Tertulliano e l'apologetica cristiana

Tertulliano

Tertulliano è il più geniale e poliedrico scrittore della letteratura cristiana prima di Gerolamo e Agostino. Autore della più brillante apologia dell'antichità, per il vigore passionale dello stile e per le serrate dissertazioni giuridiche, influenzò gli apologisti successivi, con particolare riferimento al delicato problema dei rapporti tra Stato e Chiesa.

La vita

Quinto Settimio Fiorente Tertulliano nacque tra il 155 e il 160 a Cartagine, vivo centro culturale africano. Figlio di un centurione della coorte proconsolare, in gioventù fu pagano come il padre e avverso al cristianesimo. Ebbe un'accurata educazione retorica, formata sui testi letterari e filosofici degli autori classici; acquisì un'ottima conoscenza del greco, tanto da scrivere correttamente in tale lingua opere originali e traduzioni. Possedette anche una profonda cultura giuridica ed esercitò la professione forense in Africa e a Roma. Si convertì al cristianesimo in età matura, intorno al 195, per motivi non precisabili, forse perché colpito dalla serenità con cui i cristiani affrontavano il martirio. Si sposò e, secondo la testimonianza di Girolamo, divenne sacerdote. Nel 213 ruppe con la Chiesa e aderì al movimento eretico di Montano (montanismo), di cui condivise le concezioni dogmatiche e soprattutto il rigorismo e l'intransigenza morali. Verso la fine della vita si staccò dal montanismo per fondare la setta ancora più estremista, chiamata, dal suo nome, dei Tertullianisti. Incerta è la data della sua morte, che non è collocabile prima del 220, anno in cui risalgono le ultime notizie che lo riguardano; Gerolamo, comunque, la colloca nel 240.

Le opere di argomento apologetico

Negli scritti apologetici la rivendicazione della libertà religiosa e la giustificazione della dottrina cristiana avviene attraverso lucidissime argomentazioni giuridiche e un temperamento passionale che si esprime nei toni ironici e sarcastici più pungenti. Ad nationes (Ai popoli) del 197, in 2 libri, è una violenta requisitoria contro i pagani, che perseguitano i seguaci della nuova religione oltre i limiti delle leggi; ritorce contro di loro le accuse di immoralità e di lesa maestà che essi addossano ai cristiani. Dello stesso anno e sullo stesso argomento, ma non più indirizzato globalmente ai "gentili", cioè ai pagani, bensì ai governatori imperiali delle province, responsabili delle persecuzioni e dei processi contro i cristiani, è l'Apologeticum (Apologetico) in 50 capitoli, considerato il suo capolavoro. Un'appassionata e fervida difesa di un neofita, secondo le regole retoriche del tempo, della nuova fede e insieme decisa affermazione della sua superiorità sul paganesimo, che presenta diversi punti di contatto con l'Octavius di Minucio Felice. Databili al 197 sono pure il De testimonio animae (La prova dell'anima), che sviluppa il tema, già presente nell'Apologeticum, dell'anima umana che è naturaliter cristiana, cioè naturalmente incline a recepire il messaggio del cristianesimo, e Ad martyras (Ai martiri), lettera consolatoria indirizzata ai cristiani incarcerati a Cartagine, durante la persecuzione del 197; e infine ultimo degli scritti apologetici Ad Scapulam (Contro Scapula) del 212 nel quale minaccia l'ira divina contro Scapula, governatore d'Africa persecutore dei cristiani; i cristiani si appellano a Dio di fronte al quale gli uomini non possono e non potranno mai nulla.

Le opere di argomento dottrinale

Tra le opere di carattere dottrinale le più notevoli sono Adversus Marcionem del 207, confutazione dell'eresia gnostica di Marcione che contrapponeva il Dio dell'Antico Testamento a quello del Nuovo, rivelatosi nel Cristo; Adversus Hermogenem, scritto tra il 200 e il 205, in cui confuta la dottrina del filosofo Ermogene che aveva sostenuto l'eternità della materia. Pure contro gli eretici sono: Adversus Valentianos, contro gli gnostici seguaci del filosofo Valentino; Adversus Iudaeos, contro i giudei del Sinedrio; De praescriptione haereticorum (Le eccezioni pregiudiziali contro gli eretici), del 200 circa, in cui sostiene che la fede cristiana ha valore cattolico, cioè universale; De carne Christi e De resurrectione, contro il docetismo che negava la realtà corporea del Cristo e la resurrezione della carne.

