L'educazione nella Grecia arcaica e nella polis

Volendo ricostruire la strada che ha portato al nostro modo di concepire l'educazione e, più su larga scala, la nostra cultura in generale, occorre tornare indietro alle origini della civiltà ionica, che a sua volta fu alla base dello sviluppo culturale e sociale della civiltà greca che raggiunse il culmine nel V secolo a.C. ed è considerata tradizionalmente la culla della cultura occidentale.

La civiltà ionica

Ripercorrendo le tappe evolutive della cultura greca, a partire dalla civiltà ionica per arrivare alle polis, le prime figure rilevanti che incontriamo, già a partire dal XV-XIII secolo a.C. sono gli scribi, che si occupavano dell'amministrazione dello stato ed erano de facto gli unici depositari delle conoscenze collegate alla scrittura e al calcolo. Questo nonostante il vero potere politico e commerciale fosse nelle mani dei mercanti che, in questo periodo in cui gli oggetti erano in bronzo, erano detentori del potere economico (vendevano, trasportavano e affittavano strumenti forgiati in bronzo a contadini, artigiani, guerrieri) e politico-militari (erano automaticamente anche i fornitori di armi), che, non essendo loro in prima persona versati nell'arte amministrativa, affidavano queste competenze proprio agli scribi, che grazie alla loro cultura diventavano quindi i veri detentori del potere.

In questo periodo i modelli di vita della gente comune erano legati alla pastorizia e all'agricoltura, e la società era organizzata su modelli patriarcali. L'educazione si svolgeva dunque all'interno della famiglia: i padri trasmettevano le loro conoscenze pratiche (a livello di produzione di beni o di operazioni lavorative) ai figli, mentre le madri si occupavano dell'educazione delle figlie, più legata alla gestione della casa e all'allevamento dei figli. L'educazione veniva dunque trasmessa secondo modelli comportamentali fissi nel tempo e i genitori assumevano anche il ruolo di insegnanti.

La parte dell'educazione che riguardava l'apprendimento sociale e non lavorativo era invece affidata a occasioni di incontro comunitario, quali i banchetti o le solennità religiose, che ponendosi come uniche occasioni di incontro e comunicazione diventavano spunto per scambi e confronti.

L'ideale pedagogico espresso da questa modalità di trasmissione delle conoscenze era basato sul “dover essere”, implicito nell'ordine sociale in cui i bambini crescevano e che li modellava a immagine dei modi di vita consolidati e quasi consacrati dal gruppo di appartenenza.

La nascita delle polis

A partire dall'XI secolo a.C., con l'introduzione di nuovi procedimenti per la lavorazione del ferro che la rendevano più veloce ed economica, cominciarono a diffondersi oggetti di ferro a buon mercato. Questa innovazione portò cambiamenti di considerevole entità anche dal punto di vista sociale. In primo luogo ebbe delle conseguenze nel mondo dell'agricoltura e dell'artigianato, in quanto sia i contadini che gli artigiani poterono diventare proprietari degli attrezzi con cui lavoravano. Si ebbe così un aumento della produzione, e questo portò all'introduzione di un nuovo stile di vita, basato anche sull'importanza di nuovi strumenti di comunicazione quali la scrittura. Precedentemente, come si è visto, la scrittura era estranea a quella che potremmo definire la classe operaia, in quanto patrimonio degli scribi che cautelavano la loro posizione privilegiata nella società non insegnando quest'arte a nessuno che non appartenesse alla loro cerchia. Le altre persone dovevano dunque basare la loro educazione sulla trasmissione orale di conoscenze, modalità educative e regole comportamentali.

In questo periodo furono coniate le prime monete. La diffusione della moneta come base degli scambi comportò un aumento dell'importanza del ruolo di cambiavalute, banchieri, contabili. Queste nuove figure professionali ebbero bisogno di una modalità di scrittura che fosse più immediata di quella cuneiforme e questo portò all'introduzione della scrittura alfabetica, basata sull'impiego dell'alfabeto fonetico (dove a ogni suono della lingua corrisponde un segno grafico che lo rappresenta). Questa modalità decisamente più accessibile di rappresentazione scritta della conoscenza fu alla base della democratizzazione della conoscenza.

