zécca

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Lessico

sf. [sec. XIV; dall'arabo sikka, conio]. Stabilimento dove si fabbricano le monete o per fusione o per coniazione e, in epoca moderna, anche le medaglie, i sigilli dello Stato e i timbri ufficiali: nuovo di zecca, propriamente, di moneta appena coniata e quindi nuova fiammante; per estensione, di oggetti e specialmente capi di vestiario appena fabbricati, appena acquistati e comunque non ancora usati; talora fig.: concetti nuovi di zecca.

Cenni storici

La zecca fin dall'antichità ha costituito un ufficio statale diretto o controllato da magistrati dello Stato o da funzionari governativi. Poche notizie si hanno sul funzionamento delle zecche greche; i pochi dati che si conoscono si riferiscono soprattutto all'età ellenistica e fonte principale sono le monete ateniesi dei sec. II-I a. C. che recano i nomi dei magistrati. Ma si deve supporre che anche in età più antica le zecche greche fossero sotto il controllo delle autorità cittadine o del dinasta. Notizie più precise si hanno per Roma, dove nel 289 a. C. fu creata un'apposita magistratura senatoriale, quella dei tresviri monetales, per sovrintendere a tutte le operazioni della zecca. I tresviri monetales conservarono funzioni effettive di direzione della zecca almeno fino all'epoca di Augusto, quando il loro nome appare per l'ultima volta sulle monete; poi dovettero essere sostituiti da funzionari imperiali, anche se la magistratura rimase fino all'epoca di Gordiano III, probabilmente con funzioni onorarie. Nel sec. III d. C. nuove zecche vennero create nelle province dell'Impero romano, oltre quella di Roma. Con l'ordinamento dioclezianeo e le riforme di Costantino tutte le zecche imperiali vennero poste alla dipendenza del comes sacrarum largitionum, una specie di ministro del tesoro dell'Impero. La fine dell'Impero romano d'Occidente non portò a un mutamento immediato nell'organizzazione della zecca di Roma e delle altre zecche, che rimasero probabilmente inalterate fino al dominio longobardo in Italia e in genere allo stabilirsi dei regni barbarici nelle province dell'Impero romano, quando quasi tutte le vecchie zecche imperiali furono chiuse e ne sorsero delle nuove in città che non erano mai state sede di zecche. L'alto Medioevo vide un moltiplicarsi delle zecche in tutti gli Stati dell'Europa occidentale, soprattutto in Francia. Con Carlo Magno e il formarsi del Sacro Romano Impero il numero delle zecche fu ridotto e posto sotto il controllo statale. Per qualche secolo il numero delle zecche in Italia fu limitato a quelle che coniavano a nome dell'imperatore, ma già nel sec. XII con il formarsi dei Comuni molte città aprirono una zecca, spesso con l'autorizzazione dell'autorità imperiale. La zecca venne talora data in appalto a una o più persone, che garantivano al comune la coniazione della moneta nella quantità e nella qualità stabilite, ma è da presumere che la zecca rimanesse sempre sotto la sorveglianza delle autorità cittadine. Nella metà del sec. XVI ebbe inizio una trasformazione nel lavoro della zecca con l'invenzione in Germania di alcune macchine per la preparazione dei tondelli e la coniazione delle monete, fra cui il bilanciere. Iniziava così il processo di meccanizzazione della coniazione che culminò nell'Ottocento con l'invenzione della pressa monetaria e del pantografo. Con il sorgere e l'affermarsi degli Stati nazionali si ridusse progressivamente anche il numero delle zecche. In Italia nel 1861 erano ancora in funzione otto zecche: tre, Bologna, Genova, Firenze, furono chiuse in quell'anno, altre tre, Torino, Venezia e Napoli, nel 1870. Nel 1892 fu chiusa la zecca di Milano, sicché rimase in funzione solo la zecca di Roma.

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