Un mondo sempre più popolato

La demografia

Secondo l'UNPFA, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (sito Internet: www.unfpa.org), la Terra ha raggiunto quota 6 miliardi di abitanti il 12.X.1999. Il seimiliardesimo abitante del pianeta sarebbe una bimba nata in India, paese il cui orologio demografico segnala una nuova nascita praticamente ogni secondo (vedi sito Internet: www.cnsusindia.net). Per l'omologo ufficio americano (Census Bureau, sito Internet: www.census.gov.) l'evento sarebbe avvenuto tre mesi prima, il 19.VII. Una divergenza di calcolo ben piccola, tutto sommato, se si guardano le cose in una prospettiva di più ampio respiro. Per capire meglio quello che succede, bisogna fare un passo indietro. Ma prima apriamo una breve parentesi.

  • Lo studio della popolazione

La popolazione umana viene studiata dalla demografia, una disciplina nata in Francia intorno alla metà dell'800, ma i cui inizi si fanno risalire all'" aritmetica politica", fondata in Inghilterra due secoli prima. Già l'attributo "politica" delucida la natura strumentale di questa branca del sapere, che affonda le sue radici ancora più indietro nel tempo fino agli inventari, meglio noti oggi come censimenti, della popolazione periodicamente effettuati da egizi, sumeri e antichi cinesi a scopi essenzialmente fiscali o militari, ossia per prelevare tributi o per reclutare truppe. Comunque sia, la demografia odierna è una scienza raffinata, indispensabile a Stati e organizzazioni internazionali per interpretare e descrivere quantitativamente la popolazione tanto nei suoi aspetti statici, cioè nelle caratteristiche strutturali (ripartizione per sesso, età, stato civile, professione ecc.) da essa possedute in un preciso momento, quanto nei suoi aspetti dinamici, nel suo evolversi, cioè, attraverso nascite, morti, emigrazioni, immigrazioni. Tali caratteristiche sono strettamente interdipendenti, le une costituendo causa delle altre ed essendone a loro volta effetto.

Base della demografia è la statistica, che si avvale di rilevazioni su campioni sufficientemente ampi dell'universo della popolazione considerata, dai quali è in grado di risalire, con buona approssimazione, all'effettiva situazione dei dati, controllati appunto mediante i censimenti.Per quanto i metodi e le procedure d'indagine demografica siano ormai perlopiù standardizzati a livello internazionale, sussistono differenze tra i diversi sistemi nazionali, ciò che spiega, almeno in parte, la discrepanza segnalata sopra.Ma torniamo da dove siamo partiti. Il fatto che si siano raggiunti i 6 miliardi d'abitanti tre mesi prima o tre mesi dopo non fa poi una grande differenza dal punto di vista della lunga durata , ossia delle tendenze demografiche di fondo sul lungo periodo.

  • Il regime demografico

In demografia si definisce popolazione chiusa una popolazione non interessata da movimenti migratori. La popolazione è inoltre considerata stabile se, essendo nulli i movimenti migratori, è sottoposta a un tasso d'incremento naturale costante nel tempo; ed è stazionaria se, sempre nell'ipotesi che sia chiusa, il suo ammontare rimane costante nel tempo.Sia la popolazione stabile, sia quella stazionaria sono modelli teorici, spesso privi di un correlato empirico. In realtà, si è storicamente rilevato che le popolazioni mutano attraverso una successione di stadi , ognuno dei quali caratterizzato da particolari combinazioni della natalità e della mortalità. A tali combinazioni si dà il nome di regimi demografici.

  • Il regime demografico tradizionale

Nell'epoca più remota, caratterizzata dal cosiddetto regime demografico antico o tradizionale, il ritmo di sviluppo di una popolazione è prevalentemente condizionato dal livello della mortalità, governato a sua volta dalle condizioni economiche e ambientali in cui la vita delle popolazioni stesse si svolgeva. Ogni aumento di fecondità, infatti, aggrava la pressione demografica sulle risorse disponibili provocando un incremento della mortalità e riconducendo la consistenza della popolazione più o meno alla situazione iniziale. Tali condizioni si riproducono finché l'uomo non riesce pienamente a controllare le risorse naturali e a provvedere alla tutela della propria integrità fisica. La popolazione mondiale, stimata a 5-10 milioni di unità intorno al 7000-6000 a.C., all'inizio dell'era cristiana si aggira sui 200-400 milioni. Per tutto il primo millennio e fino al XVIII secolo il suo ammontare non subisce apprezzabili variazioni, mantenendo un saldo naturale tra tassi di natalità e di mortalità prossimo allo zero, anche se con un andamento irregolare a causa di epidemie, guerre, carestie ecc (vedi fig.3.1.1).

  • La transizione demografica e il regime moderno

Nel XVIII secolo il miglioramento delle condizioni sanitarie e la rivoluzione industriale, che porta a produrre di più e più rapidamente di quanto cresca la popolazione, inaugurano in Europa un circolo virtuoso fra incremento demografico e risorse disponibili, conciliando l'accrescimento del numero di abitanti con l'aumento della prosperità individuale. Si entra così in un nuovo stadio nella situazione della popolazione, noto come transizione demografica e diviso a sua volta di due fasi.In una prima fase si ha un saldo naturale positivo piuttosto consistente, dovuto essenzialmente all'elevato tasso di natalità. Tale tendenza, iniziata nel XVIII secolo, si dispiega pienamente nel secolo successivo, non più ostacolata dalla scarsità dei mezzi di sussistenza, tanto che nel 1850 la popolazione mondiale raggiunge e supera il miliardo (le stime variano tra i 1.128 e i 1.402 milioni di abitanti).

Verso la fine del XIX secolo la transizione demografica entra in una seconda fase, connotata da un rallentamento del tasso di natalità in Europa occidentale, dove, a partire dal 1870-80, si comincia deliberatamente a limitare le dimensioni della famiglia. Le minori nascite sono tuttavia più che compensate dalla forte diminuzione del tasso di mortalità, tanto che l'incremento medio della popolazione passa da un tasso dello 0,6%, nel decennio 1851-60, a un tasso vicino all'1%, nel decennio 1891-1900. Tale fenomeno s'accentua col progredire dell'industrializzazione e l'avvento dei consumi di massa, i cui effetti sociali (inurbamento, tramonto della famiglia allargata, maggiori costi per l'educazione dei figli e per il mantenimento delle persone anziane) segnano nei paesi economicamente più avanzati il passaggio al regime demografico moderno. I tratti caratterizzanti di questo nuovo stadio sono la cosiddetta crescita zero, rappresentata da un calo del tasso di natalità tale da eguagliare quello di mortalità fino talvolta a raggiungere un saldo naturale negativo, e la corrispondente tendenza all'invecchiamento della popolazione a causa dell'insufficiente ricambio generazionale. Come si può vedere dalla cartina (fig. 3.1.2), il regime moderno è stato raggiunto dal Nord del pianeta e dalla maggior parte delle economie in transizione, toccando anche alcuni paesi dell'emisfero Sud (Argentina, Uruguay, Cina, Thailandia). I restanti paesi in via di sviluppo si trovano in generale allo stadio di transizione, seppur in diverse fasi.