Il periodo delle origini

Il verso saturnio

Il saturnio, l'unico verso usato nella poesia latina arcaica, prende il nome dal dio Saturno che, secondo il mito, si era rifugiato nel Lazio dopo la cacciata dal cielo; è detto anche faunio, in onore di Fauno, il dio indigeno che lo avrebbe inventato. Il poeta Ennio scrive che gli antichi canti erano in saturni e che a questo verso ricorrevano i vati e i fauni, intendendo forse così indicare il suo uso nei canti della tradizione religiosa e agreste. È un verso imprevedibile, dalla struttura estremamente fluida sulla cui natura gli studiosi non sono unanimi: ha un ritmo quantitativo, costruito cioè secondo una precisa successione di sillabe lunghe e brevi, oppure accentuativo, basato cioè su una determinata alternanza di sillabe toniche e sillabe atone, oppure, ancora, quantitativo e accentuativo insieme. Il fatto è che nei pochi versi pervenuti, circa duecento tra epigrafici e letterari, non si riscontrano due saturni uguali. È probabile comunque che nei primi secoli il verso avesse un ritmo accentuativo di origine indoeuropea, e successivamente, in fase soprattutto letteraria, diventasse quantitativo, perché più adatto alla natura della lingua latina. Già nel I sec. d.C. il grammatico Cesio Basso sosteneva fosse quantitativo: composto da due membri o cola che formano un dimetro giambico catalettico e da un itifallico o tripodia trocaica; aggiungeva però che aveva trovato un solo verso formato così. Usato a lungo nei secoli delle origini, il saturnio fu adottato in letteratura da Livio Andronico e da Nevio e poi scomparve per sempre, sostituito dall'esametro di origine greca, forse perché troppo irregolare per il gusto sempre più raffinato degli autori.