Tra leggenda, folclore e storia

Le origini più remote di quel genere della musica afroamericana chiamato jazz, nato negli Stati Uniti verso il 1895 e oggi diffuso in tutto il mondo, affondano sino ai tempi della tratta degli schiavi neri, iniziata al termine del XVI secolo, e della loro traduzione forzata in America. Comprati in Africa occidentale presso mercanti indigeni, i neri portarono nel Nuovo Mondo una ricca varietà di musiche, danze, strumenti, vocaboli, riti e tradizioni. Nelle colonie cattoliche (francesi, spagnole, portoghesi) tali retaggi africani, tollerati, sopravvissero quasi intatti (Haiti, Cuba, Brasile); nel contempo, l'incrocio tra musiche nere e bianche partorì nuovi generi (lundu in Brasile e habanera a Cuba). Le colonie inglesi (poi divenute Stati Uniti d'America), protestanti, furono più repressive: negli anni della schiavitù (1619-1865) ai neri fu proibito di suonare la loro musica. Molti impararono la musica bianca: violinisti per i balli dei padroni, pifferai nell'esercito, coristi in chiesa. Nella più liberale Filadelfia sorse perfino una scuola di compositori neri, intorno a F. Johnson (1792?-1842). Solo nella provincia le tradizioni africane sopravvissero, trasformate in canti popolari in inglese, sia di lavoro (cries, calls, work songs), sia religiosi (spirituals) o di svago (ring shouts), spesso intonati in grandi feste collettive (jubilees, Pinkster Celebrations, John Conny Festivals, camp meetings, vodu).

Gli spiritual

Sorta di canto popolare sacro dei neri americani, lo spiritual ­ abbreviazione di spiritual song, canto spirituale ­ si originò verso il 1800 da un lungo sviluppo storico. Gli schiavi neri delle colonie venivano portati in chiesa (su scranni segregati) fin dal 1640. Nel rito detto common way (uso comune), il precentor intonava i salmi in modo solenne, 1-2 versetti alla volta, e i fedeli ripetevano in coro, a orecchio, con varianti libere. Le parole (non le melodie) erano stampate sul Bay Psalm Book; la parola spiritual già vi compare (1651), senza un significato preciso.

Dal 1720, dopo iniziali resistenze, una riforma impose di cantare leggendo la musica a tempo e a tono (regular singing): comparvero in chiesa organi, scuole di canto, cori professionali; si stamparono innari con le melodie. Molti credenti, specie al Nord, convertirono i neri e li istruirono. Nel 1730, sulle ali di un travolgente movimento religioso, il Grande Risveglio, si diffusero nuove melodie, più vivaci, adattate a poesie religiose: assai popolari, specie tra i neri, furono i due innari dell'inglese I. Watts, dai testi freschi e vivi. Dopo l'indipendenza, si formarono le chiese nere, con propri cantori e maestri di musica; ma gran parte dei neri restava analfabeta e imparava i canti a orecchio. Gli schiavi delle campagne diedero poi vita a nuovi canti esclusivamente orali, mescolando inni e salmi, melodie sacre e profane, in strutture irregolari, con frasi ritmate ripetute. In breve, il termine spiritual passò a indicare questi canti, spesso associati a danze in tondo (shout). I neri colti, tuttavia, restarono fedeli ai propri innari, considerando gli spiritual rozze espressioni del popolo ignorante. L'unico documento d'epoca degli spiritual è il volume Slave Songs of the United States (1867). A esso seguirono altre trascrizioni e (nel secolo XX) registrazioni sul campo.

Con la fine della schiavitù, nacquero università per i neri; alla Fisk University un maestro di coro trascrisse alcuni spiritual, arrangiandoli in modo accademico e facendoli eseguire in concerto per raccogliere fondi. Nacquero allora i Fisk Jubilee Singers, che colsero un trionfale successo al Giubileo della Pace (1872). In breve proliferarono gruppi analoghi, che nel corso degli anni a venire avrebbero portato gli spiritual corali "da concerto" in tutto il mondo.