Descrizione generale

s. inglese (da to see, vedere), usato in italiano come sm. In astronomia si indica con seeing tutto l'insieme di fenomeni che contribuisce al deterioramento della qualità delle immagini telescopiche introdotto principalmente dagli strati più bassi e densi dell'atmosfera. La massa gassosa dell'atmosfera è, infatti, generalmente animata da movimenti termici convettivi a direzione verticale, o da scorrimenti laminari attivati dalle differenze barometriche. In ogni caso, i movimenti dell'aria danno facilmente origine a turbolenze, viscosità, frammentazione e ricomposizione di corpi gassosi (cellule) di entità assai diverse; in altri termini, quel quadro dinamico che alterando in modo caotico e imprevedibile l'indice di rifrazione dell'aria, è responsabile del deterioramento delle immagini telescopiche delle sorgenti celesti. Tale deterioramento è funzione della lunghezza d'onda e causa, pertanto, variazioni di colore della sorgente astronomica osservata, oltre che variazioni nello splendore e nella posizione apparente. Nel novero delle molteplici cause che presiedono al seeing astronomico, le ricorrenze diurne e stagionali influiscono senza alcun dubbio sulle condizioni meteorologiche scatenanti. Subito dopo il sorgere del Sole, per esempio, allorché il riscaldamento incipiente del suolo si mantiene ancora in equilibrio con la dissipazione termica, le masse aeree sovrastanti tendono a rimanere stratificate per qualche tempo, prima di venir sconvolte dalla turbolenza convettiva. Elementi ritenuti benefici per la qualità dell'osservazione celeste sono un certo tasso d'umidità dell'aria (perché ciò presuppone aria quieta, o blandamente mossa da venti deboli); alte pressioni (in quanto offrono resistenza alla variabilità del tempo); una leggera caligine perché indice – al pari dell'umidità – di assenza di rimescolamento aereo. Riguardo alle influenze stagionali, mentre le notti estive offrono generalmente maggiori probabilità favorevoli all'osservazione, grazie a una più accentuata stabilità meteorologica, quelle invernali risultano assai sovente turbate a motivo del flusso, in alta quota, di correnti “a getto” che introducono inaccettabili degradazioni nella qualità delle immagini. Va ricordato a questo proposito che il mezzo ottico che presiede alla formazione delle immagini focali negli strumenti astronomici non è rappresentato soltanto dalla lente o dallo specchio, bensì anche dalla colonna d'aria che, a partire dall'obiettivo, si sviluppa lungo l'asse ottico fino ai limiti dell'atmosfera, nonché da quella che si trova frapposta fra l'obiettivo e il piano focale. Nel seeing extratelescopico può, a sua volta, venir distinta la componente relativa alle masse d'aria che si trovano direttamente a contatto dello strumento, o del suo alloggiamento (dome-seeing).

