John Locke e l'empirismo in pedagogia

Inglese, figlio di un membro del parlamento fervente puritano, John Locke (1632-1704), iniziò la sua formazione intraprendendo rigorosi studi classici – prima alla Westmister School e poi al Christ Church College di Oxford, il più prestigioso collegio universitario dell'epoca – accompagnati da una rigida educazione morale. Terminata l'università, scelse la carriera medica, che però non praticò mai pienamente, in quanto dopo un incontro fortuito con Lord Ashley seguì quest'ultimo come suo medico personale a Londra, dove fu anche suo consigliere personale e precettore per il nipote.

Questa sua posizione lo mise nella condizione di seguire da vicino i vivaci cambiamenti che avvennero in quegli anni sulla scena politica inglese e a maturare al contempo il suo pensiero filosofico, politico (che lo porterà a un arricchente viaggio-soggiorno in Olanda dal 1683 al 1689 e poi a un autorevole impiego nel Consiglio del Commercio e delle Piantagioni) e pedagogico.

Le posizioni politiche e filosofiche

La posizione politica di Locke non è solo importante per il pensiero politico successivo, ma ha un'influenza diretta sulle sue concezioni pedagogiche. Egli parte dall'idea che lo stato di natura dell'uomo è caratterizzato da libertà e uguaglianza, regolato da una legge naturale e razionale volta ad assicurare la difesa della persona, della libertà e degli averi. Per meglio garantire i loro diritti naturali, gli uomini si accordano per riunirsi in società. Le diverse forme di governo si basano comunque sull'accordo degli individui per il raggiungimento di un bene comune, e perciò l'autorità massima parte e resta sempre nelle mani del popolo. Lo Stato è garante della conservazione della società e della libertà dell'uomo.

Per quanto riguarda il pensiero filosofico, nel suo Saggio sull'intelletto Locke riprende il tema della conoscenza caro ai pedagogisti precedenti e s'interroga sui poteri e sui limiti dell'intelletto umano giungendo a vedere la mente non come passiva ma come base, con le sue operazioni di analisi ed elaborazione, della conoscenza dell'uomo e del suo agire.

Importante da sottolineare è il metodo di indagine di Locke che coglie l'effettiva capacità operativa della mente non attraverso ragionamenti, ma passando dall'esperienza diretta, cioè per via empirica.

Egli sostiene anche che non esistono idee o principi innati, basandosi sull'osservazione dell'attività mentale dei bambini, degli idioti o dei selvaggi. Il contenuto della mente è determinato interamente dall'esperienza: sulla base di essa possono operare le facoltà mentali (cioè la capacità di comporre relazioni ed effettuare astrazioni), grazie alle quali si sviluppa e si accresce poi la conoscenza. Secondo questo filone di pensiero che nega l'esistenza di conoscenze innate, Locke giudica non sostenibile anche la posizione che prevede l'esistenza di norme morali innate, in quanto la stessa volontà ha radice nel pensiero, che, come si è visto, è basato sull'esperienza pratica. Ugualmente anche l'idea di Dio non può essere considerata innata e l'uomo possiede la facoltà intellettiva per arrivare da solo – sempre tramite osservazione ed esperienza – a tale conoscenza.

La conoscenza è quindi concepita da Locke come scoperta personale, così come l'impegno politico ed etico era stato configurato dall'autore quale scelta responsabile e individuale.

L'educazione morale

Locke sulla base delle sue posizioni filosofiche e anche politiche imposta la sua didattica della morale sulla disciplina e sulla logica della ragione.

Come si è visto, per Locke la moralità non è innata, non parte da principi assoluti, ma è conquista della ragione, basata sull'esperienza che si confronta nel caso specifico con le opinioni pubbliche. Ma se è la ragione a permettere l'esistenza stessa di una morale, è ovvio che nelle prime fasi di crescita e formazione dei giovani, quando la mente è ancora debole e vacillante, molti dei compiti necessari per l'esistenza di un adeguato comportamento morale dovranno essere assunti dalla ragione dell'adulto formatore. Ma occorre sottolineare come questa importanza attribuita da Locke a una regolazione disciplinare da parte degli adulti non presume un potere assoluto attribuito al padre. Al contrario associa alla disciplina l'uso della logica della ragione. Essa non dovrà essere utilizzata dagli adulti solo come punto di riferimento etico per guidare ed eventualmente correggere i comportamenti dei fanciulli, ma anche per ragionare con i giovani, spiegando e giustificando loro le correzioni evidenziandone l'utilità per il loro benessere e le ragioni che stanno alla base delle norme che si cercano di trasmettere. Naturalmente le ragioni addotte non dovranno essere sentite come remote o astratte ma dovranno apparire il più possibile ovvie e concrete.

Questa posizione sarà criticata fortemente da Rousseau e anche da Herbart, il quale vede la tendenza di Locke ad ascrivere all'educazione morale anche la conoscenza del mondo e dei suoi costumi come il rischio di un'educazione al conformismo.

Ma contro questa critica è possibile ricordare la forte insistenza dell'autore sull'individualità, che trae origine dal principio di libertà da lui postulato, e che, insieme al suo rimarcare l'importanza del gioco e dell'interesse degli alunni nell'educazione, esclude ogni rapporto diretto della sua impostazione educativa con il conformismo o la convenzionalità.

