Ovidio

La vita

Publio Ovidio Nasone (Sulmona 43 a.C.-Tomi, Mar Nero 17 d.C.) nacque da una ricca famiglia appartenente al ceto equestre. A 12 anni venne inviato con il fratello a Roma, dove frequentò le scuole dei retori più famosi del tempo, Arellio Fusco e Porcio Latrone. Completò la sua formazione ad Atene, come tutti i giovani di buona famiglia; in seguito visitò l'Asia Minore, l'Egitto e la Sicilia. Tornato a Roma, iniziò, come era desiderio dei genitori, la carriera pubblica, limitandosi tuttavia a magistrature minori, con il compito di far eseguire le pene capitali e risolvere le cause di cittadinanza. Ma la politica non faceva per lui: Ovidio amava la vita brillante e la poesia, alla quale si dedicò interamente.

Nel circolo di Messalla Corvino

La facilità a comporre versi si era svelata fin dal suo arrivo a Roma: com'era di moda li recitava con successo in pubblico. Questo talento lo portò a entrare nel circolo culturale di Valerio Messalla Corvino. Frequentò i migliori poeti del tempo, da Orazio a Properzio e a Tibullo; conobbe, anche se solo marginalmente, Virgilio. Aveva già composto una tragedia, Medea, ora perduta, ma fu la pubblicazione delle prime sue elegie amorose, gli Amores e le Heroides, che gli procurò immediatamente, a circa trent'anni, un largo successo, facendolo diventare il poeta prediletto degli ambienti mondani, interprete della loro vita elegante e disimpegnata, lontana ormai dai travagli delle guerre civili. Seguirono l'Ars amatoria, i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. Successivamente, dopo la morte di Messalla nel 3 d.C., Ovidio cambiò la sua produzione, dedicandosi, con i Fasti e le Metamorfosi, a una poesia meno frivola e più impegnata. Si sposò tre volte, ma solo l'ultimo matrimonio, con Fabia, fu duraturo.

L'esilio a Tomi

La vita di Ovidio cambiò radicalmente nell'8 d.C., quando Augusto lo relegò a Tomi (oggi Costanza), luogo inospitale sul Mar Nero e lontanissimo dalla vita agiata di Roma, senza il conforto della famiglia e degli amici. I motivi di questo provvedimento, che fu un soggiorno obbligato più che un vero e proprio esilio, dato che non ci fu un processo, non sono accertabili con precisione: lo stesso Ovidio attribuisce la causa a duo crimina, carmen et error (due colpe, una poesia e un errore). Il carmen era forse l'accusa di immoralità mossa alla sua Ars amatoria (che, tuttavia, al tempo del confino, era già stata pubblicata da molti anni), e l'error era probabilmente un coinvolgimento del poeta nello scandalo che travolse la nipote di Augusto, la spregiudicata Giulia Minore (19 a.C.-28 d.C.). I suoi libri furono tolti dalle biblioteche. A Tomi Ovidio scrisse i Tristia, le Epistulae ex Ponto e l'Ibis. Tutti i tentativi di ottenere la grazia, suoi e della moglie, teneramente amata, furono respinti da Augusto. Nel vuoto caddero anche, dopo la morte di Augusto (14 d.C.), le speranze di clemenza poste in Germanico e in Tiberio. Morì a Tomi e lì fu sepolto, nonostante il suo desiderio di essere sepolto a Roma.