Seeing extratelescopico distante

Il fronte dell'onda luminosa irradiata da una sorgente celeste al momento che investe gli strati esterni dell'atmosfera può venire assimilato a una superficie piana in quanto è da considerarsi proveniente dall'infinito. È ovvio che il fronte continuerebbe a rimanere piano qualora la massa aerea costituisse un mezzo trasparente omogeneo e stabile, dotato di indice di rifrazione inalterabile. Peraltro tali condizioni sono da ritenersi puramente ideali: la colonna d'aria sovrastante il sito d'osservazione è in realtà rappresentabile da un miscuglio variabile e incoerente di “cellule” dotate di temperature, densità e indici di rifrazione differenti e, per di più, poste in movimento reciproco. Ciascuna di tali cellule – fra quelle inquadrate nel campo ottico del telescopio – funziona da singola lente e altera di conseguenza la forma dell'onda luminosa che l'attraversa; cosicché alla pupilla d'ingresso strumentale finirà con il pervenire un fronte d'onda più o meno profondamente distorto e “rugoso”, risultante dalla sovrapposizione di tutti i fronti generati dalle singole cellule aeree. Le differenze di cammino ottico fra i raggi attraversanti celle diverse, in tali condizioni, supereranno ampiamente quel 1/4 di lunghezza d'onda (considerato il limite di tolleranza per la buona messa a fuoco di un'immagine) e le prestazioni ottiche dello strumento ne risulteranno compromesse nei confronti di quelle teoriche. In pratica, l'immagine puntiforme di ogni stella, anziché fornire la classica macchia di diffrazione (cioè il disco di Airy, con la successione concentrica dei vari ordini di anelli di diffrazione) genererà la sovrapposizione caotica e variabile di molteplici macchie di Airy, con il risultato di dar luogo a un dischetto luminoso, di ampiezza e di luminosità anch'esse variabili. Un possibile modo di quantificare la bontà del seeing è misurare il diametro angolare di questo disco di confusione; tale diametro dipenderà dall'escursione delle vergenze secondo cui i frammenti del fronte d'onda originario incidono sull'obiettivo telescopico; la sua larghezza fornisce un indice con il quale stimare la bontà dell'immagine osservata. Un'ampiezza di 1" d'arco è considerata generalmente buon indice di seeing. C'è inoltre da tener conto della rapidità con cui le cellule aeree si rimescolano, oppure transitano entro il campo ottico strumentale. Uno scorrimento lento e ordinato di cellule aeree di dimensioni vaste produrrà, nell'immagine stellare, oscillazioni altrettanto lente (inferiori a 0,1" di periodo) del relativo disco di diffrazione; cosicché l'occhio sarà in grado di seguirlo nel suo tremolio. Nel medesimo tempo, il movimento delle frange di diffrazione dinanzi alla pupilla infonderà, nella visione effettuata a occhio nudo, la nota sensazione di scintillio della sorgente stellare. Viceversa, lo scorrimento veloce e disordinato di cellule minuscole genererà, al fuoco dello strumento, un disco confuso di luce entro il quale l'occhio non sarà più capace di individuare alcuna vera immagine di diffrazione. Acquisizioni di immagine entro 0,01 o 0,001" di tempo migliorano naturalmente la resa strumentale poiché tendono a “congelare” nel disco di confusione solo alcune delle momentanee posizioni assunte dai dischetti di Airy, precisamente quelle che si riferiscono alle “cellule” aeree venutesi a frapporre nel breve tempo dell'esposizione. Il “disco di confusione” prodotto dalle immagini stellari, è stato utilizzato nel quadro di alcuni processi di trattamento elettronico – metodi di convoluzione, analisi di Fourier – eseguiti allo scopo di mettere a confronto, simultaneamente, le caratteristiche di tutti i dischetti di Airy che intervengono a formare l'immagine degradata della sorgente. Fra questi metodi, va ricordata la cosiddetta speckle interferometry, o interferometria di macchie, un criterio di elaborazione che, in questi ultimi tempi è stato applicato con successo al “disco di confusione” prodotto dalle sorgenti stellari. I metodi dell'interferometria di macchie consentono infatti – quando è possibile – di estrarre dati informativi, inaccessibili per vie diverse, inerenti la sorgente stessa, quali la sua eventuale molteplicità, le sue dimensioni, i dettagli fotometrici essenziali della superficie, e così via. La duplicità di Capella, l'aspetto di Betelgeuse, di Arturo, e di altre stelle giganti prossime, rappresentano altrettante conquiste dovute a questo nuovo metodo di indagine. In riferimento agli elementi che interessano più direttamente il seeing astronomico, va tenuto presente che le dimensioni delle cellule di disomogeneità aerea coprono generalmente una gamma vastissima di valori. Tale circostanza si riflette in modo molto stretto sul rendimento che strumenti di apertura diversa sono capaci di offrire. Infatti, mentre quelli la cui pupilla di ingresso sia confrontabile o minore del diametro medio delle cellule aeree, forniscono per lo più immagini non degradate – in quanto piccolo risulta, in quel caso, il numero di disomogeneità inquadrabili nel campo ottico – negli strumenti di grande apertura è invece maggiore il numero di disomogeneità coinvolte nel fascio ottico incidente. Perciò, il potere risolutivo di un grande obiettivo (che cresce in proporzione diretta al suo diametro) rimane in pratica limitato dalle dimensioni medie delle “cellule aeree”; come parametro per la stima del seeing si utilizza, quindi, anche la grandezza F, detta anche parametro di Fried, poiché introdotta dall'astronomo David Fried nel 1966 e definita come il diametro del telescopio più grande il cui potere risolutivo non viene influenzato dall'atmosfera. In valore, tale parametro oscilla tipicamente fra i 3 cm (seeing povero) fino ai 30-40 cm (seeing eccellente), con l'eccezione di pochi siti (Mauna Kea, Cerro Paranal) nei quali si raggiungono talvolta valori di circa 1 metro. In realtà il parametro di Fried, come il seeing stesso, è dipendente dalla lunghezza d'onda (F~λ5/6) alla quale si osserva e quindi questi valori sono suscettibili di variazioni a differenti lunghezze d'onda. Il potere risolutivo effettivo di un telescopio di apertura D>F risulta dunque diminuito secondo il rapporto F/D rispetto al potere risolutivo teorico. Appare evidente da queste considerazioni che uno strumento astronomico di piccole, o di medie dimensioni, è più facilmente in grado di offrire prestazioni uniformi e prossime al limite del proprio rendimento teorico, laddove le condizioni di operabilità al suolo, negli strumenti maggiori, rimangono fortemente penalizzate dalle condizioni meteorologiche locali, riducendosi, a tutti gli effetti, a quelle che sono tipiche degli strumenti minori. Non serve ricordare quanto importante e laboriosa sia, al giorno d'oggi, la ricerca dei siti più adatti ove i raffinatissimi impianti astronomici di maggior impegno riescano a fornire un rendimento adeguato ai colossali costi e alle esigenze della comunità scientifica.

