Definizione

sf. [sec. XVIII; dal greco thyreoeides, a forma di scudo oblungo]. Ghiandola del peso di 20-30 g, situata nel collo in posizione mediana davanti alla laringe e alla trachea. È costituita da tante piccole formazioni rotondeggianti (follicoli), ciascuna delle quali presenta una cavità interna, piena di una sostanza detta colloide, e un involucro di cellule epiteliali che producono la colloide e secernono l'ormone tiroideo. I follicoli poggiano su uno stroma connettivale insieme con i capillari sanguigni e con isolotti di particolari cellule (cellule parafollicolari) che secernono la tirocalcitonina. La tiroide è uno degli organi più abbondantemente vascolarizzati. Essa secerne due tipi di ormoni: la tirocalcitonina, polipeptide che controlla la calcemia, e le iodotironine, i cui effetti sono rivolti essenzialmente al controllo del metabolismo. Il nucleo delle iodotironine è costituito da un derivato della tironina, amminoacido con un radicale formato da due anelli benzenici, uno dei quali con un ossidrile fenolico, uniti da un atomo di ossigeno:

Le iodotironine possono presentare sui due anelli due atomi di iodio(3,3´-diiodotironina), oppure tre (3,5,3´-triiodotironina) o quattro (3,5,3´,5´-tetraiodotironina o tiroxina). Solo le due ultime (T₃ e T4) sono attive dal punto di vista fisiologico e rappresentano perciò i veri ormoni tiroidei. La biosintesi di queste sostanze avviene nelle cellule follicolari attraverso varie tappe. La prima consiste nella fissazione tiroidea degli ioduri plasmatici; lo iodio degli alimenti, una volta assorbito, circola nel sangue in concentrazioni di ca. 0,3 mcg/100 ml, sotto forma di ioduro. Le cellule della tiroide, e, in minor misura, quelle della mucosa gastrica e delle ghiandole salivari, sono capaci di fissare lo iodio contro gradiente di concentrazione. La tiroide da sola può fissare il 40-60% di un carico di iodio introdotto nell'organismo. Il processo di fissazione (“pompa” dello ioduro) si svolge a livello della membrana cellulare con consumo di ATP. Esso è attivato dall'ormone tireotropo ed è bloccato, per inibizione competitiva, dal tiocianato e dal perclorato. Successivamente lo ioduro passa nello spazio follicolare dove viene ossidato a iodio molecolare:

.reazione è catalizzata da un enzima perossidativo, detto iodinasi. Dopo avere subito un processo di attivazione, lo iodio viene introdotto in molecole di tirosina: per inserimento di uno solo o due atomi di iodio si ottiene rispettivamente la monoiodotirosina (MIT) o la diiodotirosina (DIT). I processi sopra elencati si svolgono nella colloide tiroidea, che è costituita principalmente da una glicoproteina con peso molecolare di 650.000, secreta dalle cellule follicolari. Le tirosine iodate ottenute con l'organificazione dello iodio si condensano tra di loro, con liberazione di una molecola di alanina e produzione di iodotironine. Dalla condensazione di due MIT si ottiene una molecola di diiodotironina, dall'unione di una MIT e di una DIT si ottiene un'unità di triiodotironina, mentre dalla condensazione di due DIT si forma la tiroxina. Queste sostanze in origine non si trovano libere nella colloide, ma sono combinate con la tiroglobulina, una proteina a elevatissimo contenuto in iodio. Piccole quantità del complesso tiroglobulina-tironina vengono però continuamente inglobate nelle cellule follicolari, dove sono presenti enzimi proteolitici (catepsine) che scindono le sostanze proteiche della colloide liberando nel sangue gli ormoni tiroidei. A differenza della T₃ e della T4, gli amminoacidi iodati che sono privi di attività biologica (MIT, DIT) non vengono messi in circolo, ma sono privati degli atomi di iodio a opera di un enzima detto iodotirosina-deiodinasi; in tal modo si attua un notevole risparmio di iodio, mentre gli amminoacidi liberati vengono nuovamente utilizzati per la sintesi di tiroglobulina. Nel sangue la tiroxina si trova, per lo più legata a proteine, nella concentrazione di 9 mcg/100 ml. Solo la quota libera circolante, pari a 0,004 mcg/100 ml, esercita l'azione fisiologica. La T₃ è più attiva della tiroxina, rispetto alla quale è meno legata alle proteine plasmatiche. Lo “iodio legato a proteine” o PBI (Protein Bound Iodine) è un parametro importante nella valutazione della funzionalità tiroidea. In un soggetto normale esso è ca. 6 mcg/100 ml ed è in gran parte contenuto nella tiroxina (4 mcg/100 ml) sotto forma di “iodio estraibile con butanolo” o BEI (Butanol Extractable Iodine). Gli effetti fisiologici degli ormoni tiroidei sono rivolti essenzialmente al controllo del metabolismo. Le iodotironine aumentano il consumo di ossigeno in tutti i tessuti metabolicamente attivi e la produzione di calore. Tale effetto inizia dopo parecchie ore dalla somministrazione, diventa massimo dopo 5-6 giorni per poi scomparire lentamente. La produzione di calore viene aumentata in parte direttamente, in parte attraverso la liberazione di catecolammine, le quali solo in presenza di ormoni tiroidei possono svolgere la loro azione calorigena. Gli ormoni tiroidei attivano la glicogenolisi, aumentano l'assorbimento del glucosio da parte dell'intestino e diminuiscono la produzione di insulina, provocando di conseguenza iperglicemia, con curva da carico di glucosio di tipo diabetico. L'azione sul metabolismo lipidico consiste essenzialmente nella diminuzione della colesterolemia determinata dall'aumento dell'eliminazione biliare del colesterolo. Piccole dosi di ormoni tiroidei, in sinergismo con l'ormone somatotropo, attivano l'anabolismo proteico; per contro dosi elevate lo accelerano negativizzando il bilancio dell'azoto. Nell'ipotiroidismo il bilancio azotato è pertanto positivo; l'eccesso di proteine tende ad accumularsi nei liquidi interstiziali provocando il mixedema. La tiroxina esercita effetti stimolanti sul cuore: aumenta la frequenza cardiaca e la gittata sistolica, come pure l'eccitabilità del miocardio e la velocità di circolo. L'ormone stimola inoltre l'accrescimento scheletrico, la maturazione sessuale e lo sviluppo psichico. La secrezione tiroidea è regolata dalla tireotropina dell'ipofisi. L'ipofisectomia provoca atrofia e ipofunzione della tiroide, mentre la somministrazione di estratti ipofisari esalta la captazione dello iodio e la secrezione ormonale.

