La pesca

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La pratica della pesca, che risale alla Preistoria, rappresentò, per l'Egitto, una grande fonte di ricchezza. Oltre a essere un mezzo di sussistenza, era una delle principali attività di svago per gli antichi egizi.

La pesca fu largamente praticata dalle popolazioni rivierasche del Nilo. Un'interessante iscrizione dei tempi del faraone Ramesse IV descrive la composizione del personale di una colonia di 8.368 uomini, dei quali 200 si fregiavano del titolo di "patroni dell'arte della pesca dei pesci". Erodoto e Diodoro Siculo forniscono numerose testimonianze relative alla diffusione di quest'attività in Egitto. Anche i bassorilievi e le scene delle tombe illustrano l'importanza della pesca, non solo come mezzo di sussistenza, ma anche come passatempo.
Nella Preistoria, la finalità precipua della pesca era quella del reperimento di cibo per l'alimentazione, ma successivamente, così come accadde per la caccia, essa divenne una delle attività legate al tempo libero. Era praticata anche dagli alti funzionari e alcune modalità di pesca venivano esercitate come attività sportive. La pesca con la canna costituiva una distrazione tipica degli aristocratici, mentre la caccia effettuata con una sorta di boomerang e la pesca con l'arpione erano il passatempo di appassionati di ogni estrazione sociale. La pesca come attività di svago veniva praticata anche dalla gente del popolo, che utilizzava a tal fine modeste barchette di papiro.

Il Nilo forniva una grande quantità di pesci commestibili. Per i poveri, il pesce costituiva la base dell'alimentazione in sostituzione della carne, senz'altro più costosa. Le persone facoltose, invece, avevano a disposizione degli stagni con dei pesci aventi funzioni generalmente ornamentali, ma in alcune occasioni vi si attingeva per l'alimentazione. Esistevano diverse modalità di pesca: si poteva effettuare la battuta dalla sponda di un fiume o a bordo di un'imbarcazione. Il sistema abituale di pesca consisteva nell'uso di una lenza e di vari ami. La canna fu largamente impiegata durante il Nuovo Regno. In acque poco profonde si usavano semplici nasse a forma di bottiglia. Era molto diffuso anche l'uso di piccole reti coniche. Sempre molto praticata anche la pesca con l'arpione, ma il metodo con il quale si ottenevano i risultati più rilevanti era quello in cui si impiegavano due imbarcazioni che trascinavano grandi reti.
La pesca nel Nilo non era comunque esente da pericoli: ippopotami e coccodrilli, infatti, erano sempre in agguato nell'acqua. Un rilievo della mastaba di Mereruka mostra una tecnica di pesca molto diffusa nell'antico Egitto: essa consisteva nell'uso di una rete a strascico manovrata da diversi pescatori. Bisognava mantenere una parte della rete in superficie mediante alcuni galleggianti legati ad una estremità e una zavorra nella parte opposta, che consentiva di trascinare la rete toccando il fondo. In numerose scene sono raffigurate battute di pesca, durante le quali era necessario il ricorso a due tipologie di equipaggio: mentre alcuni pescatori erano occupati a maneggiare le reti a strascico, altri dovevano remare, impiegando tutte le loro forze, per cercare di catturare, spostandosi, la massima quantità di pesce possibile. Alcuni brani delle conversazioni tra i pescatori sono riprodotti nelle iscrizioni parietali delle tombe. Una di esse recita così: "Tira forte i remi, in modo da poterci posizionare sopra!". Poi, si issava la rete, e un pescatore esclamava soddisfatto: "È piena fino all'orlo!".
La pesca era comunque molto apprezzata dagli egizi. In un papiro è possibile leggere: "Che giorno lieto trascorreremo quando, discendendo il fiume, pescheremo i pesci tra due acque (...)".

Il pesce costituiva un alimento fondamentale, ma alcune regole religiose ne limitavano il consumo. In determinati luoghi, infatti, alcune specie ittiche erano considerate sacre. Secondo Plutarco, quando il corpo del dio Osiride fu sezionato da Seth, alcuni segmenti del cadavere furono mangiati da tre specie di pesci del Nilo. Uno di questi era il Mormyrus kannume, venerato come animale sacro nella città di Ossirinco. Un'altra specie, il Lates niloticus, persico del Nilo, denominato in egizio aha, era venerato a Letopolis e veniva persino mummificato. Inoltre, sia il sovrano sia i sacerdoti non potevano mangiare pesce, che veniva identificato con il malvagio Seth. Pur essendo quindi un alimento notevolmente diffuso, il pesce non poteva essere mangiato in occasione di cerimonie essendo considerato impuro. Il Papiro Sallier precisa che esistevano determinati giorni nei quali il pesce non poteva essere consumato ed era persino proibito toccare chi lo avesse mangiato.
Il pesce poi costituiva l'elemento base dell'alimentazione anche nella vita ultraterrena. Ciò è testimoniato dalle stesse rappresentazioni rinvenute all'interno delle tombe. Nonostante il consumo di pesce fosse proibito in alcune province egizie e fosse comunque limitato ovunque per motivi religiosi, in talune occasioni il pesce era uno degli alimenti che il defunto avrebbe dovuto mangiare nella sua nuova vita nell'Aldilà. In ambito mitologico anche la pesca, così come la caccia, aveva una sua funzione. Simbolicamente, l'atto di pescare poteva riportare in vita una divinità mutilata, perché l'occhio che Seth strappò a Horo fu ritrovato nella rete di un pescatore. Il nemico di Ra aveva le sembianze di un pesce. Inoltre, se un defunto era a conoscenza del capitolo 153 del Libro dei Morti, poteva dimostrare di essere stato un pescatore, ed evitare, pertanto, di rimanere intrappolato nelle reti che gli spiriti maligni delle scimmie gettavano nelle acque infernali.