Orientamenti dell'epistemologia contemporanea: Popper, Kuhn, Feyerabend

Karl Popper

Cittadino britannico di origine austriaca, Karl Popper (Himmelhof, Vienna, 1902 - Londra 1994) si occupa anche di filosofia politica (La società aperta e i suoi nemici, 1945) e del rapporto mente-corpo (L'io e il suo cervello, 1977, con J. Eccles), ma dedica la parte più rilevante del suo impegno teorico (Logica della scoperta scientifica, 1935; Congetture e confutazioni, 1963; Conoscenza oggettiva, 1972) al problema della conoscenza, assunto fondamentalmente nella sua valenza non fattuale ma logica, e cioè come problema riguardante non la genesi delle nostre conoscenze ma il loro valore.

La fallibilità

La tesi centrale di Popper è che la conoscenza umana è incerta, poiché non vi sono verità evidenti ­ principi validi a priori o proposizioni osservative indubitabili ­ su cui poterla fondare. Egli perciò respinge l'idea secondo cui le teorie scientifiche sono sistemi di proposizioni vere e anche quella secondo cui sono semplici strumenti per la previsione dei fenomeni, e afferma invece che sono ipotesi, congetture, tentativi di descrizione vera del mondo, la cui pretesa di verità non può però in alcun modo essere provata. Con ciò Popper propone un profondo mutamento della concezione della razionalità. Deve essere abbandonata l'idea della razionalità come ricerca della certezza, come tentativo di giustificazione delle teorie. Al contrario, l'autentico atteggiamento razionale consiste nella critica delle teorie, nel cercare di individuarne i limiti, le difficoltà e possibilmente gli errori, la loro "fallibilità". In questa prospettiva, la logica deduttiva svolge un ruolo essenziale: essa infatti ci permette di cogliere le implicazioni più remote delle teorie e ci aiuta perciò a individuarne i punti deboli. In tal senso Popper considera la logica come lo strumento fondamentale di questa razionalità da lui definita critica.

La falsificabilità

Tutte le teorie sono fallibili e criticabili. Ma le teorie scientifiche (e questo le distingue da quelle non scientifiche, siano esse pseudoscientifiche, metafisiche o appartenenti al dominio della logica e della matematica) possono anche essere empiricamente falsificate. La falsificazione, che costituisce il motore del mutamento e del progresso scientifico, si ha quando nell'effettivo controllo di una teoria accade che le asserzioni osservative da essa dedotte sono in contrasto con asserzioni osservative di base accettate dalla comunità scientifica. Se non vi è tale contrasto, allora la teoria viene "corroborata". La caratteristica delle teorie scientifiche di essere non solo fallibili e criticabili ma anche falsificabili significa che nella conoscenza scientifica, a differenza di quel che accade nelle altre forme di conoscenza, la razionalità critica, grazie all'uso congiunto della logica e dell'esperienza, riesce a esplicarsi nel modo più completo. E ciò per Popper fa sì che la conoscenza scientifica possa essere considerata la miglior forma di conoscenza, e la razionalità scientifica il miglior esempio di razionalità umana. Egli quindi, se da un lato indebolisce l'immagine tradizionale della scienza come conoscenza vera, dall'altro le assegna l'importante ruolo di paradigma del sapere.

La società aperta

Fallibilismo e razionalismo critico costituiscono la base teorica su cui Popper elabora la sua filosofia politica. Egli si oppone sia allo storicismo (Miseria dello storicismo, 1957), sia a ogni forma di utopia, in quanto caratterizzati dal modo di pensare olistico, cioè da un atteggiamento che considera la società come un "tutto unico", che trascende la somma delle sue componenti empirico-individuali, e ritiene possibile coglierne i "veri fini" sui quali elaborare piani per "il controllo e la ricostruzione della società intera", finendo per costituire un forte supporto per le ideologie totalitarie. Contro questo modo olistico di pensare, Popper propone una "società aperta" in cui la politica faccia proprio l'atteggiamento razionale della scienza, abbandonando il sogno di un mondo perfetto e adottando la pratica di interventi sempre limitati e parziali, come tentativi fallibili di risolvere singoli problemi della società. Allora il problema politico fondamentale è quello di garantire, attraverso istituzioni democratiche, il controllo di chi governa.