I rischi della fitoterapia

Il crescente ricorso a prodotti di erboristeria ha posto in grande rilievo il problema della sicurezza di questi preparati. La diffusa convinzione che le cure vegetali siano più "naturali", e quindi innocue, alimenta tra l'altro il fenomeno dell'autoprescrizione, ossia la tendenza al "fai da te" terapeutico. Ma le piante e le erbe curative possono provocare, proprio come i farmaci, effetti secondari anche gravi: non va dimenticato che l'introduzione nell'organismo di sostanze estranee, farmacologicamente attive, comporta inevitabilmente il rischio di reazioni avverse, indipendentemente dall'origine sintetica o naturale dei principi attivi assunti.


Sempre più numerose appaiono, nella letteratura scientifica, le segnalazioni riguardanti reazioni avverse a prodotti fitoterapici e questo nonostante risulti spesso difficile cogliere il nesso temporale tra l'uso di una sostanza e l'insorgenza di un effetto indesiderato. L'assunzione di questi prodotti, del resto, avviene quasi sempre senza controllo da parte del medico curante.


Così, per esempio, nei soggetti che assumono in maniera cronica lassativi a base di erbe - quali la senna e la cascara sagrada - una pericolosa diminuzione del tasso di potassio circolante (ipopotassiemia) può essere diagnosticata in maniera tardiva.


I preparati di erboristeria possono poi provocare reazioni avverse causate da errori nella loro composizione o dalla presenza di agenti contaminanti. Per esempio, in diverse occasioni è stata riscontrata nei derivati vegetali una contaminazione da farmaci convenzionali (tranquillanti come il diazepam, antinfiammatori steroidei e non ecc.), in grado di creare problemi se assunti inconsapevolmente. Oltre che reazioni avverse, la presenza nei prodotti fitoterapici di farmaci convenzionali può infatti cagionare pericolose interazioni, ossia interferenze con altri farmaci tradizionali, dei quali può essere potenziato o ridotto l'effetto terapeutico.


Questa situazione è analoga a quella che può verificarsi nel corso di una terapia di tipo ortodosso, ma è aggravata dal fatto che la presenza di farmaci di sintesi nei preparati di erboristeria è spesso misconosciuta e che è sempre ignota la dose assunta. Fra le possibili interferenze tra prodotti fitoterapici e farmaci ricordiamo le seguenti:
- kava-kava e valeriana: se assunte insieme alle benzodiazepine (tranquillanti) possono provocare un più marcato effetto sedativo;
- mucillagine (contenuta nei lassativi venduti in erboristeria): può ridurre l'assorbimento di molti farmaci presi per bocca;
- ginko biloba: riduce l'aggregabilità delle piastrine (inibisce il fattore di attivazione piastrinica o PAF); potendo perciò creare problemi emorragici nei soggetti con turbe della coagulazione, non va assunto insieme con l'aspirina (che ha pure un'azione antiaggregante) e con i farmaci anticoagulanti.


I prodotti fitoterapici possono inoltre contenere altre sostanze:
a) metalli (arsenico, piombo, mercurio). Quantità rilevanti di arsenico inorganico e di mercurio sono state ritrovate in pillole provenienti dall'India e destinate al trattamento di pazienti affetti da sclerosi multipla. In altre preparazioni, invece, il problema è rappresentato dall'elevata quantità di piombo (che è un metallo fortemente tossico). In soggetti curati per infertilità o impotenza con prodotti a base di erbe e altri ingredienti meno noti sono stati registrati valori di piombemia (piombo nel sangue circolante) tali da richiedere un antidoto specifico: queste preparazioni, ottenute da fonti diverse, risultavano contenere dal 6 al 60% (in peso) di piombo, ma anche tracce di mercurio e arsenico. Nei preparati di erboristeria orientale sono state segnalate anche altre sostanze tossiche, come il cadmio;
b) pesticidi e microrganismi patogeni.
 

Esistono poi reazioni avverse direttamente dipendenti dal preparato di erboristeria. L'assunzione di ginseng, per esempio, in diverse occasioni è stata associata ad aumento delle transaminasi, orticaria, edema.
I segni di tossicità a carico del fegato sono i più comuni, con rialzo delle transaminasi e, in qualche caso, ittero.

Diversi sono i casi di epatite - almeno 30 tra il 1989 e il 1992 - osservati dopo l'assunzione di prodotti contenenti querciola, una piantina che cresce in tutta l'Europa Centrale e che è stata messa in commercio in Francia con una serie di indicazioni, tra le quali quella di "coadiuvante delle diete dimagranti". L'uso della querciola, che è persino un ingrediente della cosiddetta acqua dei benedettini (un liquore che i pellegrini possono acquistare in un'abbazia sui Pirenei orientali), è stato proibito già nel maggio 1992 dal Ministero della Sanità francese.
 

In due pazienti una grave tossicità epatica è stata segnalata dopo l'assunzione di foglie di chaparral.
 

Ma l'elenco delle piante tossiche è certamente più esteso: dato che l'effetto reale dipende dalla quantità assunta così come dalla suscettibilità individuale. Vi sono almeno 300 specie vegetali, ampiamente diffuse in natura, potenzialmente dannose in quanto contenenti alcaloidi tossici per le cellule epatiche.
In Italia il settore dei preparati di erboristeria, nonostante la loro rapida diffusione e la loro popolarità, non appare adeguatamente regolamentato. Dato che tali prodotti non vengono assimilati ai farmaci, per essi non valgono le disposizioni riguardanti l'obbligo del produttore di raccogliere le segnalazioni di eventuali reazioni avverse. Sicuramente sarebbe utile per la sicurezza dei consumatori la creazione di liste di erbe potenzialmente pericolose, da non includere nelle preparazioni per uso generale.
 

Quanto all'efficacia, in erboristeria si trovano piante cui vengono arbitrariamente attribuite proprietà curative: tanto che il Refit (Repertorio fitoterapico per i farmacisti) comprende una lista di droghe di cui non esiste una sufficiente documentazione di efficacia.