sirventése o serventése

sm. [sec. XIII; dall'ant. provenzale sirventes, da sirven, servente]. Componimento poetico di origine provenzale, di argomento politico-guerresco o morale-satirico. Incerta è la spiegazione del termine che voleva esprimere forse il carattere feudale di poesie composte in onore del proprio signore o, più genericamente, indicare la “poesia da servi”, in relazione agli argomenti trattati, volgari rispetto alla nobiltà del tema amoroso, cui si addiceva la forma solenne della canzone; o, in senso più strettamente letterario, per significare la sudditanza del testo in rapporto alla musica. Tra gli autori di sirventesi sono famosi i provenzali Bertran de Born, Peire Vidal, Rambaldo de Vaqueiras, sulle orme dei quali scrissero, in provenzale, i trovatori Sordello da Goito e Lanfranco Cigala. In Italia il sirventese appare nell'ultimo scorcio del Duecento, riservato ad argomenti di tipo narrativo, didascalico o satirico, talvolta esteso anche ad argomenti amorosi e presenta una struttura metrica varia di fattura più popolare. Il più antico sirventese in volgare italiano è il Serventese romagnolo, contro Carlo I d'Angiò e i guelfi; molto noto anche il Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei (ca. 1280), imperniato sulle lotte politiche di due grandi famiglie bolognesi. Si sa che Dante compose un sirventese, non pervenutoci, in lode delle sessanta più belle donne di Firenze. Nel sec. XIV il sirventese fu coltivato in modo particolare da Antonio Pucci e da Simone Serdini; nel secolo successivo, con Leonardo Giustiniani, finì per confondersi con lo schema della ballata. Si deve a G. D'Annunzio una riesumazione del sirventese in chiave arcaizzante.

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