm, in media, nel periodo 1947-69) e quella di siccità accentuata (soli 225 mm, in media, nel periodo 1970-88) che, coincidendo per la prima volta con una struttura politica non più coloniale – e, dunque, non “assistita” – e con i più elevati tassi di crescita della popolazione, ha posto la regione al centro dell'attenzione degli organismi internazionali per la cooperazione e lo sviluppo.

Geografia umana

Considerando la fascia saheliana compresa fra le isoiete di 100-200 mm annui (sahel “sahariano”) e di 600-700 mm annui (sahel “sudanese”), si può calcolare una superficie totale di 2,5 milioni di km², su cui insiste una popolazione di circa 20 milioni di ab., con densità media di 8 ab./km², fra le più basse del mondo. Il dato ha, comunque, un valore meramente indicativo, poiché la composizione etnico-culturale e la struttura insediativa si presentano, fra i due estremi del Capo Verde, a W, e del Corno d'Africa, a E, profondamente diversificate. Carattere comune può essere considerato il nomadismo pastorale, impersonato classicamente dai Tuaregh: anch'esso, tuttavia, ha subito radicali trasformazioni, per motivi sia ambientali, legati appunto alle crisi di siccità, sia politici, per la tendenza dei governi a sedentarizzare il più possibile questi gruppi, al fine di poter esercitare su di essi un più stretto controllo. In ogni caso, le direttrici della mobilità umana hanno ridisegnato, nel tempo, l'impianto insediativo del sahel: nella sezione occidentale, alle antiche trame dei regni autoctoni di Gao, Tombouctou, Ouagadougou si sono sostituite quelle commerciali, tra il Mediterraneo e il Sahara, da una parte, e il golfo di Guinea, dall'altra. Le città – e in particolare le due uniche capitali propriamente incluse nella fascia saheliana: Niamey (Niger) e N'djamena (Ciad) – svolgono funzioni amministrative ed economico-sociali, al vertice di una gerarchia comprendente piccoli centri nodali, come luoghi di transito e di approvvigionamento dei mercati locali. Appare evidente la sovrapposizione degli effetti della colonizzazione sulle strutture territoriali originarie: in Senegal, per esempio, il processo di urbanizzazione dei villaggi tribali, a seguito della costruzione della ferrovia, si è tradotto in una struttura insediativa assiale, lungo la valle del fiume omonimo. Non si può tuttavia parlare, nel sahel, dell'esistenza di una rete urbana: gli insediamenti sono puntiformi e prevalentemente costituiti da villaggi, anche se non mancano aree di dispersione, con dimore isolate. La disgregazione dei tradizionali equilibri socio-spaziali, dovuta ai processi sovrimposti a partire dall'epoca coloniale, trova una drammatica espressione nello squilibrio fra crescita demografica (dovuta a tassi di natalità fra i più elevati del mondo) e tenore di vita della popolazione: la mortalità infantile supera ovunque il 120-150‰; la speranza di vita media, pur molto aumentata negli ultimi decenni, sfiora appena i 50 anni; il tasso di analfabetismo va dal 50 al 90%; il P.I.L. pro capite non supera i 300 dollari, pur dovendosi considerare che, in questi Paesi, la parità monetaria ha scarso significato, essendo ancora fortemente integrata dagli scambi in natura; i regimi alimentari sono paurosamente depressi dalla caduta dell'allevamento, che si lega sia alle difficoltà ambientali, sia ai processi di sedentarizzazione. Ne sono derivati, come unico sbocco del sovrappopolamento, massicci flussi di emigrazione, che, riguardando le classi in età lavorativa giovane (20-40 anni), hanno ulteriormente indebolito il quadro socio-economico. A fronte di ciò, gli interventi esterni, promossi dai Paesi europei, nordamericani e asiatici (sia arabi sia dell'Estremo Oriente), si sono rivelati spesso male impostati, non tenendo conto dei fattori naturali e culturali locali e talora aggravandone addirittura gli scompensi.

