La poesia fra Ottocento e Novecento

La grande forza dei due maggiori poeti dell'Ottocento, W. Whitman e E. Dickinson, si fece sentire solo nel Novecento, in quanto la loro opera fu assorbita assai lentamente dai lettori americani. Anche la poesia di Herman Melville, che riconfermava le tematiche affrontate nelle prose, non destò particolare interesse fino agli anni Venti del Novecento. Il pubblico americano leggeva, infatti, un tipo di poesia meno impegnativa, quella dei cosiddetti fireside poets, i "poeti del caminetto", che, lontani da una sensibilità radicale, offrivano contenuti e temi non lontani dal sentire comune. La loro poesia godette a lungo del favore generale e venne stampata nei libri di scuola e nelle antologie, perché con la sua funzione di intrattenimento e conforto non conteneva nulla che potesse turbare le coscienze.

Immensamente popolare ai suoi tempi fu il poeta Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882), docente di lingue e letterature romanze e germaniche a Harvard. La sua traduzione della Divina commedia (1867) fu condotta con spirito di "devota ammirazione". Autore di prosa e di teatro, fu soprattutto un notevole versificatore, pur con qualche caduta nel sentimentale e nel moralistico: il poemetto in prosa Evangelina (1847) raccontava in esametri classici una vicenda della guerra anglofrancese in terra americana; Hiawatha (1855) esaltava, con toni romantici e nei metri dell'epica ugrofinnica, figure e aspetti di vita indiana; una sua famosa antologia fece conoscere un buon numero di "voci" europee.

Al gruppo appartennero anche Oliver Wendell Holmes (1809-1894), autore di argute prose saggistiche, di retrodatato stampo settecentesco, e garbato versificatore (poesie d'occasione nei salotti di Boston) e lo scrittore e critico James Russell Lowell (1819-1891), successore di Longfellow sulla cattedra di Harvard e poi ambasciatore in Spagna e Inghilterra, autore di numerose raccolte poetiche, fra cui Biglow papers (Il carteggio Biglow, 1848), lettere in versi incentrate sulla polemica antischiavista.

Edwin Arlington Robinson

Edwin Arlington Robinson (1869-1935), discendente della poetessa puritana A. Bradstreet, fu il principale poeta fra quelli a cavallo tra Ottocento e Novecento. La sua opera continuò per certi versi la tradizione dei fireside poets, ma per altri, come per esempio la qualità drammatica e non lirica dei versi, anticipò caratteristiche della poesia successiva. Robinson professava polemicamente il suo antimaterialismo e quello che nella narrativa naturalistica fu il determinismo sociale e biologico tornò a essere nella sua poesia "il destino". Benché sia possibile notare in lui un collegamento con Emerson (il quale aveva affermato: "Ogni qualvolta sono debole parlerò del Fato"), tuttavia in lui la self-reliance emersoniana diventò filosofia della disperazione, stoicismo. Pubblicò nel 1896 il suo primo volume di versi, The torrent and the night before (Il torrente e la notte prima). Seguirono, fra gli altri, Children of the night (Figli della notte, 1897), Captain Craig (Il capitano Craig, 1902) e The man against the sky (L'uomo contro il cielo, 1916), che raggiunge il vertice nel trattare la tragicità dell'esistenza umana. Robinson fu molto abile nell'uso dei metri e dei ritmi, anticipando in alcuni suoi motivi la poesia di Robert Frost.