Le opere di argomento morale

Il gruppo più consistente degli scritti, di cui è incerta la cronologia, verte su argomenti di carattere morale, ascetico e disciplinare. Nel De spectaculis (Gli spettacoli) lo scrittore invita i fedeli a non frequentare gli spettacoli teatrali e circensi, in quanto pagani, immorali e fonte di corruzione; nel De ieiunio adversus Psychicos (Digiuno contro i cattolici) esalta il rigoroso ascetismo contro le tendenze moderate della chiesa di Roma, sostenendo l'importanza del digiuno, pratica seguita dai montanisti e ignorata dai lassisti (gli "psichici", appunto, cui si contrappongono gli "pneumatici", fedeli allo Pneuma o Spirito); nel De oratione esorta alla preghiera con una spiegazione del Padre nostro. Interessanti come specchio della vita del tempo, oltre che come espressione della violenta misoginia di Tertulliano, sono De cultu feminarum (Dell'abbigliamento femminile), in 2 libri, contro il lusso delle donne, la cui ricercatezza nell'abbigliamento e nella cura della persona sono indice di vanità; De virginibus velandis, in cui si sostiene il dovere per le vergini cristiane di velarsi in pubblico, perché sono spose di Cristo; Ad uxorem (Alla moglie) è un invito indirizzato alla moglie a mantenersi casta dopo la morte del primo marito. De exortatione castitatis (Esortazione alla castità), De monogamia (Sulla monogamia) e De pudicitia (Sulla castità) trattano i problemi della sessualità e della vita matrimoniale e, con intransigenza montanistica, si condannano come adultere le vedove che passano a seconde nozze, pretendendo dalle donne una vita di rinuncia che richiederebbe la spiritualizzazione del corpo. Nel De pallio, il più breve degli scritti, l'autore giustifica il proprio rifiuto a indossare la toga romana, optando per il mantello greco (il pallio appunto) proprio dei filosofi; per alcuni critici l'operetta indicherebbe la sua conversione al cristianesimo, per altri al montanismo. L'ostilità radicale verso il mondo pagano si accentua in una serie di scritti: nel De corona militis (La corona del soldato), sull'importante problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, Tertulliano sancisce il divieto per il cristiano di servire nell'esercito pagano ("Sarà permesso avere a che fare con la spada, se il Signore afferma che morirà di spada chi avrà usato la spada"?); nel De idolatria (L'idolatria), si vieta tassativamente ai cristiani ogni partecipazione alla vita pubblica, ogni professione, persino quella del maestro, perché comporta un coinvolgimento con il mondo e la cultura pagana e, pertanto, con le pratiche idolatre; nel De fuga in persecutione (Sulla fuga durante la persecuzione) in cui proclama l'obbligo per il cristiano di non sottrarsi alla persecuzione, voluta da Dio per la purificazione dei peccati.

La difesa del cristianesimo

Le opere dogmatiche di Tertulliano svelano la lucidità tagliente del polemista vigoroso, quelle morali sono l'espressione di un rigorismo che è stato considerato ai limiti del fanatismo. Sono però gli scritti più propriamente apologetici a riflettere gli aspetti più validi della personalità dello scrittore. Mettendo la sua cultura giuridica e la sua passione di credente al servizio della difesa del cristianesimo, Tertulliano ritorce contro il paganesimo l'accusa di iniquità e di superstizione in forza della quale venivano condannati i martiri. I processi contro i cristiani, assolutamente infondati sul piano giuridico, dimostravano come non fosse loro imputabile alcun crimine, ma solo l'aperta confessione della propria fede. La difesa del cristianesimo diviene, oltre che l'orgogliosa affermazione della propria identità umana e spirituale, un atto di accusa implacabile contro il mondo pagano. La schiera numerosa dei martiri di Cristo, lungi dal proporre un'immagine di debolezza della nuova fede, è lo strumento più grande e il pegno più manifesto della sua prossima, inevitabile diffusione. Per esprimere questi concetti l'autore usa uno stile personalissimo e una lingua di straordinaria potenza drammatica, tesa, concentrata e talora difficile fino all'oscurità, diversa da quella della cultura del tempo e da quella del contemporaneo Minucio Felice. Il periodo si impenna in immagini ardite e si spezza nel gioco frequente delle interrogative e delle esclamazioni retoriche. Il lessico è composito e alterna echi classici e arcaismi con vivaci espressioni di origine plebea, con termini tecnici giuridici e con la prosa solenne delle reminiscenze bibliche.