Patologia

Le alterazioni funzionali della tiroide si riflettono inevitabilmente su tutto l'organismo, determinando varie condizioni patologiche. La sindrome tireopriva si manifesta dopo asportazione chirurgica parziale o totale della tiroide o a seguito di un trattamento RX-terapico eccessivo ed è caratterizzata da infiltrazione mixedematosa dei tessuti, alterazioni psichiche (idiozia se la tiroide viene soppressa in tenera età, profonda apatia se nell'età adulta), diminuzione del ricambio organico e della temperatura, arresto della crescita, diminuita resistenza alle infezioni. Le sindromi da disfunzione tiroidea (distiroidismo) principali sono il cubinismo, a volte congenito, e il morbo di Flaiani-Basedow caratterizzato da aumento di volume della tiroide. Quando la tiroide diventa sede di processi infiammatori acuti o cronici (tiroidite) da ferite infette o per via ematogena nel corso di malattie infettive, la sintomatologia è costituita da febbre, tumefazione dolorosa alla regione anteriore del collo, disfagia, dispnea; la risoluzione spontanea è rara, più spesso la forma evolve in suppurazione con tendenza alla fistolizzazione all'esterno, nella laringe, esofago, mediastino; se la distruzione dell'organo è estesa si hanno segni di insufficienza tiroidea. I tumori della tiroide sono distinti in due varietà fondamentali: quelli che derivano dall'epitelio follicolare della ghiandola e quelli derivati dalle cellule C, o parafollicolari, che producono calcitonina (carcinomi midollari della tiroide). Il primo gruppo comprende tre tipi istologici diversi, con differente comportamento biologico: la forma anaplastica, rara e altamente maligna; il carcinoma follicolare, anch'esso raro, simile nell'aspetto al normale tessuto tiroideo, che va incontro a precoce disseminazione metastatica a distanza; e il carcinoma papillifero (il tipo più comune), tipico dell'età giovanile e della vecchiaia, dotato di crescita lenta e di carattere poco invasivo. Il carcinoma midollare della tiroide non rappresenta più di un decimo dei tumori della tiroide ed è caratterizzato dall'iperproduzione dell'ormone sintetizzato in condizioni normali, cioè la calcitonina. I tumori della tiroide si manifestano in genere con un nodulo. Non è raro che in alcuni casi, specialmente nelle forme anaplastiche e follicolari, il tumore si manifesti prima con la metastasi. Il cardine dell'intervento terapeutico si basa sull'asportazione chirurgica, integrata a volte dalla radioterapia. La malattia metastatica risponde raramente alla chemioterapia: nel caso che il tumore continui a mostrare attività metabolica propria, la somministrazione di iodio radioattivo (radioterapia metabolica) può essere utilizzata per il trattamento sistemico delle metastasi. La cura dei tumori della tiroide si deve naturalmente integrare con un adeguato programma terapeutico volto a controllare e a sostituire la secrezione ormonale propria della ghiandola, prima, durante e dopo l'intervento. I tumori della tiroide costituiscono meno dell'1% delle cause di morte per tumore; l'incidenza nelle donne è doppia rispetto al sesso maschile e la maggior parte dei casi si ha fra i 25 e i 65 anni. L'irradiazione precedente della ghiandola è il fattore di rischio più studiato: incerti i dati sull'associazione fra gozzo, tiroide e insorgenza di cancro.

Bibliografia

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