Martin Heidegger

Martin Heidegger (Messkirch 1889-1976) studia a Friburgo, collabora con Husserl e insegna prima a Marburgo e poi a Friburgo, dove nel 1933 diviene rettore dell'università, ma poi si dimette per divergenze con il regime nazista, che pure aveva appoggiato. Dal 1945 al 1951 viene sospeso dall'insegnamento dalle autorità alleate, ma viene poi reintegrato nelle sue funzioni di professore.

La filosofia dell'esistenza

In Essere e tempo (1927) Heidegger si propone di rifondare il problema ontologico, affrontandolo non più con l'obiettivo tradizionale di afferrare concettualmente l'essere, ma nell'ottica fenomenologica rivolta a esplorare "il senso dell'essere", così come si manifesta nell'esistente. Ora per Heidegger il luogo privilegiato di disvelamento del senso dell'essere è l'uomo, che è quell'ente in grado di porsi il problema dell'essere. L'uomo è chiamato Esserci, o Dasein, perché è fondamentalmente un'esistenza gettata nel mondo. Quindi per l'ontologia risulta essenziale l'analisi del "modo di essere" dell'uomo che è l'esistenza: l'ontologia sarà innanzi tutto "analitica dell'esistenza". L'esistenza è caratterizzata essenzialmente dall'oltrepassamento, dalla capacità dell'uomo di andare oltre se stesso verso il mondo e perciò l'uomo è anche un "essere-nel-mondo". Il mondo diventa l'ambito dei progetti e delle azioni dell'uomo, il luogo in cui si "prende cura" delle cose (utilizzandole, comprendendole, interpretandole) e "ha cura" degli altri uomini. L'uomo può decidere per una forma inautentica dell'esistenza, governata dall'anonimato del "si dice", "si fa", lasciata alla "chiacchiera", alla "curiosità", all'"equivoco". Oppure può scegliere una forma autentica dell'esistenza, in cui "coesiste" con gli altri e decide le proprie possibilità e in primo luogo quella "incondizionata e certa": la possibilità della morte, di fronte a cui l'uomo si sente nell'angoscia, esposto alla presenza del nulla, radicato nella nullità dell'esistenza. Proprio perché è possibilità, l'esistenza si determina e progetta nella dimensione temporale del futuro: perciò l'orizzonte in cui si inscrive l'ontologia, ossia il problema che l'analitica dell'esistenza deve risolvere, è la temporalità. Il tempo si rivela allora come l'orizzonte, il "senso", dell'essere.

La crisi dell'analitica dell'esistenza

Una serie di opere successive a Essere e tempo ratifica la crisi dell'analitica dell'esistenza, perché questa non riesce di fatto a impostare il rapporto fra tempo ed essere e perché l'essere di cui si ricerca il senso non è l'essere dell'ente e quindi non lo si può raggiungere interrogando un ente, neppure quell'ente privilegiato che è l'uomo. Soprattutto La dottrina platonica della verità (1942) e la Lettera sull'"umanismo" (1947) attestano l'insufficienza del linguaggio razionale nel determinare la "differenza ontologica", ossia la differenza tra ente ed essere. La metafisica occidentale ha infatti ridotto l'essere a semplice presenza, a ente tra enti, a oggetto. L'impostazione metafisica va perciò sostituita da un itinerario di pensiero in cui l'essere non è più pensato a partire dall'ente e alla stregua di ente, ma a partire dal luogo d'origine dello stesso essere, che mentre si rivela si nasconde nell'ente. Il problema della differenza ontologica è ora collocato in un "evento appropriante" (Ereignis), la cui caratteristica consiste nel sottrarsi in se stesso mentre dona essere e tempo, nel nascondersi nello stesso tempo che rivela le cose nella loro verità.

La tecnica

La metafisica ha dunque il suo esito in questa storia del disvelamento e del ritrarsi dell'essere. In tale contesto Heidegger denuncia (Saggi e discorsi, 1954; La tecnica e la svolta, 1962) il modo in cui l'uomo occidentale ha esercitato il proprio primato sugli enti naturali. Si è occupato delle cose trasformandole, impiegandole sistematicamente a proprio vantaggio. La tecnica esprime l'essenza del mondo moderno, dove l'uomo, dimentico dell'essere, si occupa solo delle cose e il suo stesso pensiero è tecnicizzato. Si devono allora cercare criteri di giudizio non tecnici e mettere in discussione anche la riduzione del linguaggio a strumento di comunicazione e di espressione del pensiero. Alla forma meramente tecnica di applicazione della scienza Heidegger oppone il pensiero meditante, per cui l'uomo può parlare solo in quanto ascolta il linguaggio dell'essere: in ogni nostro dire "c'è sempre un lasciarsi mostrare che precede questo nostro mostrare come additare e rilevare".

Il linguaggio

Le ultime opere (In cammino verso il linguaggio, 1959; La questione del pensiero, 1969; Segnavia, 1976) sottolineano l'importanza della riflessione sull'arte e sul linguaggio. Il linguaggio, definito "la casa dell'essere", non è solo uno strumento di cui l'uomo può disporre a piacimento per indicare ed esprimere qualcosa. Ben più a fondo, soprattutto nel linguaggio poetico, vi traspare un'eccedenza di senso, vengono alla luce i significati, i valori di un'intera epoca storica. Pertanto Heidegger insiste sul duplice rapporto della parola con la cosa e con l'essere. In primo luogo la parola porta la cosa ad apparire nel suo aspetto ontologico in quanto cosa, come l'orizzonte di manifestazione dell'essere. In secondo luogo la parola si pone sulle tracce dell'essere, che per la differenza ontologica non compare mai nella sua pienezza, ma via via si mostra in un gioco di presenza e assenza, come alterità insondabile e sconosciuta. Ma la "differenza" è una continua manifestazione di senso mai definitiva, sempre "in cammino": per questo la filosofia può essere solo ermeneutica, ossia interpretazione della parola e dei luoghi storici in cui l'essere si mostra e si riserva.