Pionieri del jazz

Sugli albori del jazz a New Orleans vi sono molte leggende, ma nessun documento sonoro. Pare che la musica delle bande cittadine fosse stata trasformata in jazz per opera di alcuni grandi solisti di cornetta (B. Bolden, B. Johnson). Ai primi del nuovo secolo, New Orleans produsse due figure di sicuro genio: J. Roll Morton, compositore dalla vita picaresca, e King Oliver, maestro del jazz collettivo. Tuttavia, il primo disco di jazz (1917) fu inciso per caso da un quintetto di bianchi, l'Original Dixieland Jazz Band, il cui valore è tuttora discusso.

Dal 1923 la discografia jazz si fece più ricca e ci mostra l'espansione del jazz a Chicago, New York, Kansas City; mentre New Orleans, abbandonata dai suoi eroi, si impoverì. È questo il periodo classico del jazz. Con L. Armstrong e S. Bechet il jazz di New Orleans toccò il culmine e morì, trasformandosi in uno stile nuovo, più solistico e aggressivo; con F. Henderson e D. Ellington si delineò il linguaggio dell'orchestra jazz. I bianchi trovarono questa musica elettrizzante, ma non la capirono: per loro fu solo un nuovo genere ballabile. Deliravano per le goffe orchestre "ritmo-sinfoniche": specie per P. Whiteman, che, commissionando a G. Gershwin la pur splendida Rhapsody in Blue, diffuse colossali equivoci sul jazz. Il maggior solista bianco del periodo fu Bix Beiderbecke, introverso poeta della cornetta.

Jelly Roll Morton

Ferdinand Joseph La Menthe, conosciuto come Jelly Roll Morton (Gulfport, Louisiana 1885 o 1890 - Los Angeles 1941), personalità fra le maggiori e più singolari della storia del jazz (egli stesso si attribuiva, con altri meriti, l'"invenzione" di tale musica), fu un avventuriero e non fece mai nulla per nasconderlo. Fu venditore di brevetti farmaceutici contraffatti, di ferri per stirare e rinforzare i capelli ricci, sfruttatore di donne, incallito scommettitore, attore e cantante. Eppure fu anche un genio: fu uno dei primi grandi compositori del jazz, un esemplare e squisito cultore della forma, nonché uno dei suoi rarissimi teorici. A suo modo, Roll Morton fu uomo d'avanguardia e, in maniera davvero unica, diede un ordine, una disciplina allo stile proprio della sua città, attraverso registrazioni insuperate e insuperabili. Pianista eminente, dotato di uno stile asciutto e deciso derivato dal ragtime, ebbe ottime qualità di direttore d'orchestra e di compositore.

Roll Morton iniziò la carriera alla fine del XIX secolo nei locali notturni di New Orleans e dal 1905 compì numerose tournée pionieristiche attraverso gli Stati Uniti, contribuendo in modo determinante alla diffusione delle espressioni primigenie del jazz. Nel 1926 fondò il suo complesso migliore, i Red Hot Peppers, con cui effettuò la maggior parte delle proprie incisioni fonografiche. Quattro anni dopo, ridotto quasi in miseria, cessò ogni attività.

