Le imposte

Le imposte sono prelievi obbligatori in denaro, dovuti dal contribuente al di fuori di vincoli di diretta controprestazione da parte dello Stato. Sono la fonte principale delle risorse finanziarie degli Stati moderni, che ne destinano il gettito: a) al finanziamento della produzione dei beni e servizi collettivi (i cosiddetti fini fiscali delle imposte); b) allo svolgimento delle altre loro funzioni, come la redistribuzione del reddito, la stabilizzazione del ciclo economico o la correzione dei casi di fallimento del mercato (fini extrafiscali).

Caratteri generali

Un'imposta è identificata da tre elementi fondamentali: il presupposto, la base imponibile e l'aliquota.

Il presupposto consiste nella situazione di fatto a cui la legge associa l'obbligo di pagare il tributo, per es., il percepimento di un reddito o l'acquisto di un bene.

La base imponibile è la grandezza a cui l'imposta è commisurata; può essere definita in termini monetari (per es., il valore del reddito nel caso dell'IRPEF) o in termini fisici (per es., litri di benzina, per l'imposta di fabbricazione sugli oli minerali). L'aliquota indica il debito d'imposta per unità di base imponibile ed è espressa da una percentuale, se la base imponibile è un valore monetario, o da un numero di unità monetarie per unità di base imponibile, se quest'ultima è definita in termini fisici.

L'aliquota media è il rapporto tra il debito d'imposta e la base imponibile, mentre l'aliquota marginale è la variazione del debito d'imposta per una variazione unitaria della base imponibile.

Imposte dirette e indirette

Nella teoria finanziaria le imposte vengono suddivise in dirette e indirette: al gruppo delle imposte dirette appartengono le imposte che colpiscono manifestazioni dirette della capacità contributiva, cioè il reddito o il patrimonio, e producono i loro effetti attraverso una variazione del reddito disponibile; sono imposte indirette quelle che colpiscono manifestazioni mediate della capacità contributiva, cioè atti di scambio o trasferimento, e che quindi manifestano solitamente i propri effetti attraverso variazioni dei prezzi.

Un'imposta diretta può essere a sua volta personale o reale: è personale se le regole per la sua determinazione tengono conto delle caratteristiche personali di chi percepisce il reddito o possiede il patrimonio, per es., attraverso deduzioni dall'imponibile o detrazioni dall'imposta; è reale se il suo importo non è influenzato dalle caratteristiche soggettive del contribuente. Pur essendo più semplici da amministrare, le imposte reali sono state gradualmente sostituite da quelle personali, meglio rispondenti all'obiettivo di sottoporre a tassazione progressiva il reddito complessivo dei contribuenti.

Imposte e redistribuzione del reddito

Sia le elaborazioni teoriche sia le decisioni politiche adottate nei vasti paesi sembrano orientate a una generale preferenza (sancita anche dalla Costituzione italiana) per una ripartizione progressiva del carico tributario.

La progressività è il principio in base al quale il prelievo aumenta in modo più che proporzionale rispetto alla base imponibile: l'aliquota media, data dal rapporto tra gettito e base imponibile, risulta quindi crescente all'aumentare di quest'ultima, mentre è costante nel caso di imposta proporzionale e decrescente nel caso di imposta regressiva.

Le analisi empiriche, tuttavia, sembrano evidenziare che l'impatto delle imposte sia, non solo in Italia, sostanzialmente proporzionale. La progressività delle imposte dirette sarebbe infatti attenuata dai fenomeni dell'evasione e dell'elusione fiscale, e controbilanciata dalla regressività delle imposte indirette.

Imposte ed effetti distorsivi

A eccezione delle lump sum tax o imposta a somma fissa, tutte le imposte producono, assieme a effetti di riduzione del reddito disponibile, anche effetti di sostituzione, ovvero reazioni comportamentali volte a diminuire la domanda dei beni tassati e quindi più costosi. L'introduzione delle imposte determina un eccesso di pressione. Esso può essere misurato da quella parte della riduzione del benessere dei contribuenti, causato dall'effetto distorsivo che le imposte esercitano sul sistema dei prezzi relativi e sul meccanismo di scelta ottima dell'agente economico, a cui non corrisponde un maggior gettito per l'erario.

La teoria dell'ottima tassazione, sviluppatasi a partire dagli anni Settanta, si è posta l'obiettivo di individuare quali imposte siano in grado di soddisfare gli obiettivi di gettito minimizzando l'eccesso di pressione, e quindi la perdita complessiva di utilità determinata dalle imposte. I risultati variano notevolmente in dipendenza degli obiettivi redistributivi e delle ipotesi circa la sensibilità delle funzioni di domanda e offerta ai prezzi relativi rilevanti, ma uno dei risultati fondamentali, con importanti ripercussioni sul processo di riforma dei sistemi tributari, sottolinea l'indesiderabilità, anche in presenza di finalità redistributive, di aliquote marginali molto elevate, per i loro effetti distorsivi sui prezzi relativi e il disincentivo all'offerta di lavoro e risparmio.

L'equità nella tassazione

La ripartizione del carico tributario si ispira al principio della capacità contributiva. La sua origine può essere indicata nel principio del sacrificio, visione utilitaristica e quindi soggettiva del sacrificio causato dalle imposte. Nell'ambito di questa impostazione, che risale all'Ottocento, sono stati sviluppati i concetti di equità orizzontale e di equità verticale: il primo afferma che individui caratterizzati da eguale livello di utilità prima delle imposte devono godere di una uguale utilità anche dopo la tassazione, il secondo che individui aventi un maggiore livello di utilità devono contribuire in misura superiore. La ricerca della struttura tributaria ottimale porta a esiti differenziati in termini di equità verticale a seconda che l'obiettivo consista nella eguaglianza del sacrificio assoluto (i contribuenti devono subire una uguale riduzione assoluta di utilità), del sacrificio proporzionale (l'utilità di ciascuno deve ridursi nella stessa proporzione) o di quello marginale (il carico deve essere ripartito in modo da eguagliare il sacrificio sull'ultima unità di reddito prelevata). Solo l'ultimo principio giustifica un'imposizione di tipo sempre progressivo.

La nuova economia del benessere che si sviluppa a partire dagli anni Trenta critica la cardinalità e la confrontabilità delle utilità, sostenendone la mancanza di base scientifica. Questo giudizio aiuta a comprendere lo sviluppo del principio della capacità contributiva, secondo cui equità orizzontale e verticale devono applicarsi non a un concetto ambiguo come l'utilità, ma a una misurazione oggettiva della base imponibile, rappresentata preferibilmente dal reddito globale dell'individuo. Contemporaneamente a quello della capacità contributiva, si sviluppa anche il principio del beneficio: in una visione contrattualistica del rapporto tra cittadini e Stato, l'imposta è concepita in questo caso come il prezzo dei beni pubblici, e deve essere fissata secondo gli stessi criteri che regolano i prezzi dei beni scambiati sul mercato. Esso ha il pregio di collegare i due lati del bilancio pubblico, senza considerare solo quello delle entrate, ma trova notevoli difficoltà nel razionalizzare la progressività, e in generale l'attività redistributiva.