Le teorie sulla devianza

La funzionalità della devianza

Già Durkheim aveva sostenuto la funzionalità sociale della devianza. Essa servirebbe infatti a rafforzare la coscienza collettiva e in tal senso a sollecitare l'unità della società. Sulla base di questa impostazione si sono sviluppati numerosi studi. Così A.K. Cohen ha esaminato le modalità tramite le quali i comportamenti devianti facilitano il funzionamento della vita sociale.

Cohen ritiene che qualora si verifichino casi di eccessiva burocratizzazione, e conseguentemente la formazione di apparati burocratici rigidi e non più rispondenti agli obiettivi per i quali erano stati creati, l'atteggiamento deviante, inteso come non-conformazione e infrazione alle regole, consente il recupero degli obiettivi altrimenti resi irraggiungibili dalla struttura burocratica stessa. Inoltre, qualora le norme siano in contrasto con determianti bisogni, la devianza riduce la frustrazione dei soggetti e limita l'affermazione delle forze tendenti a modificare queste stesse norme. Mediante la punizione dei comportamenti definiti devianti, la società riafferma le proprie regole precisandone aspetti che altrimenti resterebbero vaghi e al contempo fornisce un rinforzo a chi agisce in modo conforme. Spesso la devianza ha costituito la spia del disagio sociale e della presenza di un'organizzazione sociale difettosa: per esempio, le rivolte nelle carceri possono essere sintomatiche dell'arretratezza del sistema carcerario. In ogni caso, la definizione di un comportamento, o di un individuo, come deviante ha la conseguenza di sollecitare la coesione del gruppo. Il deviante viene infatti concepito come nemico sul quale la collettività concentra i sentimenti di frustrazione e insoddisfazione. Egli diviene in questo modo il capro espiatorio di tensioni indipendenti da se stesso. Questa nozione di capro espiatorio riferita a quel particolare tipo di deviante che è il criminale è stata sostenuta da D. Chapman, secondo cui il criminale è il capro espiatorio di una società che ha bisogno di trasferire su qualcosa di esterno l'aggressività generata dai suoi stessi sistemi.