Approfondimenti

L'ultima parola di Hölderlin

La poesia di Friedrich Hölderlin (1770-1843) è divenuta essenziale nella consapevolezza poetica del pieno Novecento come incunabolo di una poesia strappata ai margini dell'indicibile e del non figurabile, una poesia che in ogni punto deve prima di tutto ricostituire la possibilità stessa del suo farsi, facendo leva proprio sulla necessità di scandagliare le nude categorie dell'essere e del divenire. Essa è stata sempre più recepita come esperienza di un confine del dire, al di là del quale di fronte alla coscienza poetica del Novecento si sarebbero delineate nuove modalità di sempre più rarefatta verbalizzazione dei procedimenti di accesso dell'uomo a stratificazioni sempre più remote del nostro esistere. [...] Oggi un simile approccio alla poesia di Hölderlin rimane presupposto essenziale nella catena della recezione di cui il lettore dei nostri giorni è l'estremo anello, ma rivela a lungo andare sempre più il suo carattere di lettura storicamente legata a una prospettiva delimitata, che evidentemente non avvertiva il bisogno di cogliere in tutta la sua complessità quel fenomeno poetico. [...] Hölderlin uomo e poeta è arrivato a un certo momento, tra il 1803 e il 1806, a un nuovo confine, ben diverso da quello che ne aveva fatto un possibile modello della novecentesca poesia come margine dell'indicibile. [...] Al di là del silenzio della poesia mitica, si leva una voce nuova di Hölderlin, per noi non meno, anche se diversamente, essenziale. [...] Il lettore ormai o si imbatte solo nelle schegge di una soggettività nuda, sradicata da ogni contesto o, più spesso, si trova coinvolto, perplesso e affascinato, in un mondo in cui ogni parola è senza sforzo affioramento all'immagine di quella trama elementare che non è più tempo storico e soggettivo, ma memoria istantanea e puramente visiva del manifestarsi della ritmata costanza dell'essere.

L. Zagari, La città distrutta di Mnemosyne. Saggi sulla poesia di Friedrich Hölderlin, ETS, Pisa 1999, pp. 11-15.