L'introduzione della moneta e l'incremento del commercio che si svilupparono di pari passo con l'avvento dell'età del ferro portarono alla nascita spontanea di luoghi fissi di ritrovo e compravendita delle merci. Nacquero così i mercati, attorno ai quali iniziò a concentrarsi la vita sociale e produttiva portando alla nascita di aggregazioni urbane sempre più forti: le polis. La situazione si riflesse con una forte crisi sulle classi aristocratiche e sui proprietari terrieri, che dovettero assistere impotenti a una netta diminuzione delle loro entrate data dalla crescente autonomia dei loro fittavoli e un sempre più massiccio trasferimento di nuclei rurali dalle campagne ai nascenti agglomerati urbani. Questa situazione di crisi causò un periodo di riflessione nei ceti aristocratici, che, a livello culturale ed educativo, trovò espressione nelle opere dei “poeti eroici” i quali, criticando i “molli tempi moderni” e la decadenza dei giovani dal punto di vista morale e fisico, proponevano indirettamente una meditazione sui valori propri della nobiltà e trasmettevano un'idea dell'educazione come affinamento di doti innate, proprie delle classi elevate e pertanto estranee e irraggiungibili dagli appartenenti ad altri ceti.

Atene

Ad Atene i cambiamenti democratici causati dall'avvento del ferro, con le conseguenze elencate poc'anzi, si rifletterono pienamente nella figura di Solone (VII-VI sec. a.C.), passato alla storia come colui che introdusse la democrazia in un regime di governo oligarchico, avendo egli creato e introdotto una costituzione in Atene.

È però importante ricordare come, sebbene le riforme introdotte da Solone riguardassero tutto il popolo ateniese, in realtà i cittadini aventi pieno diritto alle nuove concessioni erano non più del 5% della popolazione effettiva, in quanto i meteci (persone non originarie di Atene), gli schiavi, gli schiavi liberati, i debitori non erano considerati cittadini. Di conseguenza i beneficiari delle novità introdotte nella polis di Atene furono una minoranza di benestanti, alcuni dei quali, appartenenti alla classe dominante, poterono anche accedere all'educazione scolastica.

Questa parziale democratizzazione può infatti essere considerata come il primo passo di un risveglio di Atene dal punto di vista del progresso culturale. Si strutturò anche un modello preciso di quella che doveva intendersi come educazione completa e che riguardava la crescita del giovane dal punto di vista fisico, estetico, morale e intellettuale. Ma tale educazione era pensata e ritenuta possibile unicamente per l'élite dominante, che si riteneva possedesse come dote innata la predisposizione a essere educata secondo gli ideali aristocratici.

Per quanto riguarda la formazione connessa all'apprendimento di arti e mestieri, essa era concepita come da trasmettersi per via ereditaria, senza che fosse necessario l'intervento di insegnanti o la costituzione di scuole apposite.

Nonostante tutti i limiti sopra esposti il livello di alfabetizzazione ad Atene iniziava a elevarsi, come possiamo ricavare dal fatto che nel VI-V secolo a.C. Clistene istituì l'ostracismo, pratica con la quale l'assemblea popolare poteva decretare l'esilio di un cittadino scrivendone il nome su un coccio (òstrakon): la diffusione di questa pratica è prova del fatto che una buona parte degli ateniesi – quelli che costituivano l'assemblea popolare, appunto – era in grado di leggere e scrivere. In una civiltà che considerava come “educati” coloro che coltivavano ogni aspetto fisico e spirituale, le persone dedite a lavori manuali erano irrimediabilmente disprezzate. Su tali presupposti l'emarginazione di questa classe di lavoratori (che comprendeva architetti, fabbri, falegnami, scultori: basti pensare che persone come Pericle, Sofocle e Fidia non potevano vantare che un'istruzione elementare) sarà una delle cause della decadenza di Atene che andava così a minare le basi portanti della sua prosperità economica e artistica.

A partire dal V secolo a.C., comunque, anche al popolo e alla piccola borghesia fu concesso di accedere all'istruzione primaria, che li mise nella condizione di saper almeno leggere e scrivere – abilità che costituiva un indubbio vantaggio per i cittadini – considerando il fatto che le leggi venivano pubblicate in forma scritta successivamente alle riforme di Solone.

