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La grande depressione

La più grave crisi economica della storia del capitalismo fu causata da una brusca caduta della domanda aggregata. Si tratta della Grande Depressione, che ebbe inizio con il crollo della Borsa di Wall Street nel 1929 e, durò per gran parte degli anni Trenta del secolo scorso, estendendosi a tutti i paesi occidentali. Keynes attribuì il crollo di Borsa del 1929 a un improvviso mutamento delle aspettative e spiegò il protrarsi della depressione affermando che la domanda aggregata può benissimo essere e restare al di sotto del livello compatibile con il pieno impiego delle risorse.

Analisi successive della crisi degli anni Trenta mettono in luce il ruolo svolto dalle innovazioni tecnologiche e dal forte aumento della concentrazione industriale (con il conseguente aumento del potere di mercato delle imprese) sulla distribuzione del reddito nel corso degli anni Venti.

Tra il 1922 e il 1929 la produttività nell'industria statunitense aumentò del 30%, mentre i salari nominali aumentarono solo dell'11%, a fronte di prezzi sostanzialmente stabili. Il risultato fu una enorme variazione nella distribuzione del reddito a favore dei profitti industriali.

Secondo Paolo Sylos Labini, negli anni Venti si ebbe uno spostamento eccessivo del reddito dal lavoro al capitale: mentre un tasso ragionevole di incremento dei profitti stimola l'accumulazione e l'attività economica, un incremento eccessivo porta a una flessione delle spese di consumo e quindi, indirettamente, delle stesse spese di investimento.

Negli anni Venti, la domanda di beni di consumo non si espanse molto, mentre la domanda di beni durevoli (automobili ed edilizia) fu sostenuta fino al 1926. Riducendosi le occasioni di investimento produttivo, l'enorme massa di fondi provenienti dai profitti industriali si riversò inizialmente (fino al 1927) in investimenti all'estero, anche ad alto rischio, e poi in Borsa, portando ad una fase di euforia speculativa caratterizzata da rapidi incrementi nei prezzi dei titoli azionari. Quando l'insufficienza della domanda di beni riportò alla realtà le aspettative di profitti futuri, si ebbe il più violento crollo di borsa della storia, accompagnato da fallimenti a catena, deflazione dei prezzi e altissima disoccupazione.

La crisi si trasmise all'Europa e al resto del mondo per via finanziaria, quando i prestiti esteri americani, che nel corso degli anni Venti erano serviti da fattore di aggiustamento negli sbilanciati rapporti commerciali internazionali, furono ritirati: i debitori non furono in grado di ripagarli e ciò produsse fallimenti bancari negli Stati Uniti e fallimenti nelle industrie del resto del mondo. La crisi si trasmise al settore dei prodotti agricoli, coinvolgendo i paesi della periferia, in particolare dell'America Latina. Le reazioni dei diversi paesi alla crisi economica. ebbero l'effetto di aggravarla: ciascun paese si illuse infatti di poterne limitare le conseguenze mediante misure protezionistiche (dazi doganali e altre barriere alle importazioni) o attraverso svalutazioni competitive della propria valuta. Ciò costrinse ogni paese a seguire le stesse misure, e il risultato fu una notevole contrazione del commercio internazionale; la diminuzione degli scambi comportò una ulteriore riduzione della domanda per ogni singolo paese e un aggravamento della crisi economica.