La saggistica e la storiografia

Thomas Carlyle

Thomas Carlyle (1795-1881) attaccò la tradizione liberale vittoriana, criticando la democrazia e la nuova civiltà industriale; influenzato dall'idealismo tedesco, elaborò uno stile retorico originale, diventando uno dei "profeti" inglesi.

La vita e gli esordi letterari

Scozzese di fede calvinista (incline a una certa severità di giudizio), frequentò l'università di Edimburgo. La lettura di filosofi e scettici del Settecento lo orientò verso una concezione scettica della vita, che lo allontanò completamente dal calvinismo e dal cristianesimo (e dalla carriera ecclesiastica a cui era destinato) e lo fece convertire a una nuova forma di spiritualismo etico e teistico, incompatibile con le soluzioni utilitaristiche che esaltavano il progresso vittoriano. Visse come precettore e traduttore dal tedesco e, trasferitosi a Londra nel 1834, nonostante il successo letterario fece vita appartata con la moglie, circondato da pochi amici. La sua carriera letteraria cominciò traducendo Goethe, Schiller, Novalis, Jean Paul Richter, su cui scrisse numerosi saggi critici. L'influenza di Goethe, Richter e Fichte è ben visibile nella sua prima opera, Sartor resartus (Il sarto rappezzato, 1833-34), lavoro composito tra il saggio, la disquisizione filosofica e l'autobiografia spirituale, pubblicato a puntate. Attraverso il racconto della vita e delle opinioni dell'immaginario, eccentrico professore tedesco di "cose-in-generale" Herr Teufelsdrockh, Carlyle, nella forma di una semiseria filosofia dei vestiti, espone un proprio sistema secondo cui, come il corpo è solo il vestito dell'anima e il mondo fisico l'indumento di Dio, così tutte le istituzioni e i costumi degli uomini sono semplicemente il mantello temporaneo dell'"Idea sociale", una condizione ideale di società di cui egli lamenta l'assenza in quel tempo.

Tutte le problematiche accennate in Sartor resartus furono poi affrontate nei successivi saggi e opere di critica sociale che con vigore e sarcasmo attaccavano il materialismo, l'utilitarismo e l'egoismo dell'uomo moderno. Carlyle con profonda intuizione prevedeva i conflitti sociali che avrebbe portato con sé la rivoluzione industriale, sempre più convinto che la democrazia non avrebbe funzionato.

Il culto dell'eroe

La sua concezione politica, che respingeva parlamentarismo, costituzionalismo e liberalismo, lo condusse al culto per l'eroe, l'individuo superiore che sa condurre le nazioni a fare ed essere qualcosa di grande. Nei saggi, concepiti come conferenze, Heroes and heroworship (Eroi e culto degli eroi, 1841) egli definì l'eroe come divinità (gli dei della mitologia nordica), come profeta (Maometto), come poeta (Dante e Shakespeare), come sacerdote (Lutero e Knox), come letterato (Johnson, Rousseau e Burns) e come re (Cromwell, Napoleone).

L'idea aristocratica dell'eroe, il leader mandato dal cielo, è rintracciabile anche nelle opere storiche di Carlyle: The French revolution (La rivoluzione francese, 1837), la sua opera più impegnativa, Oliver Cromwell's letters and speeches (Lettere e discorsi di Oliver Cromwell, 1845) e The history of Frederick the Great, in sei volumi, (La storia di Federico il Grande, 1858-65), interpretazioni mistiche e volontaristiche della storia.

Nel saggio Past and present (Passato e presente, 1843) egli mostrò chiaramente il proprio rifiuto dello spirito dell'Inghilterra contemporanea, "una situazione storica, politica e morale tra le più discutibili, scottanti e indegne".