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La piena occupazione nella storia del pensiero economico

Gli economisti classici e la legge di Say. Nel sistema di pensiero classico, il problema della piena occupazione ebbe scarsa rilevanza e quella che ebbe fu solo in funzione del problema dei salari.

Il motivo principale era l'accettazione, a partire dai padri fondatori della scienza economica, della cosiddetta legge di Say, la quale asserisce che ogni offerta crea la propria domanda. Ciò equivale a dire che ogni atto di produrre genera redditi sufficienti a creare una domanda capace di assorbire quanto messo sul mercato. È quindi impossibile che si verifichino a livello macroeconomico crisi di sovrapproduzione che diano luogo a persistenti fenomeni di disoccupazione. Malgrado la fede che generazioni di economisti hanno riposto nella legge di Say, tali crisi si sono verificate continuamente a partire dalla rivoluzione industriale.

Anche David Ricardo, il grande economista inglese vissuto tra il Settecento e l'Ottocento accettava la legge di Say, tuttavia era convinto che la disoccupazione tecnologica fosse sempre in agguato a mano a mano che l'economia cresce e si sviluppa.

Secondo Marx la disoccupazione è connaturata al normale funzionamento del mercato del lavoro: i disoccupati fungono da “esercito industriale di riserva”, che, facendo concorrenza agli occupati per il posto di lavoro, mantiene i salari di questi a livello di sussistenza. Fino alla prima guerra mondiale, il punto di vista degli economisti è riassumibile come segue: in un regime liberistico di concorrenza perfetta la possibilità di flettersi e aumentare da parte dei salari monetari è in grado di assicurare automaticamente l'equilibrio fra domanda e offerta di lavoro. Se c'è disoccupazione è perché i salari sono troppo alti, data la domanda di lavoro da parte delle imprese, per assicurare l'equilibrio. La presenza stessa della disoccupazione comunque spingerà i disoccupati a offrirsi a salari minori di quelli vigenti e condurrà gli occupati a più miti pretese, salari più bassi accresceranno la domanda di lavoro e la disoccupazione sarà così assorbita finché il mercato del lavoro si riassesterà al livello di piena occupazione. La disoccupazione è quindi sempre volontaria, in quanto esito delle scelte dei lavoratori e dei loro rappresentanti. La critica di Keynes. Smentita di fatto dalle crisi produttive, e quindi occupazionali, che si sono succedute nella storia del capitalismo, e in particolare dalla grande depressione degli anni Trenta, la teoria classica è stata attaccata sul piano dottrinale da J. M. Keynes il quale ha dimostrato che in un'economia capitalistica non esiste alcun meccanismo in grado di garantire naturalmente il mantenimento della piena occupazione, dipendendo quest'ultima solo dal livello della domanda globale. Keynes sostenne apertamente che la legge di Say era falsa: un atto di produzione non si traduce necessariamente in un atto di spesa, perché non tutti i redditi vengono consumati. Si ha disoccupazione a causa di un eccesso di offerta di beni a fronte della domanda solvibile (cioè della somma dei redditi spesi). Ridurre i salari non servirebbe a niente, peggiorerebbe anzi il problema. La disoccupazione è quindi involontaria. Solo lo Stato può creare mediante la spesa pubblica il consumo aggiuntivo necessario a riportare la domanda in linea con l'offerta complessiva e portare così il sistema alla piena occupazione. Keynes fu dunque il primo economista ad affrontare organicamente il problema della piena occupazione e a proporre misure di politica economica atte a promuoverla (tassazione progressiva per aumentare la propensione al consumo, investimenti pubblici, bassi tassi d'interesse quale incentivo agli investimenti privati). Politiche keynesiane sono state adottate dalla maggior parte dei paesi industrializzati. La reazione liberista. Dopo un trentennio (1945-1975) caratterizzato da crescita sostenuta e piena occupazione, la compresenza di alti livelli di spesa pubblica e di disavanzo pubblico, alta inflazione e stagnazione economica con la conseguenza di una disoccupazione rapidamente crescente ha indotto gli economisti e i governi a considerare spuntate anche le armi keynesiane contro la disoccupazione.

La contrapposizione tra economisti fiduciosi nel funzionamento del mercato ed economisti più pessimisti si è riproposta anche nella seconda metà del Novecento. M. Friedman ha ripreso l'idea classica di equilibrio naturale dell'economia, puntualizzando il concetto di tasso naturale di disoccupazione, che in pratica è quello sufficientemente alto da non accelerare l'inflazione. I nuovi macroeconomisti classici si spinsero oltre sostenendo che in presenza di sussidi un individuo può razionalmente scegliere di non lavorare, perché valuta il valore del tempo libero più del reddito che un'attività di lavoro gli assicurerebbe. Siamo così tornati al laissez-faire prekeynesiano: la disoccupazione è sempre volontaria. Se si vuole ridurla è necessario tagliare i sussidi di disoccupazione e gli altri trasferimenti pubblici ai poveri.