Ma, in ogni caso, l'alfabetizzazione continuò a riguardare sempre una minoranza della popolazione effettiva. Tra gli esclusi rientravano sempre e comunque le donne, la cui formazione continuava a essere vista come collegata alla gestione della casa e all'allevamento dei bambini.

Sparta

Già nei testi degli antichi autori troviamo precisi riferimenti allo “spirito spartano”, espressione con la quale si intendeva un forte senso del dovere e della disciplina applicati al corpo e allo spirito.

Al contrario di Atene, Sparta perseguiva un ideale educativo che lasciava ben poco spazio alle arti e all'estetica per dedicarsi all'educazione di un insieme di cittadini obbedienti alle leggi (che non erano scritte ma trasmesse oralmente, fatta eccezione per alcuni principi fondamentali che invece erano conservati in forma scritta) e laboriosi.

Il principio su cui si basava tutta l'impostazione pedagogica spartana era quello per cui i genitori non avevano il diritto di allevare i propri figli, i quali venivano invece affidati a delle comunità educative della polis. L'educazione in comunità iniziava a sette anni, i bambini ricevevano solo un minimo di educazione formale, mentre maggior valore era dato alla rigorosa disciplina, alla sopportazione dei disagi e all'abilità nel combattere. Intorno ai dodici anni i ragazzi cambiavano comunità e venivano assoggettati a regole ancora più severe, ma iniziavano a essere seguiti non da altri ragazzi ma dagli adulti e dagli anziani della comunità, ciascuno dei quali era chiamato in causa per consigliare, ammonire, guidare i giovani. I formandi erano inoltre sottoposti al governo degli irèni, allievi più grandi che rivestivano il ruolo di “superiori” nella formazione così come in battaglia, e che spesso utilizzavano il loro potere per ordinare scorribande o furti nei confronti dei più deboli, salvo poi punire severamente i loro piccoli sottoposti nel caso in cui le loro malefatte fossero state scoperte. Anche le punizioni (generalmente piuttosto violente) avevano una loro precisa funzione educativa in quanto la sopportazione del dolore era considerata uno dei più importanti aspetti su cui formare i ragazzi. Gli irèni a loro volta potevano essere puniti da parte degli anziani se trovati in caso di qualche mancanza nel loro compito di educatori.

Compiuti i vent'anni, l'educazione dei giovani spartani non poteva dirsi ancora conclusa, anche se cambiava decisamente registro e assumeva toni meno impositivi. Ogni giovane veniva infatti assegnato a un anziano che si assumeva la responsabilità di completare l'educazione del discepolo, avendo anche l'autorità di intervenire – se necessario – nella vita privata e pubblica del giovane.

L'aristocrazia spartana – per nulla attratta dal richiamo del denaro, visto come un semplice mezzo e non come un valore in sé – attribuiva quindi un valore molto alto all'educazione vista come compito per eccellenza di ogni cittadino. In questo modo l'educazione diventava una struttura permanente e circolare nella società spartana, dove tutti erano sempre chiamati a perfezionarsi e ad aiutare gli altri nel loro cammino continuo di formazione.

Ma questi ideali spartani di formazione del singolo, volta al bene di tutti, non rispecchiavano gli ideali “eroici” ateniesi. Al contrario l'ideale del buon cittadino di Sparta lo vedeva forte, ma non nobile: anche atti illeciti o violenti erano concessi e approvati purché comportassero vantaggi e non punizioni. Contemporaneamente le arti tanto coltivate dall'aristocrazia ateniese, quali la musica, la poesia, la retorica e la danza, venivano disprezzate dal sistema spartano, che le considerava inutili per la formazione di un forte guerriero.

Interessante sottolineare il particolare ruolo delle donne a Sparta. Qui a differenza che nel resto della Grecia, anch'esse venivano educate, al pari dei maschi, a diventar dei cittadini-soldato, e potevano vantare i medesimi diritti sull'eredità dei parenti maschi e perfino investire come preferivano la loro dote nuziale. Unica cosa su cui non avevano diritto di decidere era la scelta dello sposo. Potevano però unirsi ad altri uomini dopo il matrimonio con lo scopo di procreare più figli sani e robusti per la comunità.