La filosofia del metodo: Bacone e Cartesio

Renato Cartesio

Renato Cartesio, nome italianizzato di René Descartes (La Haye, Touraine 1596 - Stoccolma 1650), studia diritto all'università di Poitiers, ma preferisce poi intraprendere la vita militare in Germania. È in questo periodo che si appassiona alla nascente scienza meccanica, intravedendo nell'algebra geometrica il modello di una "scienza totalmente nuova". Abbandonata la vita militare e si dedica alla ricerca filosofica.

Unità della mente e del sapere

Nel trattato metodologico Regulae ad directionem ingenii (Regole per la direzione dell'ingegno, 1628) Cartesio definisce 21 norme per sviluppare la "retta mente" in vista del conseguimento della "sapienza universale".

Intuito e deduzione costituiscono gli atti "naturali" della mente: il primo non si confonde con l'apprensione sensibile, ma indica "un concetto della mente pura e attenta" caratterizzato dalla "semplicità". Cartesio imposta il problema del metodo della ricerca scientifica nei termini della "mathesis universalis", una sorta di "scienza generale" che riguarda tutte le questioni concernenti "l'ordine e la misura", a prescindere dalle differenti materie a cui si applica. Questa idea deriva dall'osservazione che tutte le scienze matematiche studiano solo i rapporti di quantità e di proporzionalità fra gli "oggetti" (numeri, figure ecc.) del proprio ambito disciplinare e proprio per questa loro caratteristica possono essere assunte a modello della ricerca scientifica.

Il programma metodologico

Nel celebre Discorso sul metodo (1637) Cartesio illustra, sotto forma di un'autobiografia intellettuale, le prerogative del nuovo metodo, articolato in quattro regole fondamentali:
1. la regola dell'evidenza: devono essere accolte come vere solo quelle idee che si presentano chiare e distinte alla nostra mente; 2. la regola dell'analisi: è la scomposizione delle questioni complesse in parti elementari; 3. la regola della sintesi: è la ricomposizione della questione secondo un ordine compositivo che proceda da una minore a una maggiore complessità; 4. la regola dell'enumerazione completa: per evitare errori od omissioni è necessario, infine, enumerare tutti i passaggi effettuati.

La fondazione di una metafisica certa

La pubblicazione delle Meditazioni metafisiche (1641) ha l'obiettivo di mostrare come sia possibile anche in metafisica pervenire a una conoscenza "certa e indubitabile". Il primo passo è il superamento del dubbio scettico, che riguarda innanzitutto la conoscenza sensibile. La strategia cartesiana radicalizza ulteriormente il dubbio scettico mediante l'ipotesi del Dio ingannatore: immagina infatti che Dio sia così onnipotente da trarci in inganno anche nel concepire le verità più chiare ed evidenti, come quelle delle matematiche, che pure prescindono dalla fallibilità dei sensi. A questa totale sospensione del giudizio si sottrae però la verità dell'esistenza di colui stesso che, dubitando, pensa ("Cogito, ergo sum": penso, dunque sono). Ma per passare dalla certezza isolata della propria esistenza, come essere pensante, alla certezza del mondo esterno e di tutte le altre verità (comprese quelle della matematica) è necessario pervenire preliminarmente all'idea di Dio e attribuirle un valore fondativo. Distinguendo fra "idee avventizie" (quelle che al soggetto sembrano "venute dal di fuori"), "fattizie" (quelle formate o trovate dal soggetto stesso) e "innate" (quelle che sembrano nate col e nel soggetto), Cartesio scopre che la nozione di Dio come essere perfetto, eterno, immutabile non può trarre origine né da alcuna cosa finita, né da noi stessi in quanto enti imperfetti: essa si rivela dunque "innata" e non potrà derivare se non da un essere che esista realmente così come è pensato. Ma in questo modo cade anche il dubbio sul Dio ingannatore: la veracità rientra infatti nella perfezione dell'ente infinito. Ne consegue che Dio non farà mai in modo che ci inganniamo, almeno finché ci serviamo di conoscenze evidenti assunte per quel che esse realmente significano (l'errore trae origine non dall'intelletto, bensì da un atto di volontà che ci porta a pronunciare giudizi errati sulle cose). A partire da questa "garanzia" fornita dalla veracità divina, Cartesio procede a dipanare i nodi della sua ontologia: sotto il segno delle idee chiare e distinte, non riconosce nelle cose materiali null'altro che res extensa (sostanza estesa) e le separa in modo netto dall'altro tipo di sostanza, la res cogitans (sostanza pensante), il pensiero. Da ciò deriva anche la conoscenza della distinzione reale di anima e corpo.

Ultima viene la dimostrazione dell'esistenza reale dei corpi. In quanto effetto involontario, la facoltà passiva di ricevere le idee sensibili implica fuori di noi una causa attiva che produca queste idee. Questa causa avrà una realtà effettiva (realtà formale) uguale o superiore alla realtà ideale (realtà oggettiva) di tali idee. Nel primo caso, si tratterà direttamente dei corpi; nel secondo caso, si potrebbe ipotizzare che l'autore sia Dio o una creatura più nobile del corpo. Ma Dio stesso ci ha dato una grande inclinazione a credere che tali idee derivino dai corpi e, poiché non possiamo ritenerlo ingannatore, neppure immagineremo che ci abbia instillato una convinzione da cui saremmo tratti sistematicamente in errore.

La morale

In attesa di riformare radicalmente il metodo del sapere e di applicarlo anche all'etica, Cartesio espone tre regole di morale provvisoria: 1. obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese; 2. perseverare con fermezza e risolutezza nelle azioni intraprese; 3. cercare di vincere e modificare più se stessi che la fortuna. Il tema dell'unione dell'anima con il corpo, problematico in un quadro dualistico, porta successivamente Cartesio, nel trattato Le passioni dell'anima (1649), a delineare un'interpretazione fisiologica delle passioni, che possono essere moderate e ben indirizzate dalla volontà.