Seeing extratelescopico contiguo

La struttura dei bassi strati atmosferici – quelli a stretto contatto con i siti osservativi – risente in modo precipuo della variabilità di condizioni che si stabiliscono fra il giorno e la notte. Il seeing diurno, in presenza dell'irradiazione solare, appare infatti deteriorato dalle correnti turbolente che, a causa della convezione termica, si alimentano con il riscaldamento del suolo introducendo microalterazioni caotiche nell'indice di rifrazione degli strati aerei circostanti. Da parte sua, anche il riscaldamento delle parti edificate (muraglie, pareti, terrazzamenti, spianate cementizie, la stessa cupola protettiva per gli apparati ottici) contribuisce fortemente al degrado delle qualità ottiche della zona immediatamente contigua al sito di osservazione. I centri per la ricerca solare – con le loro torri, celostati, telescopi orizzontali ecc. – debbono perciò venire costruiti avendo l'avvertenza di ridurre al minimo gli spazi chiusi, di garantire la miglior aerazione mediante strutture “a giorno” che si presentino il più possibile prive di superfici murarie vaste (l'uso del legno e di tralicciature metalliche è preferibile) e in grado di mantenere sollevate le parti ottiche rispetto al suolo. Quest'ultimo, poi, se costituito da ampie spianate di prato verdeggiante, si rivela elemento assai efficace per l'attenuazione delle correnti convettive locali. L'insieme di queste considerazioni costituisce il bagaglio informativo al quale è stata adeguata la messa a punto di alcuni attuali progetti di ricerca solare, quali il JOSO (Joint Organization for Solar Observations) e il LEST (Large Earthbased Solar Telescope). Il seeing notturno è invece condizionato in prevalenza dalle correnti orizzontali, in special modo da quelle che si sviluppano sottovento ai sistemi montuosi, ricche di turbolenze e di vorticosità, e che sono da ritenersi responsabili anche del fenomeno di scintillazione delle immagini stellari. Anche se nei grandi telescopi questo fenomeno risulta pressoché assente, in quanto il cospicuo diametro dei loro obiettivi esercita una sorta di media sulla “rugosità” del fronte dell'onda luminosa incidente, un osservatorio per ricerche stellari, pur se costruito in zona elevata, dovrà evitare, non soltanto la prossimità di grandi centri urbani e industriali, fonti di inquinamento aereo e luminoso, ma anche la presenza di un'orografia che lo sovrasti e che possa divenire sorgente di correnti aeree forzate. Un'ubicazione scelta sulla sommità di una montagna isolata, dominata da correnti aeree laminari, si è rivelata spesso la soluzione migliore nella scelta dei siti per i grandi centri osservativi moderni (citiamo il Mauna Kea, vulcano spento delle Hawaii; la Roque de los Muchachos, nelle Canarie; il Pic du Midi nei Pirenei; il monte Hopkins, il monte Graham in Arizona; il Kitt Peak; le Ande cilene).