Panorama economico

I tentativi di modernizzazione delle strutture agrarie, di industrializzazione e di infrastrutturazione sono generalmente falliti. Secondo le stime della FAO, le colture cerealicole offrono rendimenti per ettaro (6 t, addirittura in diminuzione nell'ultimo trentennio) di ben 8-10 volte inferiori a quelle dei Paesi temperati a economia avanzata. L'industria – ove si eccettui il polo di Dakar (Senegal), che beneficia della posizione costiera, e dunque dell'apertura sull'Atlantico centro-settentrionale – è praticamente assente: mancano i fattori di localizzazione, dal mercato alle stesse materie prime, pur dovendosi considerare le “isole” di agricoltura moderna costituite dalle piantagioni di arachidi e cotone, che in effetti sostengono i pochi impianti di trasformazione. Negli ultimi anni del secolo scorso si è tentato di adattare le iniziative di cooperazione al tessuto socio-economico locale: caso emblematico è il progetto di valorizzazione delle risorse idriche nel Gourma, vasta regione situata tra Burkina, Mali e Niger, con circa 30.000 ab., nomadi o seminomadi, e un patrimonio zootecnico di 250.000 capi, in larga prevalenza costituito da ovini e caprini, dopo che la siccità ha drasticamente ridotto il numero di bovini. Un programma di “idraulica pastorale”, sostenuto da capitali kuwaitiani e tecnologie italiane, tende a riportare la disponibilità d'acqua in linea con il fabbisogno dell'area (stimato in oltre 2500 m3 al giorno, contro gli attuali 600) mediante la perforazione di un centinaio di pozzi a estrazione tradizionale piuttosto che meccanica, quest'ultima di forte impatto ambientale e difficile manutenzione. Si tende così, ridistribuendo i punti di abbeveramento, ad ampliare la superficie pascolativa, limitandone la degradazione nelle aree in cui essa si trova oggi concentrata. Ancora più dell'idraulica di villaggio, il programma richiede il coinvolgimento della popolazione, dovendone in buona misura trasformare il modello insediativo e di mobilità: esso è stato preceduto, pertanto, da un'approfondita indagine sociologica, in accordo con le autorità locali. I risultati tecnici sono incoraggianti (il 60% delle trivellazioni ha avuto esito positivo), anche se, per la scarsa permeabilità dei suoli e la pur sempre debole quantità di precipitazioni (dal 1989 il sahel riceve, in media, 630 mm di pioggia all'anno), si ha motivo di temere che l'emungimento delle falde, situate a una profondità di circa 70 m, non possa essere compensato da una ricarica naturale sufficiente: secondo molti esperti, dunque, sarebbe stato preferibile un piano di utilizzazione delle acque nel delta interno del fiume Niger. In ogni caso, il rapporto fra popolazione e territorio, nel sahel, è improntato da un'atavica precarietà e da una concezione “ecologica” di tipo deterministico: l'abitare è inteso come scelta occasionale e temporanea, e la terra, pur costituendo un elemento portante della cultura locale, non è vista come fattore di produzione. Ne consegue il tendenziale rifiuto di qualsiasi forma di innovazione nell'uso del suolo. La perdita di identità del sahel e il collasso economico della regione sono, allora, da mettere in relazione – più che con l'inasprirsi delle condizioni ambientali o con lo stesso incremento demografico – con il venir meno delle funzioni di transito, dovuto al processo di litoralizzazione che sempre più ha coinvolto anche il continente africano. La divaricazione del rapporto fra centri costieri e periferie interne ha relegato dunque il sahel in una posizione di assoluta marginalità, senza che sia emerso, finora, un modello alternativo endogeno capace di affrontare alla base il problema dello squilibrio fra popolazione e risorse, aprendo al sistema saheliano – in sé tanto complesso per struttura politica ed etnica – nuove prospettive di sviluppo.

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