King Oliver

Autodidatta di umili origini, Joseph Joe, detto King, Oliver (Abend, Louisiana 1885 - Savannah, Georgia 1938) suonò con varie bande di New Orleans prima di imporsi (1914) come il miglior cornettista della città. Era così famoso che, quando si trasferì a Chicago (1920), finì col suonare con due diverse orchestre nella stessa sera (dalle 21.30 alle 0.30 e dalla 1 alle 4 del mattino). Qui fondò la Creole Jazz Band, con cui incise (1923) quei massimi capolavori della musica di New Orleans che, secondo gli storici, datano la nascita del jazz, o perlomeno il passaggio dalla sua "preistoria" alla storia. Si tratta di pezzi che colpiscono ancora oggi per la vitalità creativa e il senso di freschezza emanati dalla Creole Jazz Band, la quale sembra mostrare, più di ogni altro gruppo dell'epoca, il meglio della scuola di New Orleans nel campo dell'improvvisazione d'assieme. Nel 1924 il suo protetto L. Armstrong e altri lo abbandonarono; Oliver costituì allora i Dixie Syncopators, dignitoso compromesso tra il più profondo stile New Orleans e le orchestre da ballo in voga. Orgoglioso e non abile negli affari, Oliver perse buone offerte di lavoro; ridotto in indigenza, morì dimenticato. I dischi che ci restano sono per lo più male incisi: vi si percepisce solo un'ombra della poderosa sonorità di Oliver, capace di piegare la cornetta, specie con la sordina, a sonorità umane, talora di viscerale, straziante espressività.

James P. Johnson

Di famiglia povera, autodidatta, James Price Johnson (New Brunswick, New Jersey 1894 - New York 1955), il più grande tra i jazzisti meno conosciuti, o, se si preferisce, il più sconosciuto tra i grandi, iniziò a suonare in feste da ballo. Studiò poi con B. Giannini; divenuto un virtuoso atleta della tastiera, prese a comporre brevi rag (1917).

Suo grande merito fu riuscire a immettere l'improvvisazione nel ragtime, trasformandolo in jazz: i suoi primi capolavori (Carolina Shout, Keep off the Grass) ne fecero il leader della scuola pianistica di Harlem. Carolina Shout può essere considerato il manifesto estetico di Johnson: un clima sovraeccitato e febbrile, in cui aspri mozziconi melodici di carattere folk gridano e si rispondono, affiorano e scompaiono, sommersi da una pulsazione implacabile. Egli si dedicò poi al teatro leggero: il suo primo successo, Runnin' Wild (1923), con il celeberrimo "Charleston", lanciò la voga di questa danza in tutto il mondo. Johnson incise dischi accompagnando grandi cantanti (B. Smith, E. Waters) e come solista (riffs) e compose anche pagine sinfoniche il cui linguaggio si avvicina a quello del jazz (Harlem Symphony, Yamekraw, Jasmine Concerto). Fu autore anche di opere. Colpito da paralisi, morì dimenticato. Artista austero, senza compromessi, dall'inventiva aspra e ritmica, Johnson è un alto esponente della musica nera: F. Waller, D. Ellington, G. Gershwin lo considerarono loro maestro.

L'"imperatrice" del blues: Bessie Smith

Elisabeth "Bessie" Smith (Chattanooga, Tennessee 1894 - Clarksdale, Mississippi 1937), soprannominata l'Imperatrice, fu la più grande cantante di blues. Di umilissime origini, da ragazza cantò e ballò in piccole compagnie teatrali del Sud. Dal 1923 incise dischi e conquistò fama nazionale presso il pubblico nero. Osannata come una dea, prese parte a numerose riviste e al film sonoro St. Louis Blues (1929); ma poi la crisi economica, i mutati gusti del pubblico e l'abuso di alcol la gettarono nell'oblio. Nel 1930 cessò di incidere; fu richiamata solo nel 1933 per un'ultima incisione discografica. Morì in un incidente stradale. Dotata di una voce grave, ampia e maestosa, cantò le gioie e le tragedie della sua gente con pathos poderoso. I suoi 160 dischi sono una sorta di ciclo epico della gente di colore. Con lei incisero i maggiori solisti di jazz: tra gli altri, L. Armstrong, J. Smith, J. P. Johnson e C. Green.