Seeing strumentale

Anche gli strumenti d'osservazione (telescopi e loro montature, apparati accessori) sono fonte di turbolenze a danno delle masse aeree che stanno a contatto diretto, all'esterno e all'interno di essi. L'aria rinchiusa nei tubi telescopici, o spettroscopici, può facilmente mettersi in circolazione convettiva allorché le pareti strumentali cui essa viene a contatto vadano soggette a modificare la propria temperatura. Ciò si verifica, per esempio, quando, aperta la cupola protettiva, la sala d'osservazione – insieme agli strumenti contenuti – tende a porsi in equilibrio termico con l'esterno. L'aerazione forzata (mediante ventilatori) si rivela spesso un buon ripiego. Migliore comportamento presentano i riflettori telescopici le cui parti ottiche – specchio obiettivo, specchi secondari – essendo generalmente montate “a giorno” tramite intelaiature termicamente compensate, presentano maggior rapidità (comunque dell'ordine di un'ora) nel porsi in equilibrio con l'aria che le investe. L'accertamento pratico dello stato del seeing strumentale potrà essere effettuato esaminando l'immagine extrafocale di una stella, o di altra sorgente puntiforme. L'eventuale agitazione dell'aria contenuta all'interno, si manifesta con la comparsa di fluttuazioni oscure e luminose dinanzi la macchia di luce. In alcuni casi, è stato adottato il sistema di creare il vuoto entro particolari strumenti a tubo chiuso (telescopi Schmidt, rifrattori con obiettivo a lente, pozzi spettroscopici) e, anche, di riempirli con gas inerte (elio) onde equilibrare la pressione esterna. Nei riguardi di alcuni strumenti progettati per ricerche solari, la cupola protettiva è stata addirittura soppressa (Coupole Tourelle sul Pic du Midi), sostituita direttamente dal sistema ottico del telescopio.

I test di qualità

I criteri fondamentali per stimare la qualità della visione telescopica nelle diverse condizioni di seeing possono ridursi a una scala di quattro gradi, di qualità crescente: A) seeing pessimo, l'immagine focale di una stella è rappresentata da un “disco di confusione” largo 13" d'arco; B) seeing mediocre, è percepibile il “vero” disco di diffrazione (disco di Airy) sotto l'aspetto di un nucleo centrale circondato dall'aureola confusa degli anelli interni; C) seeing buono, il disco centrale appare costantemente visibile insieme a segmenti dei primi anelli di diffrazione; D) seeing eccellente, l'immagine focale della stella si presenta regolarmente composta dal dischetto luminoso centrale circondato dai primi tre anelli di diffrazione. Per un'apertura libera di obiettivo pari a 15-20 cm, il potere risolutivo effettivo, in queste condizioni, si avvicina a quello teorico di 1" d'arco, comunemente ritenuto soddisfacente nelle osservazioni notturne.

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