Ennio e i suoi continuatori

La tragedia dopo Ennio

Anche Pacuvio e Accio, i poeti tragici continuatori di Ennio, si ispirano ai grandi modelli greci, rielaborandoli con grande originalità. Cicerone li apprezzava come drammaturghi, ma ne deplorava la lingua, troppo magniloquente, piena di costrutti artificiosi e di audaci grecismi. Entrambi ricercano effetti patetici e introducono trame romanzesche e, soprattutto Accio, risvolti orridi e truci. Lucio Accio è l'ultimo dei grandi tragici: dopo di lui la tragedia decade. Del resto il grande pubblico preferiva altri generi di intrattenimento, come l'atellana, il mimo o i combattimenti di gladiatori.

Pacuvio

Marco Pacuvio nacque a Brindisi nel 220 a.C. Libero di nascita, figlio di una sorella di Ennio, fu introdotto dallo zio nell'ambiente ellenizzante degli Scipioni. Oltre che poeta fu anche pittore: secondo Plinio il Vecchio dipinse le pareti del tempio di Ercole nel Foro Boario. Morì novantenne (130) a Taranto, città in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita. Non è rimasto nulla delle sue Saturae (Le satire) che, probabilmente, avevano temi e metri vari, come quelle di Ennio. Divenne famoso come autore di cothurnatae, tragedie di argomento greco, in cui pare prevalesse l'influsso di Euripide.

Della sua produzione rimangono 12 titoli, che indicano una predilezione per il ciclo troiano: Antiopa (Antiope), Armorum iudicium (Il giudizio delle armi), Chryses (Crise), Dulorestes (Oreste schiavo), Hermione (Ermione), Iliona (nome di una figlia di Priamo), Niptra (Il bagno), Teucer (Teucro), Atalanta, Periboea (Peribea), Pentheus (Penteo), Medus (Il persiano) e frammenti per circa 450 versi. Di soggetto romano era invece la praetexta Paulus (Paolo), che celebrava Lucio Emilio Paolo vincitore a Pidna (168) dell'ultimo re di Macedonia Perseo. Le sue tragedie furono rappresentate per tutto il periodo repubblicano, ma Cicerone e Marziale lo giudicarono severamente accusandolo di scarsa padronanza della lingua.

Accio

Lucio Accio (170-85 ca a.C.) è il più famoso autore latino di tragedie, nacque a Pesaro nel 170 a.C. da genitori liberti e visse a Roma dove si legò a Decimo Giunio Bruto Gallego e all'aristocrazia tradizionalista, estraneo quindi al "circolo scipionico". Nel 140, fece un viaggio in Asia Minore, forse a scopo di studio. Di carattere fiero e ambizioso, entrò in competizione con Marco Pacuvio e Gaio Lucilio . Dominò la scena teatrale fino alla morte, avvenuta a Roma (84 a.C.) un anno dopo aver conosciuto il giovane Cicerone. Acquistò fama soprattutto come autore di cothurnatae, di cui rimangono 45 titoli. Attinse al ciclo troiano (Achilles, Achille; Armorum iudicium, Il giudizio delle armi; Hecuba, Ecuba; Astyanax, Astianatte; il figlio di Ettore, ecc.), a quello spartano (Aegisthus, Egisto; Atreus, Atreo; Clytaemnestra, Clitennestra; Chrysippus, Cresippo ecc.) e a quello tebano (Antigones, Antigone; Phoenissae, le Fenice; Alphesiboea, Alfesibea, ecc.). Accio manifestò una chiara preferenza per le vicende romanzesche, sanguigne e sinistre, pennellate a tinte fosche, con personaggi grandiosi, straripanti di energia.

Il ripetersi degli stessi titoli nelle tragedie dei vari autori induce a ritenere che gli stessi gareggiassero tra loro nel trattare il medesimo argomento con maggiore originalità. Sono noti i titoli di due sole praetextae: Brutus, rappresentato nel 136 e Decius. Di tutta la sua vasta produzione sono pervenuti frammenti per circa 750 versi, che presentano quadri dal forte impatto emotivo, come i tori svegliati al mattino presto per i lavori sui campi o la grandiosa descrizione di una nave fatta da un contadino.

Accio possedette una notevole capacità di invenzione linguistica, con termini altisonanti, dotti e arcaici, un tono spesso sentenzioso, uno stile originale, solenne e vigoroso, arricchito da preziose figure retoriche, come parallelismi e allitterazioni. Uomo con molteplici interessi si cimentò anche nell'epica, componendo gli Annales (Annali) in esametri, nella critica letteraria con i Didascalica e i Pragmaticon libri. Per i suoi studi grammaticali e ortografici Varrone gli dedicò l'opera De antiquitate litterarum.