Introduzione

Nei primi cinque secoli della sua storia Roma non produce nulla di specificatamente letterario, ma solo embrionali forme artistiche anonime e orali, di cui restano scarsi documenti di difficile interpretazione. Alla metà del III secolo a.C., per influenza della cultura ellenistica dell'Italia meridionale, ha inizio la letteratura vera e propria con la rappresentazione teatrale di un dramma di Livio Andronico. Il contemporaneo Nevio introduce il poema epico con l'argomento storico della prima guerra punica e il commediografo Plauto, nella sua produzione comica di matrice greca, diffonde gusto e atmosfere tipicamente romane. Ennio, il primo e più insigne poeta del periodo arcaico, nei suoi Annales estende agli avvenimenti a lui contemporanei la materia epica già trattata da Nevio, sostituisce il metro esametro al saturnio e scrive Saturae, un genere che avrà larga fortuna nei secoli successivi.
A opera del cosiddetto circolo degli Scipioni si ampliano i rapporti con la cultura e la filosofia greca e si definisce il concetto di humanitas, intesa come dignità dell'uomo, amore per la cultura, necessità di rapporti rispettosi della personalità altrui. Al circolo sono legate personalità quali il commediografo Terenzio e il poeta Lucilio. A questa ellenizzazione della cultura romana si oppongono vigorosamente tradizionalisti, come Catone il Censore, in nome del mos maiorum, delle usanze degli antenati fatte di disciplina intransigente, parsimonia e dedizione al lavoro. Gli ultimi esponenti della rappresentazione tragica in età arcaica sono Pacuvio e Accio.