Paolo Borsellino: interrogativi ancora aperti sulla strage di via d’Amelio

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Attentato di via d'Amelio. Una delle pagine più nere della storia italiana: un'esplosione terribile nella quale a perdere la vita furono Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Dopo l'attentato di Capaci, che tolse la vita a Giovanni Falcone, Borsellino divenne nuovo simbolo della lotta alla Mafia. Eroe di legalità, il magistrato era ormai già entrato nel mirino di Cosa Nostra.

Sono passati più di vent'anno dalla strage di via d'Amelio, eppure sono ancora moltissimi gli interrogativi aperti e le domande senza risposta sui mandanti, interni ed esterni, dell'attentato che costò la vita al Magistrato e alla sua scorta. 

Dopo anni di depistaggi e la reclusione di sette persone accusate dal falso pentito Vincenzo Scarantino, nuovi particolari emergono dall’inchiesta ancora aperta.
La testimonianza di Gaspare Spatuzza, collaboratore di giustizia, ha infatti portato all’individuazione del probabile esecutore materiale della strage. Per via deduttiva si è giunti alla conclusione che a premere il telecomando dell’autobomba fu il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano. Spatuzza si è inoltre autoaccusato del furto della Fiat 126 che il 19 luglio del 1992, imbottita di esplosivo in via D’Amelio, causò la morte di Paolo Borsellino.

L’inchiesta resta ancora aperta ma l’Italia non dimentica quella che fu una strage annunciata. A quasi due mesi dall’attentato a Giovanni Falcone (23 maggio 1992) anche il collega e amico Borsellino fu vittima dalla stessa tragica sorte. Borsellino, eroe come Falcone, non solo perché come lui ‘osò’ sfidare la mafia smascherandone anche le collusioni con l’ambiente politico ma soprattutto perché, nonostante sapesse di essere la prossima vittima di Cosa Nostra, non si fermò, andò avanti e non smise mai di credere nello Stato e nella giustizia.

Uno Stato che forse non fu abbastanza presente come ha dichiarato suo fratello Salvatore: “… Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia… Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente … è che questa è una strage di Stato, nient’altro che una strage di Stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell’opinione pubblica questa verità…”.

Con Giovanni Falcone, Borsellino fece parte del pool antimafia e dette l’avvio al maxiprocesso di Palermo nei confronti di Cosa Nostra conclusosi il 19 dicembre 1987 e che portò all’arresto di 360 persone. Furono proprio questi gli anni in cui si susseguirono attentati di stampo mafioso ai danni di molti dei colleghi del giudice tra cui: Giuseppe Montana, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici e Carlo Alberto Dalla Chiesa, che sfociarono in un drammatico epilogo con la morte di Giovanni Falcone.

Due mesi dopo questo tragico avvenimento, Paolo Borsellino, di ritorno da un pranzo con la moglie, i figli e la scorta (assegnatagli già a partire dal 1980 in seguito all’assassinio di Emanuele Basile, Capitano dei Carabinieri che collaborava con lui), si recò in visita alla madre in via D’Amelio. Proprio lì era parcheggiata la Fiat 126 carica di esplosivo che, al passaggio del giudice, fu fatta saltare in aria provocando la morte non solo del magistrato ma anche dei poliziotti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Eddie Walter Cusina.

Ebbene, a distanza di oltre venticinque anni, molti interrogativi riguardo al tragico attentato restano ancora privi di risposte. «Dovrebbe essere l’intero Paese a sentire il bisogno di una restituzione della verità. Ma sembra un Paese che preferisce nascondere verità inconfessabili», ha dichiarato al Corriere della Sera Fiammetta Borsellino, la più piccola dei tre figli del magistrato.

E a proposito di pezzi mancati, di verità nascoste e di vuoti giudiziari, si consiglia la lettura di "La Repubblica delle Stragi" a cura di Salvatore Borsellino ed edito da Paper Firts, volume pubblicato in occasione del 26esimo anniversario della strage di via d'Amelio.

Paolo Borsellino è oggi ricordato come un eroe. Il suo nome, indissolubilmente legato a quello di Giovanni Falcone e alle innumerevoli vittime della Mafia, rimane un simbolo di rettitudine. Con Paolo Borsellino se n'è andato uno dei più grandi patrimoni umani che l'Italia abbia mai avuto.