L'educazione intellettuale

Anche nel caso della conoscenza il processo per la sua acquisizione parte dall'esperienza diretta, che può essere interna o esterna al soggetto, e che prosegue poi, tramite associazioni e astrazioni fino a giungere al raggiungimento di idee complesse o principi generali. Tale visione dell'apprendimento si pone in netto contrasto con la pedagogia umanistica molto più dogmatica, e contemporaneamente si avvicina a una visione dell'apprendere psicologicamente fondata.

A livello metodologico si raccomanda dunque di utilizzare l'intelletto partendo dal semplice per arrivare gradatamente al complesso, ponendo attenzione alle conferme empiriche e a una considerazione critica dei rapporti che emergono tra le idee sotto esame. La conoscenza progredisce dunque con il passaggio dalle idee semplici alle idee complesse, ma Locke prevede anche il caso di un cammino opposto, quando ci si debba confrontare con questioni complesse, che, per essere adeguatamente comprese, dovranno essere scomposte nei loro elementi primari.

Il compito dell'educazione intellettuale per Locke non si limita all'esercizio della riflessione, ma deve anche sforzarsi di evitare gli estremi della cultura enciclopedica o quello di un'eccessiva specializzazione, mirando invece a far acquisire all'alunno la capacità di gestire il proprio apprendere attraverso l'uso critico della ragione, che per l'autore si traduce nel riconoscimento della complessità di un problema, capacità di mettere in discussione le proprie opinioni confrontandole con quelle degli altri, disponibilità alla ricerca della verità senza darla per scontata come possesso della mente e quindi solo da “riscoprire”.

Appare quindi fondamentale l'apertura mentale e una visione delle idee tesa alla loro problematizzazione, che spingerà a un uso più libero e flessibile della ragione stessa; mentre il compito dell'educazione non è più quello di trasmettere con esattezza i contenuti di una determinata materia o disciplina ma quanto di favorire l'apertura della mente e sviluppare la libertà del pensiero.

Il curriculum

La modernità del pensiero di Locke è riscontrabile anche nel non limitarsi a una critica dei sistemi pedagogici precedenti o contemporanei ma nel collegare la sua proposta teorica a un preciso curriculum formativo dello studente.

Tale curriculum è basato non tanto e non solo sulle discipline di studio quanto sull'individualità e sullo sviluppo psicologico del soggetto discente e sull'utilità pratica di quanto insegnato. Va qui ricordato che questo rimando all'utilità della cultura non è giustificata solamente dall'empirismo proprio di Locke, ma anche dal suo destinatario ideale a livello formativo, che non è più “il dotto” ma il gentleman, cioè un esponente della nuova classe di uomini di affari che cercavano, ovviamente, una cultura pratica e non puramente dissertativa.

Su queste basi la pratica didattica proposta da Locke si muove in due direzioni. Dal punto di vista metodologico egli tende a proporre l'apprendimento come un gioco in modo che i fanciulli non lo percepiscono come un'imposizione contraria alla loro libertà, mentre sul piano dei contenuti recupera la validità di insegnamenti quali il greco e il latino, mette invece da parte i cardini della stessa educazione umanistica (la grammatica, la retorica, la logica...) a tutto vantaggio dello studio approfondito della madrelingua e di conoscenze che siano direttamente rapportabili alle esperienze concrete dei formandi.

Come successione degli apprendimenti lo studioso inglese ipotizza l'apprendimento della lettura, attraverso il confronto con semplici testi illustrati (quali per esempio le Favole di Esopo) non appena il bambino abbia appreso a parlare con disinvoltura. Una volta che il bambino ha appreso la lettura si passerà all'insegnamento della scrittura e del disegno (abilità vista come utile per il futuro gentiluomo), per poi passare all'insegnamento di una seconda lingua (tipicamente il francese). Anche questo insegnamento non dovrà essere impostato sulla base dell'apprendimento mnemonico delle regole grammaticali ma riprodurre l'apprendimento spontaneo con cui i bambini apprendono la loro madrelingua.

Solo dopo che saranno state fornite al giovane queste basi egli potrà passare a studi più avanzati quali per esempio quello del latino. Sull'opportunità di apprenderlo Locke avanza non pochi dubbi, faticando a vederne l'utilità pratica, ma finisce per approvarlo da un lato come concessione alle usanze che – a suo parere – finiscono spesso per avere comunque il sopravvento, e poi come utile base per affrontare lo studio di materie più pratiche quali la geografia, l'astronomia, l'anatomia e la storia. Anche nel caso del latino, però, non arriva ad approvare la tradizionale metodologia didattica basata sullo studio della grammatica, ma suggerisce sempre e comunque un apprendimento che si basi sull'uso pratico e concreto della lingua.

In ogni caso egli raccomanda di prestare molta attenzione all'individualità dell'alunno e di impegnarsi al fine di tenere sempre desta l'attenzione degli scolari, ritenendo che essa sia caratteristica fondamentale perché l'insegnamento sia veramente efficace.