ustióne

sf. [sec. XIX; dal latino ustíonis, da ustus, pp. di urĕre, bruciare]. Lesione prodotta nei tessuti dall'azione di alcuni agenti fisici (calore, elettricità ecc.) e chimici (acidi, fosforo ecc.). Può essere di varia entità ed estensione secondo la temperatura, la durata del contatto e lo stato fisico della sostanza (solido, liquido, gassoso) e perciò se ne distinguono quattro gradi: primo grado, quando l'alterazione dei tessuti consiste solo in iperemia ed edema (eritema); secondo grado, quando si produce una flogosi con essudato sieroso sotto- o intraepidermico (formazione di vescicole o flittene); terzo grado, se si arriva alla necrosi della cute e quindi alla formazione di un'escara; quarto grado, quando vi è carbonizzazione. La natura dell'agente ustionato costituisce spesso un valido aiuto per valutare l'entità delle lesioni: le vampate provocano ustioni di primo grado; l'olio bollente ustioni di secondo grado; la fiamma, con abiti che bruciano, ustioni di terzo grado. Clinicamente la gravità di un'ustione si giudica in base alla sua estensione, profondità, sede, concomitanza di altre lesioni o malattie del soggetto, stato di salute ed età. Nelle ustioni circoscritte e superficiali lo stato generale del paziente non è compromesso; al contrario, in quelle molto estese, sia in superficie sia in profondità, compaiono gravi disturbi generali con shock, tali da configurare la cosiddetta malattia da ustione. Fra le complicazioni sono da ricordare la setticemia e le ulcerazioni a carico dell'apparato digerente.

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