Sidney Bechet

Sidney Bechet (New Orleans 1897 - Garches 1959), nato ultimo di sette fratelli in una famiglia creola benestante, imparò da autodidatta a suonare quasi tutti gli strumenti del jazz, con preferenza per il clarinetto e soprattutto per il sassofono soprano. Incominciò a farsi apprezzare nel 1923 con i Blue Five di C. Williams, quindi si recò più volte in Europa, dove già nel 1919 aveva favorevolmente impressionato il direttore d'orchestra E. Ansermet. Tornato negli Stati Uniti, suonò con la formazione di N. Sissle e diresse numerosi complessi propri. Dopo la seconda guerra mondiale si stabilì a Parigi, dove divenne l'idolo di migliaia di ammiratori, senza incorrere in quelle riserve di ordine critico che pure, forse, le sue prove degli anni Cinquanta (ma già le ultime della sua permanenza in America) avrebbero giustificato e richiesto per la loro ricerca del facile consenso.

Bechet fonde in maniera assolutamente personale la perentorietà della cornetta e la vocazione decorativa del clarinetto: in sintesi, questa è la sua originalissima estetica strumentale, che esibiva con straordinaria inventiva melodica, ricchezza di fraseggio, lucidità nell'articolazione del linguaggio solistico e naturale predisposizione ritmica.

Bix Beiderbecke

Nato da famiglia benestante di origine tedesca, Leon Bismarck "Bix" Beiderbecke (Davenport 1903 - New York 1931) scoprì il jazz grazie ai battelli che sostavano presso un'ansa del Mississippi poco a monte di Davenport. Rinunciò a studi musicali formali, ma imparò a suonare la cornetta ed entrò in un'orchestrina studentesca, i Wolverines, con i quali registrò nel 1924 il primo dei sedici pezzi incisi assieme in cui è documentata la preponderanza espressiva della sua cornetta. Nel contempo, per vivere dovette suonare in orchestre da ballo (come quella celebre di P. Whiteman). I suoi pochissimi dischi sono tra i capolavori del jazz bianco. La sua figura, già mitizzata in vita, ebbe le credenziali in regola per divenire leggenda quando Bix scomparve nel 1931: la giovane età (ventotto anni); la causa prima della morte (l'etilismo); una vita ricca di frustrazioni, quanto avara di successo; la mancanza (così si credeva, ma è inesatta) di presenze femminili, eccetto la madre, nella sua esistenza di geniale introverso. Ha lasciato anche 4 composizioni per pianoforte, surreali ibridi tra il jazz e C. Debussy.

Earl Hines

Figlio di musicisti, Earl ­ detto Fatha ­ Hines (Duquesne, Pennsylvania 1903 - Oakland 1983) si rivelò incidendo (1927-28) con J. Noone, L. Armstrong (in capolavori quali West End Blues e Weather Bird) e da solo, in uno stile fantasmagorico e giocoso in cui il ritmo base del ragtime è spesso rotto da passaggi di bravura, volate e cascatelle. Già a venticinque anni, il fraseggio lirico e impetuoso, l'impressionante interscambio del gioco delle due mani, le decime di cui la sinistra è padrona incontrastata e, soprattutto, le pause, le stesse operate da un trombettista quando deve riprendere il fiato, così come il vibrato trombettistico ottenuto con il tremolo, dimostrano a quale alto livello la classe del musicista fosse ormai arrivata. Formò poi un'orchestra, come fondale alle sue fantasie pianistiche (1929-47); nel 1943 essa ospitò i pionieri del bebop, C. Parker e D. Gillespie. Ma il bebop disorientò Hines, che preferì tornare con Armstrong (1948-51) e poi ritirarsi in provincia. Dal 1964, invitato a dare concerti come solista (non l'aveva mai fatto), conobbe una spettacolare seconda giovinezza. Fu tra i più originali improvvisatori del jazz.

Mahalia Jackson, caposcuola dello spiritual

Mahalia Jackson (New Orleans 1911 - Chicago 1972), dotata di una voce di contralto di grande potenza, estensione e duttilità, fu la prima cantante gospel a conquistare fama nazionale e mondiale. Incise, fra l'altro, con D. Ellington. Tra i suoi successi: Move on up a Little Higher, In the Upper Room, Didn't It Rain?.